
- 176 pagine
- Italian
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eBook - ePub
I ventitre giorni della città di Alba
Informazioni su questo libro
Storie partigiane trattate con piglio disincantato, antireto- rico, talora epico-burlesco; storie di Alba e delle Langhe, vicende sanguigne e beffarde, drammi di miserie antiche e di speranze impossibili: con quel suo linguaggio crudo, privo di ostentazione, con quel suo stile asciutto ed esatto, Fenoglio restituisce le prime cronache veramente sincere delle contraddizioni vitali della Resistenza e penetra il «mistero» della spietatezza dei rapporti umani. Con una Presentazione di Dante Isella e la cronologia della vita e delle opere.
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Informazioni
Argomento
LetteraturaCategoria
ClassiciEttore va al lavoro
Sulla tavola della cucina c’era una bottiglietta di linimento che suo padre si dava ogni sera tornando su dalla bottega, un piatto sporco d’olio, la scodella del sale... Ettore passò a guardare sua madre.
Stava a cucinare al gas, lui le guardò per un po’ i fianchi sformati, i piedi piatti, quando si chinava la sottana le si sollevava dietro mostrando i grossi elastici subito sopra il ginocchio.
Ettore l’amava.
Ettore finí di fumare e gettò il mozzicone mirando il mucchietto di segatura in terra vicino alla stufa. Ma cadde prima, accanto a un piede della madre. Lei si inclinò a guardarlo e poi si raddrizzò davanti al gas.
– Cos’hai guardato? – domandò lui con una voce pericolosa.
– Non sapevo che cosa m’era caduto vicino –. Lei aveva parlato da indifferente.
– Io la conosco bene quella tua maniera di guardare. Spegnilo! – urlò.
La donna fissò il figlio tendendo la pelle della fronte, poi abbassò gli occhi e calcò il piede sul mozzicone. – Spento, – disse, e poi: – Ti fa male fumare tanto.
Ettore urlò: – Sei una giudea! Non è alla mia salute che pensi, è ai tuoi soldi. Io posso diventare tisico per il fumare e a te non te ne fa niente, ma sono i soldi che costano le sigarette... Sei una giudea!
Lei chinò la testa e non disse piú niente, solo sospirò in un modo che le portò avanti tutto il petto.
Adesso lui aspettava che lei parlasse, ma lei stava zitta, lui col labbro inferiore tutto sporto stava a guardarla pelare una patata con un’attenzione innaturale, s’infuriò dentro, gli pareva che vincesse lei stando zitta.
Si alzò da seduto e si mise ad andare su e giú per la cucina. Tutte le volte che le arrivava alle spalle, si fermava, con una fortissima voglia di provocarla, di urtarla nella schiena. Non lo fece, ma l’ultima volta che le si fermò dietro, le stese contro un braccio e le disse: – Lasciami vivere, sai.
– Io non ti ho detto niente. Che cosa ti ho detto?
Ettore tornò. – È quello che hai nella testa che… Cosa ti viene nella testa tutte le volte che mi vedi accendere una sigaretta? Ti viene voglia di battermi con un martello, io lo so! Per te può fumare solo chi il tabacco se lo guadagna.
– Mai detto questo.
– Ma lo pensi. Di’ che lo pensi! – Le andò addosso con le mani alte. – Confessa che lo pensi! – gridò.
Sua madre lasciò cadere la patata e gli si rivolse col coltello in mano: – Stai indietro.
Lui si fermò e lei disse: – Stai dove sei. Tanto non mi spaventi piú, è passato il tempo che mi spaventavi.
Ettore rise. – Basta che io ti alzi un dito sotto il mento per spaventarti. Attenta che lo alzo.
Lei lo scartò con uno scatto giovanile, gli sfuggí passando tra lui e la stufa e corse alla porta gridando: – Carlo! Carlo! – Ma lui la raggiunse, le passò avanti, le sbarrò col corpo la porta. Poi col petto gonfio e il movimento delle spalle la respinse verso il gas. – È inutile, stavolta non ci arrivi a farti sentire, a contar le tue storie a mio padre e a mettergli voglia di picchiarmi e di maledirmi –. Ripeté la voce stridula con cui lei aveva chiamato il marito. – È inutile, adesso prima ci spieghiamo io e te, ce la vediamo tra noi due soli, da madre a figlio, – e rise.
La madre aveva ripreso in mano la patata da finir di pelare.
– Allora, che cos’hai contro di me?
– Non ho niente.
– Bugiarda! Che cos’hai contro di me?
– Io sono tua madre. Non posso aver niente contro di te –. Si era girata e faceva un gesto da avvocato, tendeva le mani con le palme all’insú, a dimostrare.
Ettore scrollò furiosamente la testa e a occhi chiusi urlò: – Cos’hai contro di meee?
– Ho che non lavori! – gridò lei e si rannicchiò nell’angolo del gas.
Ma lui stette fermo nel mezzo della cucina, solo accennò con la testa e fece un lungo – Ah.
– Ho che hai ventidue anni e non lavori, – disse lei.
– Cosí ce l’hai con me perché non lavoro e non ti porto a casa un po’ di sporchi soldi. Non guadagno, ma mangio, bevo, fumo, e la domenica sera vado a ballare e il lunedí mattina mi compero il giornale dello sport. Per questo ce l’hai con me, perché io senza guadagnarmele voglio tutte le cose che hanno quelli che se le guadagnano. Tu capisci solo questo, il resto no, il resto non lo capisci, non vuoi capirlo, perché è vero ma è contro il tuo interesse. Io non mi trovo in questa vita, e tu lo capisci ma non ci stai. Io non mi trovo in questa vita perché ho fatto la guerra. Ricordatene sempre che io ho fatto la guerra, e la guerra mi ha cambiato, mi ha rotto l’abitudine a questa vita qui. E adesso sto tutto il giorno a far niente perché cerco di rifarci l’abitudine, son tutto concentrato lí. Questo è quello che devi capire e che invece tu non vuoi capire. Ma te lo farò capire io! – e tese di nuovo il braccio contro di lei.
Lei disse: – Io capisco che tu non hai voglia di lavorare, lo vedo coi miei occhi. Perché hai lasciato il lavoro all’impresa?
– Il bel lavoro che m’han dato all’impresa! Tu lo sai perché l’ho lasciato, te l’ho detto, te l’ho gridato in faccia una volta come questa. Perché non era un lavoro da me, tu hai visto che lavoro mi facevano fare.
Lei negò sporgendo le labbra.
– Lo sai che lavoro mi facevano fare, – gridò lui, – perché un giorno sei venuta fin là a spiare se io ero andato a lavorare o se ero andato al fiume a fare il bagno.
– Questo te lo sei sognato tu.
– Bugiarda, sei una porca bugiarda! – gridò lui e la madre chinò la testa. – Mi facevano portare il calcestruzzo dalla betoniera a dove faceva di bisogno, cosí tutto il giorno, tutto il giorno avanti e indietro col carrello. Io da partigiano comandavo venti uomini e quello non era un lavoro da me. Il padre l’ha capito quando gliel’ho spiegato e non mi ha detto niente perché lui è un uomo e...
– Tuo padre è un povero stupido!
– Cristo, non dire che è stupido mio padre!
– Io posso dire di tuo padre cosa voglio, tutto quel che mi sento, sono l’unica che può. Tuo padre è uno stupido, è cieco e tu lo incanti come vuoi e per questo non ce l’hai mai con lui. Ma ce l’hai sempre con me perché io non sono stupida, io tu non m’incanti, perché io so quel che vuoi dire prima che tu parli, perché a me non la fai e per questo ce l’hai sempre con me! – Sembrava ubriaca d’orgoglio, quasi ballava con le mani sui fianchi.
Ettore le disse: – Tu sei furba, sí, sei piú intelligente di lui, te lo divori come intelligenza, ma io preferisco lui che tu dici che è stupido. Lo preferisco, gli voglio piú bene che a te e se mi mettessero il problema di chi lasciar morire di voi due, lascerei andare te senza pensarci un minuto.
Ettore e sua madre diventarono bianchi in viso e a tutt’e due cascarono le braccia.
Poi Ettore corse addosso a sua madre, la prese per le spalle, nascose la faccia nei suoi capelli vecchi, lei lottava e puntava le ginocchia, gridava: – Lasciami andare, non toccarmi, va’ via che non ti veda mai piú! – e poi si mise a piangere, gli piangeva sul nudo del collo, ma lottava ancora, lui la strinse piú forte, furono lí lí per perdere l’equilibrio, Ettore raddrizzò tutt’e due con uno scossone, e gridava: – Lasciati abbracciare, non farti far male, stai buona che tanto non ti lascio andare, voglio tenerti abbracciata, adesso non ti muovere piú.
Stette finalmente ferma, piangeva sempre, i suoi capelli sapevano di petrolio, il suo vestito sapeva di lavandino.
Lui le disse: – Perché non mi hanno ammazzato? Tanto che m’hanno sparato davanti e di dietro e non mi hanno ammazzato!
Lei scosse la testa dandogli un forte colpo sulla guancia. – Ah, Ettore, non parlare cosí, ma mettiti a lavorare, fai un lavoro qualunque, non esser cieco, credimi e non sgridarmi quando ti dico che siamo quasi sulla strada. Tuo padre non ce la fa piú nel suo mestiere e io non ho altro lavoro che quello della casa e ho la malattia di fegato. Se non ti metti a lavorare tu, ci verrà a mancare il mangiare, l’alloggio e il vestire non solo, ma perderemo anche le nostre anime, perché diventeremo tutti pieni di veleno.
– Lascia fare a me, madre, la studio io la maniera, ti porterò dei soldi a casa, te lo giuro.
– Ma non tardare, Ettore, comincia ad aiutarci un po’, dacci subito un po’ di respiro, vendi le armi che hai portato a casa dalla guerra.
Lui scosse la testa contro la testa di lei. – Ho già provato con l’armaiolo di via Maestra, ma non me le compera, sono troppo grosse, dice che non sono commerciabili.
– Come faremo, Ettore?
– Faremo. Mamma, perdonami.
– Sí.
– No, dimmelo per lungo.
– Ti perdono.
– E non dirgli niente di oggi al padre, che possa tornar su stasera e non aver niente da non star tranquillo.
Quando scese e passò davanti alla bottega di suo padre, suo padre stava girato verso il fondo, gli si vedevano solo le spalle piene che Ettore aveva ereditate da lui, stava lucidando un mobile, tra l’odore degli acidi che adoperava.
– Vuoi una mano?
Suo padre si girò appena, scrollò la testa, disse mentre lui già si muoveva: – Torna solo presto per cena, stasera voglio mangiare presto e andare subito a dormire.
Lui si mise ad andare per la strada, andava a veder giocare alla pelota nel grande cortile dietro l’Albergo Nazionale. Gli piaceva sia per la bellezza del gioco, sia perché a veder le partite e a scommettere c’era sempre tanta gente, tutti oziosi, vecchi e giovani, e a vederne tanti e a trovarsi in mezzo a loro a Ettore sembrava di non esser dalla parte del torto.
Ma oggi, come si avvicinava, non sentiva il suono della palla battuta e ribattuta contro la muraglia, né le voci e lo scalpiccio degli spettatori eccitati.
Da sul portone vide la lizza deserta, in metà c’era una donna che faceva il bucato e con vicino un bambino seduto su un mastello rovesciato.
Entrò nella lizza come se non ci credesse ancora. Quel bambino mangiava una caramella con una ...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Introduzione. di Davide Longo
- Presentazione. di Dante Isella
- I ventitre giorni della città di Alba
- I ventitre giorni della città di Alba
- L’andata
- Il trucco
- Gli inizi del partigiano Raoul
- Vecchio Blister
- Un altro muro
- Ettore va al lavoro
- Quell’antica ragazza
- L’acqua verde
- Nove lune
- L’odore della morte
- Pioggia e la sposa
- Cronologia della vita e delle opere
- Il libro
- L’autore
- Dello stesso autore
- Copyright