Delitto al trentunesimo piano
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Delitto al trentunesimo piano

  1. 224 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Delitto al trentunesimo piano

Informazioni su questo libro

In un futuro non lontano in cui lo Stato si fa carico di risolvere i problemi di tutti - abitazioni, disoccupazione, iniquità sociali - qualcosa inaspettatamente sfugge ai controlli. Una lettera minatoria viene recapitata nel palazzo dell'editoria, sede delle centinaia di testate del Paese, tutte scrupolosamente depurate di qualsiasi notizia possa turbare la serenità dei cittadini. Il caso viene affidato al cupo ispettore Jensen, che non appena inizia le sue indagini si trova invischiato nel misterioso trentunesimo piano di un palazzo che ne conta solo trenta. «La busta era bianca e del tipo piú comune. Era affrancata con tre francobolli e nell'angolo sinistro in basso c'era l'etichetta rossa della raccomandata. La busta conteneva un foglio di carta piegato in quattro. Sia l'indirizzo sia il testo erano composti con lettere incollate, evidentemente ritagliate da un giornale. La carta sembrava essere di ottima qualità e il formato appariva insolito. Jensen tenne il foglio tra le punte delle dita e lesse: Come rappresaglia per l'omicidio che avete commesso, una bomba a orologeria a elevato potenziale è stata piazzata nell'edificio ed esploderà esattamente alle quattordici del ventitre marzo, fate in modo che gli innocenti si salvino».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2012
Print ISBN
9788806209155
eBook ISBN
9788858405628

Delitto al trentunesimo piano

a Maj

1.

L’allarme scattò esattamente alle tredici e zero due. Il capo della polizia diramò personalmente l’ordine con una telefonata giú al Sedicesimo distretto, e novanta secondi piú tardi i campanelli cominciarono a squillare nei locali di servizio e negli uffici a pianterreno. Stavano ancora suonando quando il commissario Jensen uscí dalla sua stanza e scese. Jensen era un ufficiale di polizia di mezza età, di corporatura media e con un viso liscio e inespressivo. Sull’ultimo gradino della scala a chiocciola si fermò e lanciò una lunga occhiata al locale di guardia. Si sistemò la cravatta e uscí per raggiungere la macchina.
Il traffico dell’ora di pranzo era intenso e luccicante di lamiere, e gli edifici della città svettavano nella fiumana di automobili come un agglomerato di pilastri di vetro e cemento. In quel mondo di superfici dure, le persone sui marciapiedi sembravano fuori posto e infelici. Erano ben vestite, ma si somigliavano in modo singolare, e tutte avevano fretta. Avanzavano a scatti, in file, e si ammassavano davanti ai semafori rossi e ai bar dalle cromature lucide. Si guardavano continuamente attorno toccando le loro ventiquattrore e le loro borse.
A sirene spiegate, le auto della polizia si fecero strada nella ressa.
Il commissario Jensen era a bordo della prima macchina, una vettura standard coi sedili plastificati; lo seguiva un furgone grigio con le inferriate ai finestrini posteriori e il lampeggiante sul tettuccio.
Il capo della polizia parlava dalla centrale radio.
– Jensen?
– Sí.
– Dove si trova?
– Davanti al palazzo del sindacato.
– Sta usando le sirene?
– Sí.
– Le spenga appena ha superato la piazza.
– Il traffico è molto intenso.
– Non importa. Deve evitare di attirare l’attenzione.
– I giornalisti ci ascoltano sempre.
– Non si preoccupi di loro. Io penso ai cittadini. All’uomo della strada.
– Capisco.
– È in divisa?
– No.
– Bene. Di quanti uomini dispone?
– Di uno, oltre a quattro agenti in borghese. Nel furgone ci sono nove uomini della polizia di prevenzione. In divisa.
– Solo gli uomini in borghese possono farsi vedere all’interno o nelle immediate vicinanze dell’edificio. Faccia scendere metà degli agenti dal furgone trecento metri prima di arrivare. Poi dica di parcheggiare il veicolo piú avanti, a distanza di sicurezza.
– Ricevuto.
– Blocchi la strada principale e tutte le traverse.
– Ricevuto.
– Se qualcuno fa domande, lo sbarramento dipende da urgenti lavori stradali. Per esempio…
Si zittí.
– Una tubatura del riscaldamento scoppiata.
– Esatto.
Per un attimo la linea fu disturbata.
– Jensen?
– Sí.
– È al corrente della questione del titolo?
– La questione del titolo?
– Credevo che tutti lo sapessero. Non può chiamare nessuno di loro «signore».
– Ricevuto.
– Ci tengono molto.
– Capisco.
– Spero di non dover sottolineare di nuovo la… delicatezza dell’incarico?
– No.
Rumore meccanico. Qualcosa che poteva essere un sospiro, profondo e metallico.
– Dove si trova adesso?
– Nella parte meridionale della piazza. Davanti al monumento ai lavoratori.
– Spenga le sirene.
– Eseguito.
– Incrementi la distanza tra le vetture.
– Eseguito.
– Invierò le volanti disponibili come rinforzo. Saliranno nel parcheggio. Le utilizzi in caso di emergenza.
– Ricevuto.
– Dove si trova?
– Sulla carreggiata nella parte nord della piazza. Adesso vedo la Casa.
La strada era ampia e dritta, con sei corsie e uno stretto salvagente tinteggiato di bianco al centro. Oltre un alto filo spinato d’acciaio, sulla sinistra, c’era un pendio e al di sotto un grande spiazzo per i camion con centinaia di depositi merci e carrelli elevatori bianchi e rossi in coda alle piattaforme di carico. Alcune persone si muovevano lí attorno, piú che altro scaricatori e autisti in tute bianche e berretti rossi.
La strada era stata ricavata facendo saltare un crinale roccioso ed era in salita. La parte orientale era delimitata da una parete di granito lisciata col cemento. La parete era azzurra, con delle striature di ruggine verticali derivanti dall’armatura in ferro, e in cima all’altura si scorgeva qualche spoglia corona d’albero. Dal basso non si riusciva a vedere l’edificio situato oltre le piante, ma Jensen sapeva che esisteva e che aspetto aveva. Era un ospedale psichiatrico.
Il culmine della strada arrivava all’altezza del pendio ed era seguito da una leggera curva a destra. Esattamente lí sorgeva la Casa; era tra le piú alte del Paese e, grazie alla sua posizione, si vedeva da tutte le zone della città. La si scorgeva sempre sopra di sé, e da qualsiasi direzione si giungesse sembrava costituire il punto d’arrivo di ogni strada.
La Casa era a pianta quadrata ed era alta trenta piani. Su ogni facciata c’erano quattrocentocinquanta finestre e un orologio bianco con le lancette rosse. Il rivestimento era costituito da pannelli smaltati, blu notte alla base, con sfumature piú chiare man mano che si saliva.
Da come Jensen la vedeva attraverso il parabrezza, la Casa sembrava spuntare dalla terra come un’enorme colonna che cresceva nel freddo cielo primaverile sgombro di nuvole.
Il commissario teneva ancora il radiotelefono premuto sull’orecchio e si chinò in avanti. La Casa s’ingrandí e occupò tutto il suo campo visivo.
– Jensen?
– Sí.
– Mi fido di lei. Sta a lei valutare la situazione, adesso.
Ci fu una breve pausa con un crepitio. Poi il capo della polizia disse titubante: – Passo e chiudo.

2.

Al diciottesimo piano il pavimento era coperto da tappeti azzurri. C’erano anche due grandi modelli di navi nelle loro teche di vetro e una sala con poltrone e tavolini dalle forme arrotondate.
In una stanza con le pareti in vetro tre giovani donne sedevano senza far nulla. Una di loro lanciò un rapida occhiata al visitatore e disse: – Di che si tratta?
– Mi chiamo Jensen. È urgente.
– Va bene.
La donna si alzò svogliatamente e attraversò la stanza con passo lento e studiata nonchalance; quindi aprí una porta e disse: – C’è un certo Jensen.
Aveva le gambe ben tornite e la vita sottile. L’abbigliamento era di cattivo gusto.
Un’altra donna apparve sulla soglia. Sembrava un po’ piú vecchia, ma non di molto, aveva i capelli biondi, tratti puliti e nel complesso un aspetto asettico.
Guardò oltre la sua assistente e disse subito: – Prego. La stanno aspettando.
La stanza d’angolo aveva sei finestre, sotto le quali si stendeva la città, irreale e senza vita come un modellino su una carta topografica. A dispetto della luce del sole, la vista era magnifica e la giornata nitida e fredda. I colori nella stanza erano puliti e duri, e le pareti molto chiare, cosí come i pavimenti e l’arredamento in tubolare d’acciaio.
Una vetrinetta tra le finestre conteneva alcune coppe placcate in nichel con incise delle ghirlande di foglia di quercia e coi basamenti di legno nero. La maggior parte erano sormontate da arcieri nudi o da aquile con le ali spiegate.
Sulla scrivania c’erano un interfono, un grande portacenere d’acciaio inossidabile e un telefono modello cobra color avorio.
Sopra la vetrinetta era collocata una bandierina da tavolo bianca e rossa con un’asta cromata; sotto la scrivania si scorgevano un paio di sandali gialli e un cestino vuoto in metallo leggero.
Al centro della scrivania era posata una lettera raccomandata.
Nella stanza erano presenti due uomini.
Uno era in piedi sul lato corto della scrivania con le punte delle dita posate sul piano levigato. Indossava un abito scuro ben stirato, scarpe nere cucite a mano, camicia bianca e cravatta di seta color argento. Il viso era liscio e servile, i capelli ben pettinati e lo sguardo canino dietro i grossi occhiali con la montatura di corno. Jensen aveva visto spesso volti del genere, soprattutto in televisione.
L’altro, che sembrava un po’ piú giovane, portava delle calze a righe gialle e bianche, pantaloni marrone chiaro di terylene e una camicia bianca sbottonata fuori dai pantaloni. Era inginocchiato su una sedia davanti a una finestra, col mento tra le mani e i gomiti appoggiati contro la lastra di marmo bianca. Era biondo, con gli occhi azzurri e scalzo.
Jensen mostrò il distintivo e mosse un passo verso la scrivania.
– Il direttore?
L’uomo con la cravatta di seta scosse la testa e si scostò dal bordo della scrivania facendo dei leggeri inchini e dei gesti impazienti e vaghi verso la finestra. Il suo sorriso sfidava ogni tentativo di analisi.
Il biondo scese dalla sedia e zampettò sul pavimento. Strinse la mano a Jensen. Brevemente e con vigore. Poi indicò la scrivania. – Lí, – disse.
La busta era bianca e del tipo piú comune. Era affrancata con tre francobolli e nell’angolo sinistro in basso c’era l’etichetta rossa della raccomandata. La busta conteneva un foglio di carta piegato in quattro. Sia l’indirizz...

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