A Juan Benet
e Vicente Molina Foix
La famiglia Taeger, composta di tre figli – Milton, Edward e Arthur –, una figlia – Elaine –, nonno Rudolph, zia Mansfield, nonché del signore e della signora Taeger, cominciò ad andare a rotoli nel 1922, quando vivevano ancora tutti a Pittsburgh, Pennsylvania.
A quell’epoca Edward aveva vent’anni e stava per terminare i suoi studi alla facoltà di storia. Era all’ultimo anno di università e voleva sposarsi presto, subito dopo la laurea. Suo padre, Davison Taeger, faceva l’architetto, guadagnava un mucchio di quattrini, e quel che piú gli interessava, a lui come a sua moglie Grace, era occupare una posizione rispettabile ed essere annoverato tra i piú distinti membri dell’alta società di Pittsburgh. A quei tempi c’era già riuscito, e i Taeger davano ogni mese una grande festa alla quale partecipavano, generalmente, non meno di duecento invitati. Fu a una di quelle feste che ebbe inizio la catastrofe familiare.
Zia Mansfield, sorella della signora Taeger e vedova dell’aspirante senatore Archibald Mansfield, morto in un incidente aereo nel 1919, aveva retto molto bene, in apparenza, la perdita del marito, e non si era mai permessa, in quei tre anni di vedovanza, una sola scena di pianto o di isteria. Eppure ogni notte, nella sua stanza, quando nessuno la vedeva, tirava fuori una piccola fotografia del marito che teneva in un cassetto chiuso a chiave, e di fronte a quell’immagine pregava come davanti all’immagine di un santo. Poi la baciava a lungo e andava a letto. Naturalmente, nessuno dei membri della famiglia lo sapeva, per questo rimasero tutti cosí stupefatti da ciò che avvenne alla festa tenutasi in casa loro nel mese di novembre del 1922.
Quell’anno, poiché il signore e la signora Taeger erano rientrati molto tardi dalle vacanze in Europa, non era stato possibile organizzare il ricevimento di ottobre, e quella serata di novembre rappresentava l’occasione per festeggiare il loro ritorno e insieme dare il benvenuto al nuovo governatore dello stato, il quarantacinquenne Ramsay Gilman cui si augurava un brillante avvenire.
Zia Mansfield, sempre sobria e piena di dignità, partecipava molto di rado a quelle feste, e quando lo faceva si limitava a starsene seduta su un divano, a salutare amabilmente gli ospiti e a spettegolare con Arthur, che era il suo nipote prediletto. Quella sera, però, presentendo che sarebbe accaduto qualcosa di meraviglioso, volle mostrarsi piú vivace del solito e, sempre in compagnia di Arthur, si mescolò agli ospiti e ballò perfino tre o quattro volte. Si era seduta a riposare su una poltrona dopo un valzer estenuante quando fu annunciato l’arrivo del governatore. Una nutrita folla di persone si precipitò verso il cancello e intonò un canto di benvenuto composto dall’associazione delle dame di Pittsburgh, che diceva qualcosa come:
Welcome, welcome Mr Gilman,
Welcome, welcome to the town.
We all think that you’re a good man
’Cause you’re always dressed in brown.
[Benvenuto, benvenuto, signor Gilman,
benvenuto, benvenuto qui in città.
Pensiamo tutti che lei sia un brav’uomo
perché sempre di marrone vestirà].
Dopodiché tutti risero con grande strepito e la folla tornò dentro. Zia Mansfield, udendo quella canzoncina, aveva detto a suo nipote:
– Non so proprio, Art, come il signor Gilman possa tollerare questo genere di scherzi. Archie era un uomo piú serio. Non ha mai permesso che il suo prestigio subisse il minimo affronto. Sarebbe diventato senatore come niente.
Il signor Gilman entrò, circondato da una corte di ammiratori. Era un uomo alto, robusto ma distinto, con i capelli candidi e senza alcun segno di calvizie, indossava un abito da sera di un marrone molto scuro e portava una canna da passeggio. Il signor Taeger appena lo vide andò a stringergli la mano. Poi passò a presentargli gli altri membri della famiglia. In quel mentre zia Mansfield impallidiva, con gli occhi fissi sulla figura del signor Gilman. Quando venne il suo turno e il governatore le si avvicinò porgendole la mano, si alzò bruscamente dalla grande poltrona su cui era seduta e gli prese le dita, per baciargliele con rispetto e devozione. Il signor Gilman la guardò attonito, si sforzò di sorridere e disse:
– Non è il caso, sono solo un governatore.
Zia Mansfield parve non sentirlo ed esclamò:
– Finalmente sei tornato! – E ricadde sulla poltrona, morta.
Nessuno dei presenti capí che cosa avesse voluto dire, e per molto tempo dopo di allora il signor Gilman si sentí colpevole dell’incidente e non osò mai opporsi alla famiglia Taeger su nessuna questione legale o amministrativa, al punto che nei tre anni successivi il vero governatore dello stato fu Davison Taeger.
La morte di zia Mansfield, e soprattutto il modo inspiegabile in cui era avvenuta, mise in grave imbarazzo i componenti della famiglia ed ebbe come conseguenza la fuga a Los Angeles di Arthur, il minore dei quattro fratelli, che una settimana dopo il decesso della zia si recò nello studio di suo padre e gli disse:
– Papà, voglio parlarti molto seriamente. Tu sai quanto significasse zia Mansfield per me e quanto mi abbia addolorato la sua morte. Ormai tutto quanto mi circonda, la casa, la città, mi parla di lei e soffro costantemente, perciò desidero andarmene. A Los Angeles.
Il signor Taeger si mostrò contrariato e disse che essendoci già stato uno scandalo in famiglia non poteva permettersi di subirne un altro. Art non rispose, ma tre giorni dopo scomparve da casa senza lasciare neppure un biglietto e non si seppe piú nulla di lui per cinque anni.
Mentre faceva inutili indagini per rintracciarlo, la famiglia nascose la scomparsa di Art alla città. Ma quando ciò non fu piú possibile per via delle continue domande di amici e vicini, venne annunciato ufficialmente che Arthur era partito per Providence dove avrebbe terminato gli studi per poi entrare direttamente all’Università di Rhode Island. Questa bugia non serví a nulla, perché Arthur spedí cartoline ai suoi amici di Pittsburgh dicendo la verità e in breve tutti la vennero a sapere. I Taeger, per non dover dare spiegazioni, finsero di ignorare che l’intera città era a conoscenza della fuga del figlio. E fu cosí che cominciarono a perdere prestigio e a essere sulla bocca di tutti. Il signore e la signora Taeger, la giovane Elaine e nonno Rudolph, si sentivano umiliati e mal sopportavano quella situazione. Il fidanzato di Elaine, giovanotto di ottima famiglia che rispondeva al nome di Warren Murchison III, la piantò con una scusa, ma fu chiaro che vero motivo della rottura fu il brutto momento che stavano attraversando i Taeger; e i soci del club Brantome, il piú aristocratico della città, per due settimane tolsero il saluto a nonno Rudolph, offesa che lo costrinse a rinunciare alla sua tessera di socio. La situazione cominciava a farsi critica, e alla festa di dicembre, che solitamente era la piú apprezzata dell’anno, vennero appena cinquantatre invitati. Da quel momento in poi la famiglia prese la decisione di ritirarsi dalla vita sociale della città, nell’attesa di un colpo di fortuna che le restituisse il prestigio perduto e le permettesse di tornare a brillare. Ma il signor Taeger, grazie all’influenza che esercitava sul governatore, non perdeva occasione per vendicarsi delle persone che piú aspramente attaccavano e criticavano la famiglia.
Milton e Edward, i due figli maggiori, erano invece molto felici. Trovavano magnifico che il loro fratello minore fosse fuggito e che i loro genitori, per i quali provavano grande antipatia, fossero oggetto di scherno e commenti malevoli. Edward studiava tutto il giorno, e all’infuori di questo la sua vita si riduceva alle passeggiate con la fidanzata Kathie Lonergan nel campus dell’università. Milton, invece, da poco laureato in giurisprudenza, nell’attesa di poter fondare un proprio studio legale lavorava la mattina come praticante e segretario del signor L. Q. Finnerty, uno dei migliori avvocati del paese, occupazione che gli lasciava un mucchio di tempo libero per tradire le sue molteplici fidanzate e frequentare le bische notturne dei bassifondi.
Fu Milton ad aggravare la reputazione della famiglia quando decise di essere un dritto e di poter vivere senza il minimo sforzo. Ideò un piano e scelse la sua vittima.
Malgrado il discredito in cui erano caduti, i Taeger venivano ancora invitati a qualche festa, come quella che si tenne nel marzo del 1923 a casa dei Kerr, in onore del figlio Max appena rientrato a Pittsburgh dopo aver fatto il giro del mondo a bordo di una piccolissima zattera. Appena entrati in casa dei Kerr, i Taeger furono condotti in uno studiolo tappezzato con ritagli di quasi tutti i giornali degli Stati Uniti sui quali si poteva leggere, a caratteri cubitali: Max Kerr sbarca a San Francisco, Max Kerr conclude il suo giro del mondo in zattera, o Grande trionfo di Max e della sua zattera Fiona. Davison e Grace Taeger, cosí come Elaine e nonno Rudolph, invidiosi, si limitarono a scambiarsi qualche commento sprezzante che potesse giungere agli orecchi di Fiona Kerr, la madre di Max, che era orgogliosa come non mai. Milton, invece, fu gentilissimo e si congratulò con Max e con i suoi genitori. Poi condusse Max in un angolo e gli disse:
– Senti, Max, in confidenza, a me che sono un tuo vecchio compagno di università puoi dirlo, quanto ti ha pagato la ditta che costruisce le zattere per tutta la pubblicità che le hai fatto?
Max era un ragazzo forte e atletico, ma non troppo intelligente. Aveva sei anni piú di Milton e si era laureato insieme a lui. Rispose tutto soddisfatto, senza esitazioni:
– Non ci crederai, Milt, ma mi hanno dato nientemeno che diecimila dollari. Non male, eh? Davvero, ho corso dei rischi ma per una somma simile ne è valsa la pena, tanto piú che i rischi passano e si dimenticano, mentre i bigliettoni non te li dimentichi mai.
Milton fece una piccola smorfia sdegnosa e disse:
– Solo diecimila? Max, sei un ingenuo. Ti sei lasciato gabbare come un pollo. Sai quanto ha preso dalla fabbrica di costumi da bagno quell’inglese che ha attraversato a nuoto dieci volte di seguito un lago famoso, due anni fa?
– No, – rispose Max già un po’ deluso.
– Il doppio, ventimila, in sterline, – disse Milt, e vedendo lo smarrimento sul volto di Max, aggiunse: – Ma tu non puoi piú farci niente, vero? Immagino tu abbia già firmato tutte le carte e i contratti che ti hanno messo davanti.
– Sí, – rispose Max, confuso. Di colpo la sua gioia era svanita e appariva completamente abbattuto. Milton tacque qualche secondo per dargli il tempo di rendersi conto che lo avevano ingannato e che avrebbe potuto guadagnare molto di piú. Poi sorrise, gli diede un’amichevole pacca sulla spalla e disse:
– Be’, Max, non prendertela. Puoi sempre investire i tuoi diecimila dollari in qualche b...