Roll down the window, put down the top,
Crank up the Beach Boys, baby,
Don’t let the music stop1 …
RANDY NEWMAN
– Perfetto, grazie mille. Ah, un’altra cosa –. Gesú si gira e picchietta la chiave della camera contro il bancone di marmo, con nonchalance. – Mi sa dire dove sarebbe possibile comprare un materassino gonfiabile?
– Gonfiabile? – Le sopracciglia della ragazza alla reception si inarcano di nuovo, come è accaduto diverse volte durante questo lunga, complicata registrazione.
– Materassini, esatto. Per dormirci, no?
– Ah, io davvero non… Forse potreste provare piú giú, verso Sunset Boulevard. Credo che lí ci siano un paio di negozi con articoli balneari. Se girate a sinistra appena fuori dall’albergo…
– Perfetto, – dice Gesú, girandosi verso l’atrio del celebre Chateau Marmont, verso il divano sul quale Kris è stravaccato, con la facciona paonazza tutta sudata e gli occhi chiusi. Stanco e stremato: l’ultima ora passata a sbuffare nel traffico dell’ora di punta a Los Angeles, con l’abitacolo a una temperatura tropicale, l’ha messo al tappeto. Qui dentro si sta bene, è fresco e ombreggiato, pieno di vimini e arazzi e legno tinto e luci soffuse. Gli altri sono sparsi qua e là in funzione dei diversi gradi di stanchezza e curiosità: per l’atrio si sentono gli echi dei gridolini elettrizzati di Becky e dei ragazzi o l’occasionale «Bang!» di sorpresa da parte di Bob, quando scoprono qualche nuova meraviglia in mezzo a tutta quell’opulenza. – Ehi, roccia, – gli grida d’un tratto Kris, sovreccitato. – Ma lo sai che qui ci hanno dormito i Led Zeppelin? – Anzi, erano clienti abituali, guardati con tanto d’occhi dalle star del cinema, dagli agenti, dai produttori e compagnia cantante.
– Sa una cosa, signorina? Penso che andremo a darci una rinfrescata e magari il materassino lo cerchiamo piú tardi.
– Nessun problema, – dice la ragazza con un sorriso. Gesú stava cominciando a capire che qui allo Chateau niente era un problema. – Desidera qualcosa in camera?
– Qualcosa tipo?
– Un rinfresco? Qualcosa da bere o da mangiare?
– A dirla tutta, signorina… – comincia Gesú, sporgendosi verso di lei con aria complice. – Siamo abbastanza a corto di grana –. La ragazza, professionale, è bravissima a fingersi sorpresa e amareggiata per quella inattesa notizia. – E immagino che qui le cose non siano proprio regalate.
La ragazza si china impercettibilmente sopra il bancone di marmo fresco, abbassando di mezzo tono la voce, e mormora: – Il suo conto verrà girato direttamente alla rete televisiva, signore.
– Oh be’, allora… Un certo languorino mi dice che devo proprio fare colazione…
La trasmissione gli ha messo a disposizione un villino. E un villino niente male, anche – piú di trecento metri quadri, salotto, camera da letto, due bagni e una porta a scorrimento che dà su un cortiletto e, ancora piú in là, su un’azzurra piscina ovale – almeno per i due minuti e mezzo che ci vogliono al caravanserraglio per sistemarsi. Eh già, due minuti e mezzo per trasformare la copertina di una rivista d’arredamento nel corredo fotografico di uno struggente articolo sui campi profughi. Gesú se la ghigna, mentre riappizza la canna e osserva la scenetta svaccato su una sdraio fuori. Gus e Dotty, accovacciati per terra, svuotano con metodo il minibar; Miles e Danny si dànno battaglia a colpi di cuscino; l’acqua scroscia nella vasca mentre Becky si prepara un bagno; Pete è spaparanzato sul divano accanto a Claude e gli riassume la trama di Spiagge, mentre davanti a loro un’immagine quasi a grandezza naturale di Bette Midler riempie il gigantesco schermo al plasma; dall’altro lato della stanza Big Bob s’infila in tasca tutto quello che c’è sulla fruttiera; dalla camera da letto, dove Morgs e Kris si sono messi a smanettare con lo stereo, arriva il frastuono della musica. Gesú muove le dita dei piedi in una pozza di luce e pensa: Diavolo, almeno siamo arrivati fin qui.
– Cazzo, siamo a cavallo, – dice Morgan. Mentre sbuca dalla camera, contempla la scena e si lascia cadere sulla sdraio davanti a quella di Gesú, che gli allunga la canna.
– Tu dici? – chiede Gesú, ridendo.
– Il letto è grande come un campo da football. Ci entriamo in quattro senza problemi. Di qua ne piazziamo uno per divano, di notte portiamo dentro ’sti affari… – Morgan indica la sdraio su cui è seduto – e altri due sono sistemati. Bob preferisce comunque dormire per terra. Ma chi è il pazzo che ha bisogno di tutto questo spazio da solo?
– Guardali… – dice Gesú. – Non è uno strippo rendere gli altri felici? – Morgan annuisce, ridendosela. – Nel peggiore dei casi verrò sbattuto fuori al primo turno, ma almeno questi fuori di testa si sono fatti una vacanza con i controcoglioni.
Vedono Bob aprire la porta e quattro camerieri spingere in camera dei carrelli carichi di roba, i vassoi d’argento che riflettono il sole pomeridiano, tutti che si fanno sotto, aprono i coperchi, prendono i bicchieri e le posate. Anche i camerieri sono professionisti, pensa Gesú. Si comportano come se tutto questo – mezza dozzina di famelici balordi che si fiondano come avvoltoi sulla sbobba, un paio di fetidi ubriaconi svaccati per terra, l’odore inequivocabile di maria che riempie la stanza – fosse ordinaria amministrazione. Bob fa un vago cenno in direzione di Gesú e Morgan fuori in cortile, e uno dei camerieri si sgancia dal bailamme per attraversare la suite e presentarsi fuori con un sorriso e un conticino per Gesú.
– Grazie, – dice Gesú, che firma con uno svolazzo e aggiunge il trenta per cento di mancia, – e scusami per… insomma… tutto ’sto… – Indica con lo spinello il caravanserraglio.
– Si figuri, signore, – risponde il cameriere. – Abbiamo avuto ospiti i Metallica per una settimana, quand’erano ancora in grande spolvero. E questo in confronto non è niente…
– Mamma mia, – risponde Morgan. – Com’erano quei tipi?
– Persone adorabili. Grazie, signore, – dice, con un cenno del capo quando riprende il conto. – Alla reception hanno lasciato questa busta per lei –. Allunga a Gesú Cristo una busta con sopra il logo in rilievo della Abn. – E, se posso permettermi, in bocca al lupo per la trasmissione.
– Grazie fratello, – dice Gesú, con un sorriso accattivante.
Gesú infila il pollice nel sigillo e apre la busta: un pass laminato e una lettera dove si conferma che una limousine verrà a prenderlo alle nove della mattina successiva per portarlo agli studi della Abn a Burbank.
– Ma quant’era? – chiede Morgan.
– Cosa?
– Il conto, balordo. Quant’era?
– Mah. Tipo quattrocento svanziche.
– Quattrocento svanziche per fare colazione?
– Mancia compresa, Morgan.
– Ah be’, allora… – risponde Morgan, mentre spegne la canna in un enorme posacenere di cristallo. – E solo la scorsa settimana rubavamo sandwich, cazzaro. Non penso che dureremo a lungo qui dentro.
– Io sono fiducioso, – dice Gesú, con gli occhi ancora sulla lettera. – Ma se anche fosse?
– Fratello, c’è qualcosa che ti preoccupa ogni tanto?
Gesú ci pensa un attimo. – Preoccupare me? – dice infine. – Naaa.
Primo giorno sul set: Steven Stelfox incede a grandi falcate dai camerini fino allo Studio 4, alla testa di una falange di assistenti, produttori e truccatrici che lo circondano come una guardia pretoriana. Darcy DeAngelo e Herb Stutz chiudono la fila con il loro piccolo entourage. Primo giorno sul set, in cantiere c’è già dell’ottimo materiale ricavato dai provini regionali: i freak americani montati a dovere, svergognati con brio. Nervi scoperti, come sempre fra la troupe quando Stelfox è nei paraggi, ma niente a che vedere con l’isteria della prossima settimana, quando la trasmissione comincerà ad andare in onda in diretta, «una volta selezionati i concorrenti» (anche se, ovviamente, i concorrenti sono già stati selezionati). Una storia, pensa sempre Stelfox. Chi e cosa ci aiuterà a dare vita a una storia avvincente? Che possa durare fino a Natale, quando arriverà il momento di calare l’asso.
– Sí, stiamo arrivando, – dice una ragazza in cuffia.
– Naomi, tesoro… – dice Stelfox, rifilandole la bottiglietta mezza vuota di Evian, – assicurati che quel ciccione mongoloide alla telecamera tre abbia capito una cosa: se mi inquadra anche solo un’altra volta il profilo sinistro dal basso andrà a fare il cameraman in una telenovela messicana per il resto dei suoi giorni.
– Lo sa già, SS.
Le porte dello studio si aprono e Stelfox cambia espressione sfoderando un sorriso affabile: è arrivato il momento dell’incontro fra il generale e le truppe.
Funziona cosí. La prima puntata sarà composta in gran parte dai filmati dei provini regionali: in sostanza una pesca a strascico per tutto il continente, con dentro una buona fetta di popolazione americana che a rigor di logica dovrebbe trovarsi in una cella imbottita a battere i pugni contro le pareti: il frocio cinquantenne che sgambetta in calzamaglia e ulula canzoni di Madonna; l’isterico molestatore di bambini che farfuglia una ballata degli Eagles; le casalinghe obese che si sgolano. Poi, per gradi, metteranno a fuoco qualche elemento di queste tre categorie: 1) i pochi dotati di talento autentico e bella presenza, che passeranno di sicuro; 2) quelli dotati di talento ma penalizzati da problemi di obesità, strabismo, denti da cavallo, acne fluorescente o altre schifezze, che potrebbero essere ammessi se nelle loro storie personali ci sarà abbastanza pathos e intensità. (Dialisi e povertà. Catapecchie e orfanotrofi. Genitori assenti e infanzie tragiche. E quel «potrebbero» funziona solo per i telespettatori – i merdaioli, per usare il termine coniato da Stelfox – la produzione ovviamente ha già deciso da tempo chi passerà). E infine la categoria 3), il gruppetto ridotto in cui figurava Gesú: quelli belli, talentuosi e chiaramente fuori di melone.
Nel grande camerino, piú che altro una sala d’attesa, Gesú sente le risate del pubblico in studio mentre vengono trasmessi i filmati dei provini. Sovrappensiero, strimpella qualche nota sulla Gibson unplugged e si guarda intorno. Saranno in venti ammassati qui: tutti quanti nervosi, in fibrillazione, a canticchiare scale, a fare gli esercizi di riscaldamento, tutti con il vestito migliore, tutti che si occhieggiano diffidenti, qualcuno apertamente in cagnesco.
Tutti eccetto Gesú, ovviamente. Al sorriso beato e ai jeans stracciati e alle scarpe da ginnastica si è aggiunta la pulita ma stinta maglietta dei Mogwai che quella mattina ha chiesto in prestito a Becky, l’unica fra tutti loro ad avere il buon senso di lavare qualcosa in albergo. Un ragazzone nero passa accanto a Gesú e si appoggia a un angolo, rabbrividendo in un lago di sudore. Sembra che preferisca stare vicino al lavandino, come se avesse bisogno di vomitare. È enorme, peserà almeno centoventi chili. – Ehi, tutto bene? – gli chiede Gesú.
Il ragazzo fa segno di no. – Sai cosa? Non vedo l’ora che sia finita.
– Ma allora perché lo fai? – chiede Gesú, in tono garbato.
– Vorrei dare una mano alla mia famiglia, – minimizza il ragazzo.
– Come ti chiami?
– Garry.
– Piacere, Gesú –. Si stringono la mano: quella di Gesú fresca e asciutta, quella di Garry simile a uno strofinaccio palpitante.
– Come quello della Bibbia?
– Spiccicato. Senti, non ti devi preoccupare. Qual è la cosa peggiore che può capitarti?
– Che a loro non piaccio.
– Allora che se ne vadano affanculo. A me piaci.
Una ragazza con le cuffie e un blocco in mano irrompe. – Gesú? – dice. – Gesú Cristo?
– Sono io –. Quando si alza, facendo ruotare la chitarra intorno alla schiena, parte il tipico coro di risatine che di solito accoglie il suo nome e cognome pronunciato in pubblico.
– Tocca a te.
Dalle quinte Gesú guarda la cantante entrata in scena prima di lui, a colloquio con la trimurti dei giudici.
– Fin da quando ero piccola ho sempre saputo che sarei diventata famosa, – sta dicendo, con le telecamere che le vorticano intorno. – Mi sono sempre sentita diversa dagli altri. Io…
– Come no, tesoro, – la interrompe Stelfox, – diversa lo eri senz’altro. Il problema è che non hai talento.
Dal pubblico piove un coro di «buuu» e fischi mentre alla ragazza cominciano a tremolare le labbra.
– Eddài, Steven – dice Darcy. – In questo stesso studio abbiamo sentito strazi ben peggiori di Carrie.
– E questa sarebbe una buona ragione per farla passare, Darcy? «Abbiamo sentito di peggio!» E capirai…
Ai «buuu» si aggiunge qualche risata.
– Sto solo dicendo che non c’è alcun bisogno di…
– Brava, e io sto solo dicendo «avanti il prossimo». Grazie, Carrie.
– Si sbaglia di grosso, – dice Carrie, con aria di sfida.
– Sopravvivrò, – risponde Stelfox. – Il prossimo!
Gesú esce dalle quinte, socchiudendo gli occhi sotto le luci della ribalta e, come...