La sposa liberata
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La sposa liberata

  1. 600 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Incapace di sopportare l'infelicità del figlio, il professor Rivlin tenta di riallacciare i legami con la famiglia dell'ex nuora. Iniziano cosí le sue indagini, e le sue visite, per venire a capo di un enigma che lo fa macerare nell'ansia. Il professore ebreo, tuttavia, non riuscirà a risolvere il mistero da solo, e gli arabi, temuti e amati, arriveranno ad aiutarlo.
Ambientato tra il 1998 e il 1999, quando ancora erano vive le speranze di pace e l'Autonomia palestinese compiva i primi passi in Cisgiordania, La sposa liberata conferma ancora una volta la maestria narrativa e poetica di Abraham Yehoshua, ponendolo tra i maggiori scrittori della letteratura mondiale.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
Print ISBN
9788806174132

Parte quinta

La poltrona del giudice

1.
Su entrambi i lati del confine, probabilmente, gli arabi non hanno saputo saziare la tua fame se dopo una notte di vagabondaggi e di avventure non ti affretti verso il letto, ma ti dirigi in cucina, togli la pellicola trasparente dai cibi in vana attesa dal giorno prima, e nel mattino che si rischiara ti liberi definitivamente del digiuno del Ramadan che ti stava appiccicato addosso come una malattia, o come un desiderio. L’irritazione verso la donna di servizio che ha ignorato l’ingiunzione specifica di «pulire la casa ma non cucinare nulla» si dissolve, e persino il tuo senso del dovere nei confronti degli «avanzi» che riempiono il frigorifero svanisce davanti alle pietanze che hanno trascorso la notte aspettando il padrone di casa, scomparso senza una parola di avvertimento.
E visto che Haghit mostra verso la colf un timore quasi reverenziale, anche i tuoi ordini forse non hanno grande valore ai suoi occhi. Oltretutto, dato che ti sei dimenticato di menzionare la partenza di Haghit, è stato facile per la donna di servizio tenersi occupata preparando i piatti preferiti da tua moglie, e presumibilmente anche da te se sei ancora in cucina a mangiare mentre esamini un bigliettino con dei contrordini:
«Carta stagnola
Olio
Pangrattato
Detersivo per piatti
Un sacchetto di farina
Aglio».
C’è anche l’avviso di un pacco recapitato per sbaglio al vecchio appartamento un paio di settimane fa.
L’invito alle nozze del figlio, però, la colf lo ha sistemato in un angolo riposto, per quanto rispettabile: dietro il vetro della libreria; quasi temesse di addolorarti con una sollecitazione troppo esplicita. E con la stessa rapidità con cui hai sfilato il biglietto fregiato da benedizioni e versetti biblici a caratteri dorati per verificare l’estrazione sociale dei genitori della sposa, cosí lo riponi nella busta che ricade moscia sullo scaffale, ai piedi dei libri, nella speranza che lí venga anche dimenticata.
Il dolore della tua invidia non risparmia nemmeno le nozze di un ragazzo bruno e timido che talvolta veniva a casa tua e si divertiva con un vecchio giocattolo di Ofer, o compariva timoroso sulla porta dello studio chiedendo carta e matita?
Dormire o non dormire?
Alle due ci sarà la riunione della commissione delle nomine, alle tre l’ora di ricevimento degli studenti e alle quattro la lezione che devi ancora preparare. Avendo però dato prova di poter sostituire il giorno con la notte nel villaggio arabo, non c’è motivo che tu non faccia lo stesso in una casa ebrea, pur rischiando di passare un’altra notte insonne, e questa volta senza una donna al tuo fianco costretta a sopportare le tue lamentele.
Oscurare la camera da letto, lavarsi i denti e staccare il telefono. E sotto la coperta leggera, con il sottofondo del brusio della via che si risveglia, puoi ricordare con sbalordimento e nostalgia la suora vestita con una tonaca marrone, e ai piedi dei sandali semplici, ritta nella chiesetta di campagna davanti all’unico ebreo capitato nel cuore della notte tra il pubblico dei suoi ammiratori. E mentre il tuo sonno si intesse in una trama leggera, puoi unirti ai quattro uomini dai capelli argentati dietro all’altare addobbato che accompagnano il canto della monaca con il loro mormorio.
Verso mezzogiorno, tra le voci che non hai potuto ascoltare mentre dormivi, si insinua nella segreteria telefonica anche quella di un funzionario di una lontana ambasciata asiatica. Ti informa che il giudice tornerà con un giorno di ritardo. E tu ti senti cogliere dall’ansia, ma al tempo stesso dall’eccitazione per le nuove possibilità che ti offre una solitudine cosí rara.
2.
Malgrado Rivlin non abbia avuto il tempo di prepararsi a dovere, la lezione viene seguita con interesse. Anche perché, essendosi riposato, riesce a infondere maggior vivacità al discorso che di solito, in un’aula tanto ampia, deve essere ben strutturato. Cosí il professore si mostra paziente verso studenti petulanti, scettici o insoddisfatti, ebrei e arabi, finché quella nuova pacatezza, indulgente e non polemica, agevola l’innescarsi di un’accesa discussione su un argomento lontano: la posizione delle minoranze in Egitto durante la seconda guerra mondiale. E la lezione, contrariamente alle abitudini di Rivlin, si prolunga di altri cinque minuti.
Dietro le grandi finestre dell’aula la luce si fa grigia, nubi grevi suggeriscono la possibilità rara di un acquazzone estivo, e al termine della lezione l’entusiasmo di Rivlin svanisce, sostituito dalla tristezza per una casa vuota, senza un sorriso d’affetto. E quando viene fermato sulla soglia dell’aula da due studentesse, arabe probabilmente, malgrado l’abbigliamento non ne tradisca l’origine, Rivlin non si affretta a rimandarle, com’è solito fare, all’ora di ricevimento, ma con un tocco leggero le riconduce in classe e con affabilità si interessa delle loro richieste. Viene a sapere cosí che le ragazze provengono da al Mansura e la sera precedente hanno partecipato al «seminario» nella camera da letto di Samaher, ascoltando il racconto algerino e godendo della sagacia dell’«assurdo arabo». Con spirito pratico, ritenendo opportuno e vantaggioso rafforzare un legame con un professore di spicco e un po’ bizzarro capitato nel loro villaggio, hanno preso l’iniziativa e sono venute ad annunciargli che la sua «assistente ricercatrice» non è rimasta con le mani in mano dopo la sua partenza, ma durante la notte ha terminato la traduzione di un altro racconto.
Il professore appare molto divertito dalle giovani, che si presentano con allegria con i loro nomi e lo informano del loro secondo indirizzo di specializzazione. Poi, con noncuranza, gli domandano in cosa consisterà l’esame finale del corso. Dopo avere spiegato tutto il possibile riguardo a quella prova e calmato la loro ansia, Rivlin fa qualche domanda sul villaggio e sui suoi abitanti. Le ragazze ridono e si interrompono a vicenda nel flusso abbondante di dettagli. Raccontano della famiglia di Samaher, di quella del marito e di altre famiglie, e tornano ad assicurare, con le guance arrossate, che malgrado Rashed sia bravo e serio, si sbaglia di grosso riguardo alla cugina. Cosa ci farebbe infatti Samaher a letto se non per evitare rischi alla gravidanza? E il parto non è lontano, professore, quindi bisogna affrettarsi ad assegnarle il voto che merita da tempo.
La voce roca, maliziosa ed enfatica della vecchia studentessa torna a echeggiare nelle orecchie di Rivlin, che invece di imboccare la via di casa, dove lo attende solo il silenzio, si dirige, libero e disinvolto, verso la biblioteca per controllare nei racconti delle Mille e una notte l’Ahmad Addanaf originario, omonimo medievale del protagonista del racconto del «cavallo avvelenato». Grazie all’indice analitico riesce a rintracciare facilmente l’eroe dei tempi antichi, molto piú avventuroso e divertente del campagnolo confuso e macabro che, dopo avere avvelenato con crudeltà i cavalli della donna amata ma irraggiungibile, lotta con tutte le forze per salvar loro la vita. E malgrado lo scrittore dilettante Yassin Ibn Abbas abbia scelto di chiamare il suo personaggio con il nome di un eroe classico – forse con l’intenzione ingenua di attrarre i lettori allettandoli con il miraggio di una trama vivace e rocambolesca come quelle in voga nel periodo del grande califfato –, la realtà grigia del deserto ha probabilmente incupito la briosa arguzia di Baghdad e stemperato la sua variopinta umanità, e l’animo tormentato dello scrittore, verosimilmente turbato da una lotta interiore irrisolta, ha preso il sopravvento sul racconto e sul protagonista.
La scintilla balenata già durante il viaggio notturno tra Israele e i territori dell’Autonomia torna a lampeggiare in biblioteca. E mentre il colore plumbeo del cielo rende piú nitido il contorno delicato della baia di Haifa, limando la colonna di fuoco che si leva dalle raffinerie, il professore sussurra a se stesso: no.
No e poi no.
Anche se si soffre per amore non si avvelenano con leggerezza due cavalli. E anche se si crede nei miracoli non si lancia con gioia un neonato dal finestrino di un treno in corsa. E un giudice arabo non oltraggerà la giustizia lasciando libero un assassino che ha sgozzato in modo assurdo una coppia di innamorati per colpa della luna piena. No. Deve esserci qualcos’altro che sconvolge e turba le menti. Rivlin comincia con cautela a prospettare l’ipotesi che quei racconti popolari, scritti negli anni Trenta e Quaranta, molto prima dello scoppio della grande rivolta contro i francesi, portino già in sé l’embrione di un dialogo strano e inconscio, intrattenuto ancora oggi, con un conquistatore affascinante, un oppressore ammirato, sbarcato piú di centosettant’anni prima e che dopo anni di lusinghe e di promesse, ma anche di offese e di umiliazioni, è ancora presente nel cuore dei locali, divenuti «stranieri» smarriti nella propria madrepatria.
È questa la scintilla che può gettare luce sulle incursioni omicide notturne, immotivate e senza scopo, nei villaggi sperduti? È possibile che quarant’anni dopo essersene andati lasciandosi alle spalle terra bruciata, i colonialisti francesi siano ancora presenti nella coscienza popolare come una vivida allucinazione? È possibile che i fanatici musulmani, o persino unità assassine dell’esercito, massacrino senza pietà vecchi, donne e bambini, convinti dentro di sé che quelli non sono fratelli né compatrioti, carne della loro carne, ma ombre dissimulate dei francesi, i pieds noirs, un nemico antico che anche dopo essere scomparso al di là del mare e avere abbandonato i suoi feudi al deserto, si ripresenta la notte con un’identità che confonde?
La pioggia inattesa sui vetri della biblioteca risveglia la preoccupazione di Rivlin per il computer sistemato davanti alla finestra aperta dello studio. Ma prima che la scintilla sprigionatasi da considerazioni irrazionali – o da un’idea critica e lucida – svanisca, Rivlin la fissa su un biglietto che si infila in tasca, chiude Le mille e una notte, rilegato in una copertina di pelle color porpora, e si affretta verso la sua vecchia casa.
La pioggia improvvisa, già cessata, ha rinfrescato il groviglio della vegetazione del wadi aggrappato al tramonto rosseggiante che si spegne all’orizzonte del mare. Mentre scende tra i cespugli e i fiori che bordano i lati delle scale, Rivlin riconosce in ogni gradino i segni peculiari che lo contraddistinguono. Malgrado ricordi con felicità le corse dei suoi figli lungo quelle scale, non prova rammarico per essersi trasferito, perché gli ospiti che sedevano in salotto, e si entusiasmavano per la vista della valle fiorita, ignoravano quanto fossero anguste le camere da letto, perennemente umide a causa della brezza marina.
Il cancelletto di ferro in cima alla scalinata, difesa simbolica di una casa facilmente violabile, è ora spalancato, e non sembra che i nuovi inquilini temano che qualcuno possa oltrepassarlo, sgattaiolare attraverso il minuscolo riquadro del giardino, sorprendere chi se ne sta tranquillamente seduto in terrazzo o sbirciare dalle finestre delle camere da letto. Rivlin si ferma davanti alla vecchia porta d’ingresso, ma il campanello sul quale risalta ancora il cognome sbiadito della sua famiglia – chissà perché – non squilla. La sua mansione è stata affidata a un grosso sonaglio in rame acquistato anni prima da Rivlin stesso al mercato del Cairo e appeso con orgoglio all’ingresso. Con gli anni la sua lucentezza si era appannata, cosí come la speranza di pace con l’Egitto, e il sonaglio era stato ingoiato e dimenticato nell’intrico dei rampicanti che crescevano aggressivi sui muri della casa. Ma ora è stato redento dai nuovi inquilini, e nonostante sia ricoperto da una patina verde, emette lo stesso suono gradevole che Ofer, da bambino, non era mai sazio di ascoltare.
La giovane padrona di casa, che Rivlin ha incontrato solo al momento della firma del contratto presso il notaio, riconosce subito il professore e lo aggredisce: – Oh, finalmente, pensavamo già di restituire il pacco alla posta –. Non lo invita a entrare, lo lascia sbigottito e offeso sulla soglia della sua vecchia casa, e Rivlin lancia un’occhiata cauta per controllare se fra le pareti sia rimasto un segno della sua presenza da portare via con il pacco. Ma il padrone di casa, sbucato ben presto da una delle camere, si mostra piú affabile dell’attraente consorte ed è ansioso di mostrargli i cambiamenti recati all’appartamento le cui pareti sono state abbattute, demolite e ricostruite. Riluttante, e senza alcuna particolare curiosità, Rivlin acconsente a essere condotto, con due bambini piccoli alle calcagna, a verificare la mutata disposizione dei locali: la camera da letto dei bambini ha preso il posto di quella dei genitori, ed è stata anche ricavata una stanzetta minuscola, quasi una cella monacale, per chi voglia appartarsi a guardare la grossa televisione. È chiaro che per il nuovo padrone di casa è importante convincere il precedente di aver preso delle decisioni oculate e persino sagaci, come l’idea di aprire una finestrella nelle profondità dell’armadio a muro per impedire la formazione della muffa e permettere una visione inattesa del terrazzo, sul quale la padrona di casa, rinunciando con facilità all’ospite, è tornata a chiacchierare con una giovane donna ancora piú bella di lei.
Rivlin si sente cogliere dalla nostalgia alla vista del panorama del wadi profondo, e prima che l’energico padrone di casa decida di ristrutturare anche quello, sfrutta il suo diritto naturale di ex proprietario e avanza verso il terrazzo, scende in giardino e senza aprir bocca, con le spalle rivolte alle due giovani donne, abbraccia di nuovo con lo s...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La sposa liberata
  3. I. Matrimonio al villaggio
  4. II. «Cosí disse e se ne andò»
  5. III. La tesina di seminario di Samaher
  6. IV. Allucinazione?
  7. V. La poltrona del giudice
  8. VI. Il Dibuk
  9. VII. Liberazione
  10. Il libro
  11. L’autore
  12. Dello stesso autore
  13. Copyright