A volte ritorno
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A volte ritorno

  1. 392 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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A volte ritorno

Informazioni su questo libro

Dopo una settimana di vacanza che sarebbero cinque secoli di tempo terrestre, Dio torna in ufficio, ancora col cappello di paglia e la camicia a quadri. Era andato in vacanza, a pescare, in pieno Rinascimento, quando i terrestri scoprivano un continente alla settimana, e sembrava andasse tutto a gonfie vele. Al suo ritorno però, il quadro che gli fanno i suoi ha del catastrofico: il pianeta ridotto a un immondezzaio, genocidi come se piovesse, preti che molestano i bambini...
Dio non è solo ultradepresso. Anche molto incazzato. L'unica soluzione, pensa, è rispedire sulla Terra quello strafatto di suo figlio.
- Sei sicuro sia una buona idea? - gli chiede Gesú. - Non ti ricordi cosa è successo l'altra volta? - Ma Dio è irremovibile. Cosí Gesú Cristo piomba a New York, tra sballoni e drop out di ogni tipo. E cerca, come può, di dare una mano agli sfigati della terra. Il ragazzo non sa fare niente, eccetto suonare la chitarra. E riesce a finire in un programma di talenti alla tv. Un gran bel modo per fare arrivare il suo messaggio a un sacco di gente. Ma, come già in passato, anche oggi chi sta dalla parte dei marginali non è propriamente ben visto dalle autorità. *** Quand'è che le cose hanno cominciato ad andare a puttane? Colpa di Mosè, forse. Quel falsario. Uno dei primi a cedere al protagonismo. Quando era arrivato in cima al Sinai e aveva messo gli occhi su quell'unica tavola perfettamente cesellata - le parole «FATE I BRAVI» incise nell'elegante corsivo inglese di Dio - aveva dato fuori di matto. Tutto quel can can e lui doveva, cosa?, scendere e dire: «Ehi ragazzi, fate i bravi! Be', non c'è altro. In bocca al lupo per tutto»? Col cazzo. E cosí quel figlio di mignotta si era messo sotto con lo scalpello. Quaranta sudati giorni di lavoro su quella sequela di minchiate. Quella stronzata del «Non desiderare la donna d'altri»? Tipico di Mosè. (Quante pedate nel culo s'era beccato quand'era arrivato qui? Dio gli aveva assestato la prima appena quel coglione aveva varcato la soglia, e aveva smesso solo nei Secoli Bui: almeno un centinaio d'anni. Alla fine ci aveva le chiappe che sembravano due barbabietole bollite). Poi di male in peggio. L'interpretazione. La fiera del «Io-credo-di-sapere-cosa-voleva-dire- Dio». Sbadabum: un millennio dopo qualche sciroccato taglia la gola ai neonati e se li getta alle spalle perché crede di avere Dio dalla sua parte. Cosa cazzo c'era da interpretare in «FATE I BRAVI»?
La stessa, identica domanda che Dio aveva ripetuto per secoli, mentre prendeva a pedate Mosè.
In ogni caso, ormai la frittata è fatta, pensa Dio con un sospiro, mentre si rende conto della piega che stanno prendendo i Suoi pensieri. Qualcuno avrebbe dovuto rispiegare al genere umano cosa significa «FATE I BRAVI».

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2012
Print ISBN
9788806209223
eBook ISBN
9788858405475

Parte quarta

Los Angeles

Roll down the window, put down the top,
Crank up the Beach Boys, baby,
Don’t let the music stop1
RANDY NEWMAN
1 «Abbassa i finestrini, apri la capote, metti a palla i Beach Boys, tesoro, guai a fermare la musica…»

1.

– Perfetto, grazie mille. Ah, un’altra cosa –. Gesú si gira e picchietta la chiave della camera contro il bancone di marmo, con nonchalance. – Mi sa dire dove sarebbe possibile comprare un materassino gonfiabile?
– Gonfiabile? – Le sopracciglia della ragazza alla reception si inarcano di nuovo, come è accaduto diverse volte durante questo lunga, complicata registrazione.
– Materassini, esatto. Per dormirci, no?
– Ah, io davvero non… Forse potreste provare piú giú, verso Sunset Boulevard. Credo che lí ci siano un paio di negozi con articoli balneari. Se girate a sinistra appena fuori dall’albergo…
– Perfetto, – dice Gesú, girandosi verso l’atrio del celebre Chateau Marmont, verso il divano sul quale Kris è stravaccato, con la facciona paonazza tutta sudata e gli occhi chiusi. Stanco e stremato: l’ultima ora passata a sbuffare nel traffico dell’ora di punta a Los Angeles, con l’abitacolo a una temperatura tropicale, l’ha messo al tappeto. Qui dentro si sta bene, è fresco e ombreggiato, pieno di vimini e arazzi e legno tinto e luci soffuse. Gli altri sono sparsi qua e là in funzione dei diversi gradi di stanchezza e curiosità: per l’atrio si sentono gli echi dei gridolini elettrizzati di Becky e dei ragazzi o l’occasionale «Bang!» di sorpresa da parte di Bob, quando scoprono qualche nuova meraviglia in mezzo a tutta quell’opulenza. – Ehi, roccia, – gli grida d’un tratto Kris, sovreccitato. – Ma lo sai che qui ci hanno dormito i Led Zeppelin? – Anzi, erano clienti abituali, guardati con tanto d’occhi dalle star del cinema, dagli agenti, dai produttori e compagnia cantante.
– Sa una cosa, signorina? Penso che andremo a darci una rinfrescata e magari il materassino lo cerchiamo piú tardi.
– Nessun problema, – dice la ragazza con un sorriso. Gesú stava cominciando a capire che qui allo Chateau niente era un problema. – Desidera qualcosa in camera?
– Qualcosa tipo?
– Un rinfresco? Qualcosa da bere o da mangiare?
– A dirla tutta, signorina… – comincia Gesú, sporgendosi verso di lei con aria complice. – Siamo abbastanza a corto di grana –. La ragazza, professionale, è bravissima a fingersi sorpresa e amareggiata per quella inattesa notizia. – E immagino che qui le cose non siano proprio regalate.
La ragazza si china impercettibilmente sopra il bancone di marmo fresco, abbassando di mezzo tono la voce, e mormora: – Il suo conto verrà girato direttamente alla rete televisiva, signore.
– Oh be’, allora… Un certo languorino mi dice che devo proprio fare colazione…
La trasmissione gli ha messo a disposizione un villino. E un villino niente male, anche – piú di trecento metri quadri, salotto, camera da letto, due bagni e una porta a scorrimento che dà su un cortiletto e, ancora piú in là, su un’azzurra piscina ovale – almeno per i due minuti e mezzo che ci vogliono al caravanserraglio per sistemarsi. Eh già, due minuti e mezzo per trasformare la copertina di una rivista d’arredamento nel corredo fotografico di uno struggente articolo sui campi profughi. Gesú se la ghigna, mentre riappizza la canna e osserva la scenetta svaccato su una sdraio fuori. Gus e Dotty, accovacciati per terra, svuotano con metodo il minibar; Miles e Danny si dànno battaglia a colpi di cuscino; l’acqua scroscia nella vasca mentre Becky si prepara un bagno; Pete è spaparanzato sul divano accanto a Claude e gli riassume la trama di Spiagge, mentre davanti a loro un’immagine quasi a grandezza naturale di Bette Midler riempie il gigantesco schermo al plasma; dall’altro lato della stanza Big Bob s’infila in tasca tutto quello che c’è sulla fruttiera; dalla camera da letto, dove Morgs e Kris si sono messi a smanettare con lo stereo, arriva il frastuono della musica. Gesú muove le dita dei piedi in una pozza di luce e pensa: Diavolo, almeno siamo arrivati fin qui.
– Cazzo, siamo a cavallo, – dice Morgan. Mentre sbuca dalla camera, contempla la scena e si lascia cadere sulla sdraio davanti a quella di Gesú, che gli allunga la canna.
– Tu dici? – chiede Gesú, ridendo.
– Il letto è grande come un campo da football. Ci entriamo in quattro senza problemi. Di qua ne piazziamo uno per divano, di notte portiamo dentro ’sti affari… – Morgan indica la sdraio su cui è seduto – e altri due sono sistemati. Bob preferisce comunque dormire per terra. Ma chi è il pazzo che ha bisogno di tutto questo spazio da solo?
– Guardali… – dice Gesú. – Non è uno strippo rendere gli altri felici? – Morgan annuisce, ridendosela. – Nel peggiore dei casi verrò sbattuto fuori al primo turno, ma almeno questi fuori di testa si sono fatti una vacanza con i controcoglioni.
Vedono Bob aprire la porta e quattro camerieri spingere in camera dei carrelli carichi di roba, i vassoi d’argento che riflettono il sole pomeridiano, tutti che si fanno sotto, aprono i coperchi, prendono i bicchieri e le posate. Anche i camerieri sono professionisti, pensa Gesú. Si comportano come se tutto questo – mezza dozzina di famelici balordi che si fiondano come avvoltoi sulla sbobba, un paio di fetidi ubriaconi svaccati per terra, l’odore inequivocabile di maria che riempie la stanza – fosse ordinaria amministrazione. Bob fa un vago cenno in direzione di Gesú e Morgan fuori in cortile, e uno dei camerieri si sgancia dal bailamme per attraversare la suite e presentarsi fuori con un sorriso e un conticino per Gesú.
– Grazie, – dice Gesú, che firma con uno svolazzo e aggiunge il trenta per cento di mancia, – e scusami per… insomma… tutto ’sto… – Indica con lo spinello il caravanserraglio.
– Si figuri, signore, – risponde il cameriere. – Abbiamo avuto ospiti i Metallica per una settimana, quand’erano ancora in grande spolvero. E questo in confronto non è niente…
– Mamma mia, – risponde Morgan. – Com’erano quei tipi?
– Persone adorabili. Grazie, signore, – dice, con un cenno del capo quando riprende il conto. – Alla reception hanno lasciato questa busta per lei –. Allunga a Gesú Cristo una busta con sopra il logo in rilievo della Abn. – E, se posso permettermi, in bocca al lupo per la trasmissione.
– Grazie fratello, – dice Gesú, con un sorriso accattivante.
Gesú infila il pollice nel sigillo e apre la busta: un pass laminato e una lettera dove si conferma che una limousine verrà a prenderlo alle nove della mattina successiva per portarlo agli studi della Abn a Burbank.
– Ma quant’era? – chiede Morgan.
– Cosa?
– Il conto, balordo. Quant’era?
– Mah. Tipo quattrocento svanziche.
Quattrocento svanziche per fare colazione?
– Mancia compresa, Morgan.
– Ah be’, allora… – risponde Morgan, mentre spegne la canna in un enorme posacenere di cristallo. – E solo la scorsa settimana rubavamo sandwich, cazzaro. Non penso che dureremo a lungo qui dentro.
– Io sono fiducioso, – dice Gesú, con gli occhi ancora sulla lettera. – Ma se anche fosse?
– Fratello, c’è qualcosa che ti preoccupa ogni tanto?
Gesú ci pensa un attimo. – Preoccupare me? – dice infine. – Naaa.

2.

Primo giorno sul set: Steven Stelfox incede a grandi falcate dai camerini fino allo Studio 4, alla testa di una falange di assistenti, produttori e truccatrici che lo circondano come una guardia pretoriana. Darcy DeAngelo e Herb Stutz chiudono la fila con il loro piccolo entourage. Primo giorno sul set, in cantiere c’è già dell’ottimo materiale ricavato dai provini regionali: i freak americani montati a dovere, svergognati con brio. Nervi scoperti, come sempre fra la troupe quando Stelfox è nei paraggi, ma niente a che vedere con l’isteria della prossima settimana, quando la trasmissione comincerà ad andare in onda in diretta, «una volta selezionati i concorrenti» (anche se, ovviamente, i concorrenti sono già stati selezionati). Una storia, pensa sempre Stelfox. Chi e cosa ci aiuterà a dare vita a una storia avvincente? Che possa durare fino a Natale, quando arriverà il momento di calare l’asso.
– Sí, stiamo arrivando, – dice una ragazza in cuffia.
– Naomi, tesoro… – dice Stelfox, rifilandole la bottiglietta mezza vuota di Evian, – assicurati che quel ciccione mongoloide alla telecamera tre abbia capito una cosa: se mi inquadra anche solo un’altra volta il profilo sinistro dal basso andrà a fare il cameraman in una telenovela messicana per il resto dei suoi giorni.
– Lo sa già, SS.
Le porte dello studio si aprono e Stelfox cambia espressione sfoderando un sorriso affabile: è arrivato il momento dell’incontro fra il generale e le truppe.
Funziona cosí. La prima puntata sarà composta in gran parte dai filmati dei provini regionali: in sostanza una pesca a strascico per tutto il continente, con dentro una buona fetta di popolazione americana che a rigor di logica dovrebbe trovarsi in una cella imbottita a battere i pugni contro le pareti: il frocio cinquantenne che sgambetta in calzamaglia e ulula canzoni di Madonna; l’isterico molestatore di bambini che farfuglia una ballata degli Eagles; le casalinghe obese che si sgolano. Poi, per gradi, metteranno a fuoco qualche elemento di queste tre categorie: 1) i pochi dotati di talento autentico e bella presenza, che passeranno di sicuro; 2) quelli dotati di talento ma penalizzati da problemi di obesità, strabismo, denti da cavallo, acne fluorescente o altre schifezze, che potrebbero essere ammessi se nelle loro storie personali ci sarà abbastanza pathos e intensità. (Dialisi e povertà. Catapecchie e orfanotrofi. Genitori assenti e infanzie tragiche. E quel «potrebbero» funziona solo per i telespettatori – i merdaioli, per usare il termine coniato da Stelfox – la produzione ovviamente ha già deciso da tempo chi passerà). E infine la categoria 3), il gruppetto ridotto in cui figurava Gesú: quelli belli, talentuosi e chiaramente fuori di melone.
Nel grande camerino, piú che altro una sala d’attesa, Gesú sente le risate del pubblico in studio mentre vengono trasmessi i filmati dei provini. Sovrappensiero, strimpella qualche nota sulla Gibson unplugged e si guarda intorno. Saranno in venti ammassati qui: tutti quanti nervosi, in fibrillazione, a canticchiare scale, a fare gli esercizi di riscaldamento, tutti con il vestito migliore, tutti che si occhieggiano diffidenti, qualcuno apertamente in cagnesco.
Tutti eccetto Gesú, ovviamente. Al sorriso beato e ai jeans stracciati e alle scarpe da ginnastica si è aggiunta la pulita ma stinta maglietta dei Mogwai che quella mattina ha chiesto in prestito a Becky, l’unica fra tutti loro ad avere il buon senso di lavare qualcosa in albergo. Un ragazzone nero passa accanto a Gesú e si appoggia a un angolo, rabbrividendo in un lago di sudore. Sembra che preferisca stare vicino al lavandino, come se avesse bisogno di vomitare. È enorme, peserà almeno centoventi chili. – Ehi, tutto bene? – gli chiede Gesú.
Il ragazzo fa segno di no. – Sai cosa? Non vedo l’ora che sia finita.
– Ma allora perché lo fai? – chiede Gesú, in tono garbato.
– Vorrei dare una mano alla mia famiglia, – minimizza il ragazzo.
– Come ti chiami?
– Garry.
– Piacere, Gesú –. Si stringono la mano: quella di Gesú fresca e asciutta, quella di Garry simile a uno strofinaccio palpitante.
– Come quello della Bibbia?
– Spiccicato. Senti, non ti devi preoccupare. Qual è la cosa peggiore che può capitarti?
– Che a loro non piaccio.
– Allora che se ne vadano affanculo. A me piaci.
Una ragazza con le cuffie e un blocco in mano irrompe. – Gesú? – dice. – Gesú Cristo?
– Sono io –. Quando si alza, facendo ruotare la chitarra intorno alla schiena, parte il tipico coro di risatine che di solito accoglie il suo nome e cognome pronunciato in pubblico.
– Tocca a te.
Dalle quinte Gesú guarda la cantante entrata in scena prima di lui, a colloquio con la trimurti dei giudici.
– Fin da quando ero piccola ho sempre saputo che sarei diventata famosa, – sta dicendo, con le telecamere che le vorticano intorno. – Mi sono sempre sentita diversa dagli altri. Io…
– Come no, tesoro, – la interrompe Stelfox, – diversa lo eri senz’altro. Il problema è che non hai talento.
Dal pubblico piove un coro di «buuu» e fischi mentre alla ragazza cominciano a tremolare le labbra.
– Eddài, Steven – dice Darcy. – In questo stesso studio abbiamo sentito strazi ben peggiori di Carrie.
– E questa sarebbe una buona ragione per farla passare, Darcy? «Abbiamo sentito di peggio!» E capirai…
Ai «buuu» si aggiunge qualche risata.
– Sto solo dicendo che non c’è alcun bisogno di…
– Brava, e io sto solo dicendo «avanti il prossimo». Grazie, Carrie.
– Si sbaglia di grosso, – dice Carrie, con aria di sfida.
– Sopravvivrò, – risponde Stelfox. – Il prossimo!
Gesú esce dalle quinte, socchiudendo gli occhi sotto le luci della ribalta e, come...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. A volte ritorno
  3. Parte prima - Paradiso
  4. Parte seconda - New York
  5. Parte terza - On the road
  6. Parte quarta - Los Angeles
  7. Parte quinta - Il paradiso in Texas
  8. Parte sesta - Dopo Cristo
  9. Copyright