Chiedo scusa
eBook - ePub

Chiedo scusa

  1. 240 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Valter si burla del mondo perché da sempre è abituato a perdere. Pensa che il mondo debba chiedergli scusa. Ma quando una malattia lo porta a un'odissea senza fine nel dolore, sente che invece è lui a dover chiedere scusa a tutti. Perché quello che credeva il suo dolore è una goccia del dolore del mondo. Una goccia dell'ingiustizia senza rimedio e spiegazione. E allora la sua caduta e rinascita diventano il tentativo di risarcire ognuno per la misera condizione di essere umano di fronte al potere spesso crudele della natura. Ma anche un'indimenticabile dichiarazione di speranza. Un romanzo nudo e limpido come una pietra preziosa, che scopre il lato comico della vita nel luogo piú impensato: nel piú estremo dolore.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Chiedo scusa di Francesco Abate,Saverio Mastrofranco in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2012
Print ISBN
9788806236922
eBook ISBN
9788858406588
Francesco Abate e Saverio Mastrofranco

Chiedo scusa

Einaudi

Chiedo scusa

Questo romanzo è ispirato a una storia vera.
La finzione è presente per rendere il racconto un po’ più accettabile, dato che la realtà aveva superato i limiti della credibilità.

Prima

Uno

Una goccia rossa, prepotente, si è infranta sul tavolo di cristallo. Poi si è espansa, densa come ceralacca. Non l’ho notata. Neppure i miei colleghi.
– Allora Valter, cos’hai oggi in scaletta? – Il capo ha fatto roteare la matita appuntita fra indice e medio con l’abilità del giocoliere. Il segnale del suo buon umore.
Se nel planisfero dei suoi pensieri la luna fosse stata leggermente storta avrebbe battuto la matita sul tavolo. Quando è stata tempesta cosmica l’ha sempre messa sotto tortura nel temperamine, umiliata sino a che non fosse stata ridotta a un lapis nano.
Nel primo cassetto della scrivania ha centinaia di microscopiche matite. E sotto la sedia una patina di trucioli.
Una seconda goccia, più scura, è precipitata sul cristallo.
Si è sovrapposta alla prima e ne ha allargato il diametro. Non l’ho notata. I miei colleghi sì.
Ho guardato il taccuino degli appunti pronto a snocciolare la mia scaletta: – Allora… – ho chinato il capo per tradurre gli scarabocchi segnati sulla carta.
Intorno a me si è fatto silenzio e ho sentito elettricità sulla nuca. Un brivido, quasi impercettibile.
Mi sono sentito osservato.
Ho alzato lo sguardo e ho incontrato la faccia di Arturo Pistoni. Si siede davanti a me, al lato opposto del grande tavolo ovale, a ogni riunione. Era pallido. Ben oltre quel pallore che lo scompiglia quando il capo lo fa convocare nella sua stanza, con un solo battere di ciglia della segretaria di redazione, ed estrae dal cassetto un lapis nuovo di zecca.
Nella classifica dell’anno passato, Pistoni pare abbia collezionato 53 matite, corrispondenti ad altrettante lavate di testa. È stato temperato e ridotto in trucioli più di chiunque altro.
Ora i suoi occhi erano sgranati come in un’overdose di atropina.
Pistoni ha sempre avuto occhi piccoli e carnagione rosea. Un porcellino. Avrebbe potuto grugnire di paura, come certi maialetti prima di essere sgozzati. E quasi lo faceva.
Anche Puddu, che gli stava a fianco, appena 15 temperate nella scorsa stagione, aveva lo stesso colore sbiadito. Di famiglia contadina, ha sempre avuto una tonalità terra madre. Ora era livido. Mi ha fissato con occhi grandi, bocca aperta e spavento.
La terza goccia prima di lanciarsi sul cristallo mi è colata lungo il labbro. Ho sentito il sapore dolciastro del sangue e ne ho percepito il calore. L’ho vista.
Le gocce quattro cinque sei sette otto nove sono andate un po’ sul mento e un po’ sul tavolo della sala riunioni. Un fiume.
Ho portato velocemente la mano destra alla tasca dei pantaloni, ho estratto un pacchetto di fazzoletti. Due li ho infilati subito nelle narici. Altri due li ho usati per pulirmi il mento.
Stavo per aprire il quinto, destinato a ripulire il cristallo, e ho detto: – Be’, non avete mai visto un’epistassi?
Le loro facce sono restate livide. Specie quelle di Efisio Saba e Giommaria Marini. Una dozzina di temperate a testa. Lato destro e sinistro dell’ovale che ci vede riuniti, puntuali o quasi, ogni mattina a mezzogiorno.
– Sarà colpa del cambio di stagione. Caldo-freddo, accade spesso che i capillari…
Ma ho notato la mano del capo, non faceva più roteare la sua matita gialla e nera. Non la stava neppure battendo sul tavolo né riducendola ai minimi termini dentro le fauci del temperalapis d’acciaio. La matita era puntata contro di me. Verso di me. Su di me.
La faccia di Pistoni è diventata varechina. Mentre Saba ha balbettato: – Valter… – e nulla di più. Ma si è toccato il collo. Un chiaro invito a imitarlo.
Ho poggiato il palmo della mano destra sotto l’orecchio sinistro, piano, molto lentamente. L’ho sentita bagnata e appiccicosa, l’ho guardata. Era piena di sangue. Ho portato la mano sinistra sull’orecchio destro. Ho sentito di nuovo caldo, come se l’avessi infilata in un barattolo di melassa. L’ho ritratta, rossa e gocciolante.
– Le orecchie… – ha balbettato Terrosu.
L’undicesima goccia è caduta sul tavolo con un rumore di pietra che scheggia il vetro. I fazzoletti infilati nel naso, fradici e gonfi, non hanno più retto e l’emorragia ha infranto gli argini.
Ho sentito le labbra ritirarsi. Le guance scoppiettare come braci. Gli occhi hanno cercato un appiglio ma sono rimasti ipnotizzati dal panorama oltre la parete a vetri della sala riunioni al diciannovesimo di un palazzo di venti piani di cristallo e acciaio che si riflette sullo stagno poco prima del mare.
Ho visto le nuvole bianche scorrere lente, spinte dal vento in un cielo tiepido e turchino. La nostra redazione occupa gli ultimi quattro piani di una torre di soli uffici dove tutti lavorano ma nessuno vive.
L’ultima goccia, scura, quasi nera, ha pizzicato la mia camicia, si è distesa sulla tela bianca. E ha formato un piccolo fiore.
Le nuvole hanno iniziato a scappare veloci oltre i vetri. Ho pensato, chissà perché: «Anche a “Libération” hanno una sala riunioni che guarda sui loro principali monumenti». Le nuvole sfrecciavano. «I monumenti dei parigini sono inelencabili. Il nostro è solo il mare». E guardando il mare sono svenuto in una pozza di sangue.

Due

– Chiamiamo tuo zio?
È stata questa la prima frase che ho percepito, la vista sfocata, la fronte calda e la bocca pastosa.
Ero steso per terra, i piedi tenuti all’insù da Saba. La voce di Pistoni sulla faccia: – Chiamiamo… – Non gli ho risposto.
Ho solo aperto la bocca e ho puntato un dito tremante oltre lo spiraglio di corpi che mi circondavano, affannati e preoccupati. E in fondo alla sala ho visto mio padre.
Un miraggio.
Era in un angolo. In disparte, avvolto dalla luce abbacinante delle vetrate. Una rifrazione in arrivo da un altro mondo. Acquosa e instabile ai miei occhi deboli.
L’ho visto. Era di spalle, il pigiama a righe troppo grande ormai per le sue povere ossa, la giacca cascante, i pantaloni flosci. L’ho riconosciuto dalla nuca, il solco della morte nella cervicale.
È stato un secondo. I miei colleghi si sono serrati ancor di più intorno a me e non l’ho visto più.
– Chiamiamo tuo zio? – ha ripetuto Pistoni.
– No, mio zio no… no mio zio no, no… chiamate…
Avrei voluto dire: «Chiamate mio padre», ma ho detto: – … Chiamate Chiara.
Sono sicuro che tutti si sono guardati con stupore. Terrosu, Saba, Puddu, Marini e Pistoni. Solo il capo non deve aver fatto nessuna faccia. Deve aver acchiappato il telefono e chiamato il centralino del ventesimo piano, dove stanno quelli dell’amministrazione. Almeno credo sia andata così, perché sono svenuto di nuovo dopo aver pronunciato il nome di Chiara.
Il resto è stato buio. Neppure sogni agitati. O visioni felici. Nulla. Solo un immenso buio. Senza nuvole. Poi d’improvviso l’immenso azzurro.

Tre

Mio padre era lì, contro lo spigolo di due pareti azzurre. Le braccia conserte. Un bambino in punizione. La testa china, il collo asciugato dalla malattia. Gli ho puntato l’indice contro, ho provato a chiamarlo ma la voce è rimasta incastrata fra le corde vocali e mi è uscito solo un soffio d’aria, ruvido e caldo, perché ho sentito la gola bruciare. Ho perso la visuale, sfregiata da una luce intensa. Gli occhi hanno iniziato a lacrimare ma sono riuscito ancora a intravederlo in quell’angolo. Non era più solo, era scortato da due uomini con le divise coloniali logore e polverose. Due cenciosi, vestiti di stracci militari, dallo sguardo sorridente. Gli facevano da guardia, gli coprivano le spalle, mormorando frasi impercettibili. Una litania.
Poi ho sentito un forte odore di disinfettante. I tre spettri si sono fatti distanti, infastiditi da tutta quella puzza d’alcol, mentre le mura azzurre hanno iniziato a dilatarsi, allungarsi, e davanti a me è comparsa la faccia di Todde.
– E allora Valter, ci hai fatto prendere un bello spavento…
La prima frase compiuta che ho sentito è stata quella del dottor Todde. Mi sono guardato intorno, c’era Chiara che mi teneva la mano sinistra, l’unica parte del mio corpo che sbucava da un lettino dove ero stato imbalsamato. Lenzuola e coperta mi fasciavano come una mummia, un’opera meticolosa realizzata da quelli del pronto intervento. Fanno sempre così, ti insacchettano in un caldo plaid di lana marrone, stile militare, anche se fuori ci sono 30 gradi.
A destra del mio lettino, un medico dall’aria distratta e mille penne nel taschino del camice. Tutt’intorno uno stuolo di infermiere con le divise color prugna pigiate in quella piccola stanza azzurra.
– Allora Valter, forza, come finisce la flebo ti rimandiamo a casa –. La voce del dottor Todde era ferma e flemmatica come sempre. La stessa di quando suda stringendo forte la pagaia a bordo della sua canoa, si fa il Golfo degli Angeli da costa a costa e commenta la variazione delle maree. Todde fa parte del clan della spiaggia e degli scogli.
L’ho guardato e gli ho sorriso lievemente, ma forse mi è uscita una smorfia. Perché lui ha insistito: – Forza Valter, non fare quella faccia… – Poi ha aggiunto: – Non sapevamo che fossi fidanzato… – E ha guardato Chiara, che non è arrossita. – Davvero, non ne sapeva niente nessuno… – ha ripetuto a nome suo e di tutti gli altri. Non so se c’è parentela fra le nostre famiglie, ma in una città di centocinquantamila anime, di sicuro un trisavolo in comune ci sarà.
– Posso lasciarti la mano, Valter? Stiamo sudando, – ha detto Chiara.
Todde è color cioccolato per bambini, tutti i mesi dell’anno. Molto tenero e dolce, con una bella sorpresa dentro. E questo mi ha subito rassicurato, mentre un’infermiera mi sfilava l’ago dal braccio e un’altra mi aiutava ad alzarmi. Sono in mani comprensive, ho pensato rintontito guardandomi allo specchio del pronto soccorso e provando a domare un ciuffetto ribelle perpendicolare al mio cranio e risoluto a rimanere dritto.
Se c’è Todde sono in mani caritatevoli, ho pensato. Ma quando ho iniziato a riprendermi dallo stordimento mi sono anche chiesto come mai ci fosse un oculista ad assistere al mio risveglio in ospedale.
Avrei voluto domandarlo ma era troppo tardi. Ero seduto al posto del passeggero nell’auto di Chiara, il collo ancora incrostato di sangue e una risma di fogli in mano con tutte le prescrizioni per le analisi da fare lunedì. – Un oculista… – ho borbottato. Chiara non ha staccato gli occhi dalla strada, né le mani dal volante. – Cosa farfugli? – Non le ho risposto.
– Stai sereno, – mi ha detto, lo sguardo sempre fisso.
– Non sono sereno, – ho ribattuto stizzito.
Chiara non ha dato peso ai miei modi abrasivi, è andata avanti calma nella guida e nelle parole: – Te l’ha detto anche il dottor Todde…
– Ecco, è questo il punto, cosa vuoi che ne possa capire dei miei guai un oculista, ho avuto un’emorragia…
– Non è mica la prima…
– Una cazzo di emorragia al naso e alle orecchie che mi sembra non c’entrino nulla con gli occhi… e… e neppure tutte le analisi che mi hanno dato da fare c’entrano con gli occhi e neppure col naso e con le orecchie. Perché diavolo c’era Todde al mio risveglio, perché lui, perché…
In realtà sapevo perché era corso per primo. Lo sapevo benissimo da solo.
– Comunque un buon oculista fa sempre comodo…
Chiara quella mattina aveva un colorito candido. Rassicurante come il latte. Il mio, nicotina.

Quattro

La Neo Agorà srl di Mastia Koruscko organizza eventi congressuali. Ogni genere e variante. Hanno iniziato con il campo medico per poi gestire qualunque esigenza di qualunque società, fondazione, ente o azienda che abbia necessità di mettere in piedi un convegno. Di recente hanno allargato il loro raggio operativo nel campo della comunicazione e della cultura. Così hanno avuto bisogno di me.
Barletti è l’ultima persona che avrei voluto sentire quando Chiara mi ha aiutato ad adagiarmi sul mio divano, di rientro dall’ospedale.
Barletti è stato sempre un uomo senza doti umane. Ma ben equipaggiato di facoltà imprenditoriali. I suoi pregi professionali sono inversamente proporzionali a quelli af...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Chiedo scusa
  3. Copyright