Oltre il confine
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Oltre il confine

  1. 384 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Quando il destino gli offre l'occasione di passare oltre il confine, il giovane Billy Parham compie la sua scelta e dirige il cavallo verso il Messico. In un attimo fatale, come il Lord Jim di Conrad, Billy inaugura la propria storia. Siamo alle soglie della Seconda guerra mondiale, Billy e Boyd sono figli di un piccolo allevatore del New Mexico, autoritario e taciturno.
Dentro di loro è ancora vivo il ricordo della nonna materna, messicana, e il Paese al di là del confine attira entrambi con un fascino irresistibile. Catturata una lupa che si sta accanendo sul bestiame della famiglia, Billy decide di non consegnarla al padre, che la ucciderebbe, ma di riportarla sulle montagne messicane per restituirla al suo mondo. Inizia cosí, come un'insolita e struggente storia d'amore, il lungo viaggio avventuroso che porterà Bill e il fratello Boyd a ricongiungersi, a perdersi e a ritrovarsi di nuovo. Una storia d'apprendistato e di eterno vagabondare di cavalli e cavalieri, tra deserti di sale, montagne innevate e pianure d'erba alta.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2012
Print ISBN
9788806173807
eBook ISBN
9788858406380

Parte prima

Quando si spostarono a sud della Grant County, Boyd era un bambino e la nuova contea chiamata Hidalgo aveva solo qualche anno piú di lui. Nella terra che avevano lasciato erano sepolte le ossa di una sorella e della nonna materna. La nuova contea era fertile e selvaggia. Si poteva cavalcare fino al Messico senza mai incontrare una staccionata. Portava Boyd davanti a sé sull’arcione e gli diceva i nomi di tutto ciò che vedevano, terra e alberi e uccelli e animali, in spagnolo e in inglese. Nella casa nuova dormivano in una stanza accanto alla cucina e la notte a volte stava sveglio e al buio ascoltava il respiro del fratello addormentato e gli sussurrava i progetti che aveva per entrambi e la vita che avrebbero fatto.
Una notte di quel primo inverno si svegliò udendo il latrato dei lupi nelle basse colline a ovest e sapeva che con la nuova neve sarebbero scesi in pianura a cacciare le antilopi al chiaro di luna. Prese dalla sponda del letto i pantaloni e il giaccone di pelle foderato di lana scozzese e gli stivali da sotto il letto e andò in cucina, dove si vestí al buio, al debole tepore della stufa; sollevò gli stivali alla luce della finestra per capire quale fosse il destro e quale il sinistro, li infilò, si alzò, andò alla porta della cucina e uscí, richiudendosi la porta alle spalle.
Quando passò accanto al fienile i cavalli si lamentarono appena nell’aria fredda. La neve scricchiolava sotto gli stivali e il respiro si condensava nella luce bluastra. Un’ora dopo era rannicchiato sulla neve del letto asciutto del torrente dove sapeva che erano passati i lupi: c’erano le loro impronte sulla sabbia e sulla neve.
Erano già scesi nella pianura e quando attraversò il ventaglio di ghiaia dove il ruscello deviava a sud nella valle, vide il punto in cui i lupi l’avevano attraversato prima di lui. Proseguí carponi con le mani dentro le maniche per ripararle dalla neve, e quando raggiunse l’ultimo dei bassi ginepri oltre il quale si stendeva la valle aperta sotto gli Animas Peaks, si rannicchiò per riprendere fiato e poi lentamente si alzò a guardare.
Correvano nella pianura tormentando le antilopi che si muovevano come fantasmi sulla neve disegnando cerchi; tutt’intorno s’alzava una polvere bianca al chiaro di luna e il fiato degli animali saliva pallido come fumo nell’aria fredda, come se dentro di loro ardesse un fuoco; nel silenzio i lupi volteggiavano, si contorcevano e spiccavano balzi e parevano appartenere a un altro mondo. Scesero nella valle, seguendone la curva e poi si allontanarono nella pianura finché non furono che minuscole figure in quel biancore vago; poi scomparvero.
Aveva molto freddo. Attese. Tutto era immobile. Solo il fiato gli diceva da che parte tirava il vento e l’osservava apparire e svanire, apparire e svanire continuamente davanti a sé. Attese a lungo. Poi li vide arrivare. Saltavano e volteggiavano. Danzavano. Infilavano il muso nella neve. Volteggiavano e correvano e si alzavano a coppie in una danza su due zampe, poi riprendevano a correre.
Erano sette e passarono a poco piú di sei metri da lui. Vide i loro occhi a mandorla alla luce della luna. Ne udí il respiro. Sentí la presenza della loro consapevolezza come elettricità nell’aria. Si raggrupparono, si fiutarono, si leccarono. Poi si fermarono, con le orecchie dritte. Qualcuno si portò la zampa al petto. Lo guardavano. Trattenne il respiro. Trattennero il respiro. Immobili. Poi si voltarono e trotterellarono via quieti. Quando tornò a casa Boyd era sveglio, ma non gli disse dov’era stato né cosa aveva visto. Non lo disse mai a nessuno.
L’inverno in cui Boyd compí quattordici anni, gli alberi nel letto secco del fiume persero presto le foglie e il cielo era grigio giorno dopo giorno e i rami si stagliavano pallidi su quello sfondo. Un vento freddo era sceso dal nord. La terra correva sotto pali nudi verso una resa dei conti i cui libri mastri sarebbero stati compilati e datati a diritti ormai scaduti da tempo, cosí va questa storia. Tra i pioppi raggruppati sull’ansa lontana del fiume, con i rami ossuti e la corteccia che si staccava qua e là in diverse gradazioni di verde e di marrone, si ergevano alberi cosí imponenti che nella radura oltre il fiume c’era un ceppo su cui negli inverni lontani i bovari avevano issato una tenda di un metro e mezzo per due, tanto era ampio il tronco. Andando a far legna, osservava la propria ombra e l’ombra del cavallo e del travois attraversare quella palizzata albero dopo albero. Boyd stava nel travois con l’ascia in mano come se facesse la guardia alla legna che avevano raccolto e osservava con occhi socchiusi l’ovest, dove il sole fremeva in un lago asciutto e rosso sotto le montagne spoglie e le antilopi si muovevano dondolando la testa tra il bestiame nella pianura.
Attraversarono il letto del fiume tra le foglie secche e cavalcarono fino a una pozza dove smontò e abbeverò il cavallo, mentre Boyd cercava sulla riva le orme di topo muschiato. L’indiano accovacciato davanti a cui passò non alzò neppure lo sguardo, cosí quando Boyd ne avvertí la presenza e si voltò, quello teneva gli occhi fissi all’altezza della sua cintura e non levò lo sguardo neppure allora, fino a che Boyd non si fermò. Gli sarebbe bastato allungare una mano per toccarlo. L’indiano stava accovacciato sotto una parete sottile di canne di carrizo, non era neppure nascosto, ma Boyd non l’aveva visto. Teneva sulle ginocchia un vecchio fucile calibro 32 a un colpo solo e aveva atteso nel crepuscolo che qualche animale venisse ad abbeverarsi per ucciderlo. Guardò il ragazzo negli occhi. Il ragazzo fissò i suoi. Occhi cosí scuri che parevano solo pupilla. Occhi in cui tramontava il sole. In cui il ragazzo stava accanto al sole.
Non sapeva che fosse possibile vedersi negli occhi di un altro, né che ci si potesse vedere dentro due soli. In quei pozzi scuri si rifletteva la sua immagine raddoppiata, i capelli cosí chiari, la figura cosí magra e strana, due copie dello stesso ragazzo. Come se fosse un suo consanguineo perduto, ora rinchiuso dietro un vetro in un mondo alieno dove il sole rosso tramonta in eterno. Come se fosse un labirinto in cui quegli orfani del suo cuore erano finiti per errore durante il viaggio della vita, giungendo infine oltre il muro di quello sguardo antico dal quale non si può mai fare ritorno.
Da dove si trovava non vedeva il fratello né il cavallo. Vedeva gli anelli allontanarsi lenti dal punto in cui il cavallo si abbeverava oltre il canneto e vedeva la lieve contrazione del muscolo sotto la pelle della mascella affilata e glabra dell’indiano.
L’indiano si voltò a guardare la pozza. Si udiva solo il gocciolare dell’acqua dal muso del cavallo. Guardò il ragazzo.
Piccolo figlio di puttana, disse.
Non ho fatto niente.
Chi c’è con te?
Mio fratello.
Quanti anni ha?
Sedici.
L’indiano si alzò. Improvvisamente e senza sforzo si alzò a guardare la pozza dove Billy teneva il cavallo e poi tornò a fissare Boyd. Portava una giacca di lana vecchia e lacera e uno Stetson vecchio e unto con la cupola sformata e un paio di stivali tenuti insieme con il fil di ferro.
Che ci fate qui?
Cerchiamo legna.
Avete qualcosa da mangiare?
No.
Dove abitate?
Il ragazzo esitò.
Ti ho chiesto dove abitate.
Con un gesto indicò la valle.
Lontano?
Non so.
Piccolo figlio di puttana.
Si mise in spalla il fucile e scese lungo la riva della pozza; qui si fermò davanti al cavallo e a Billy.
Salve, disse Billy.
L’indiano sputò. Avete spaventato tutto qui intorno, eh? disse.
Non sapevamo che ci fosse qualcuno.
Avete niente da mangiare?
No, signore.
Dove abitate?
Due miglia circa piú a valle.
Avete qualcosa da mangiare in casa?
Sissignore.
Se scendo laggiú, mi portate fuori qualcosa?
Può venire in casa. La mamma le darà qualcosa da mangiare.
Non voglio venire in casa. Voglio che mi portiate fuori qualcosa.
Va bene.
Mi portate fuori qualcosa?
Sí.
D’accordo.
Il ragazzo teneva il cavallo. Il cavallo non aveva levato gli occhi di dosso all’indiano. Boyd, disse. Andiamo.
Avete dei cani laggiú?
Solo uno.
Lo rinchiuderai?
Va bene, lo farò.
Mettilo dentro da qualche parte che non abbai.
Va bene.
Non vengo fin lí per farmi sparare.
Lo rinchiuderò.
Bene.
Boyd, vieni. Andiamo.
Boyd lo guardava dall’altra sponda.
Andiamo. Tra un attimo sarà buio.
Va’ e fa’ quello che dice tuo fratello, disse l’indiano.
Non le davamo nessun fastidio.
Vieni, Boyd. Andiamo.
Attraversò la striscia di ghiaia e si arrampicò nel travois.
Sali qui, disse Billy.
Boyd saltò giú dal mucchio di rami che avevano raccolto e si voltò a guardare l’indiano. Poi prese la mano che Billy gli porgeva e con un salto salí in groppa al cavallo, dietro al fratello.
Come faremo a trovarla? disse Billy.
L’indiano teneva il fucile di traverso sulle spalle con le mani penzoloni sopra. Uscite e camminate verso la luna, disse.
E se non si è ancora levata?
L’indiano sputò. Credi che vi direi di camminare verso una luna che non c’è? Adesso andate.
Il ragazzo spronò il cavallo e lo spinse tra gli alberi. I pali del travois raccoglievano mucchi di foglie morte con un sibilo secco. Il sole era basso a occidente. L’indiano li guardò allontanarsi. Il piú giovane cavalcava tenendosi con un braccio alla vita del fratello, il viso rosso e i capelli biondissimi quasi rosa alla luce del sole. Il fratello doveva avergli detto di non guardare indietro, perché non si voltò mai. Una volta attraversato il letto secco del fiume e raggiunta la pianura, il sole era già calato dietro le vette delle Peloncillo Mountains a ovest e il cielo era rosso cupo sotto i banchi di nubi. Si diressero a sud lungo le anse del fiume e quando Billy si voltò l’indiano li seguiva a mezzo miglio di distanza nel crepuscolo e stringeva appena il fucile in mano.
Com’è che guardi indietro? disse Boyd.
Cosí.
Gli portiamo la cena?
Sí, credo proprio che si possa fare.
Non è sempre una buona idea fare quel che si può fare, disse Boyd.
Lo so.
Osservava il cielo di notte dalla finestra del soggiorno. Le prime stelle spuntarono a sud, come appese all’intreccio di rami morti degli alberi lungo il fiume. La luce della luna che ancora non si era levata vibrava sulfurea a est della valle. Osservò la luce espandersi lungo i contorni della prateria deserta e la cupola bianca e grassa e membranosa della luna sollevarsi da terra. Allora scese dalla sedia su cui era inginocchiato e andò a chiamare il fratello.
Billy aveva avvolto in un tovagliolo pagnotte, carne e una tazza di latta piena di fagioli e aveva nascosto le provviste dietro alle stoviglie sullo scaffale di fianco alla porta della cucina. Fece uscire Boyd, restò un attimo in ascolto e poi lo seguí. Il cane mugolava e grattava la porta dell’affumicatoio quando la oltrepassarono. Billy gli disse di star zitto e il cane obbedí. Proseguirono chini lungo lo steccato e quindi si diressero verso gli alberi. Quando giunsero al fiume la luna era alta in cielo e l’indiano li aspettava con ancora il fucile sulle spalle a mo’ di giogo. Vedevano il suo fiato condensarsi nell’aria fredda. L’indiano si voltò e lo seguirono oltre la ghiaia della riva lungo il sentiero del bestiame ai confini del pascolo. Nell’aria c’era fumo di legna. A un quarto di miglio dalla casa, tra i pioppi, c’era il bivacco dell’indiano, che appoggiò il fucile a un tronco e si voltò a guardarli.
Portate qui, disse.
Billy si avvicinò al fuoco, prese il fagotto da sotto il braccio e glielo porse. L’indiano lo prese, si accovacciò davanti al fuoco con quella sua agilità da marionetta e posò il tovagliolo a terra di fronte a sé, lo aprí e tirò fuori i fagioli, avvicinò la tazza ai carboni ardenti per riscaldarli e quindi prese il pane e la carne e li addentò.
Quella tazza diventerà tutta nera, disse Billy. Devo riportarla a casa.
L’indiano masticava con gli occhi socchiusi alla luce del falò. Non avete del caffè in casa? disse.
Non è macinato.
Non potete macinarne un po’?
No, perché altrimenti mi sentono.
L’indiano s’infilò in bocca quel che restava della pagnotta, si sporse lievemente in avanti e tirò fuori da chissà dove un coltello con cui rimescolò i fagioli nella tazza, poi guardò Billy e leccò la lama, prima da una parte e poi dall’altra, lentamente e piantò il coltello all’estremità del ceppo su cui ardeva il fuoco.
Da quant’è che abitate qui? disse.
Dieci anni.
Dieci anni. È vostra la terra?
No.
Prese la seconda pagnotta, la spezzò con quei suoi denti bianchi e squadrati e si mise a masticarla.
Da dove viene? disse Billy.
Un po’ da tutte le parti.
E dove sta andando?
L’indiano si sporse a prendere il coltello e mescolò di nuovo i fagioli e leccò di nuovo la lama e poi infilò il coltello nel manico e tolse la tazza annerita dal fuoco, l’appoggiò a terra davanti a sé e cominciò a mangiare i fagioli con il coltello.
Cos’altro avete in casa?
Scusi?
Ho detto, cos’altro avete in c...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Oltre il confine
  3. Parte prima
  4. Parte seconda
  5. Parte terza
  6. Parte quarta
  7. Copyright