Un giorno di fuoco
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Un giorno di fuoco

Racconti del parentado

  1. 144 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Un giorno di fuoco

Racconti del parentado

Informazioni su questo libro

«Una cronaca epica e priva di giudizi è il vero marchio di questa raccolta cosí autoriale e potente».
Matteo Nucci Nel 1963, a pochi mesi dalla morte di Fenoglio, esce per Garzanti Un giorno di fuoco: si tratta di un'opera composita, che aggiunge sette narrazioni ai sei «Racconti del parentado» che l'autore in un primo tempo avrebbe voluto raccogliere sotto questo titolo. Quest'edizione, fedele all'impostazione voluta da Fenoglio, pubblica esclusivamente quei sei racconti: Un giorno di fuoco, La sposa bambina, Ma il mio amore è Paco, Superino, Pioggia e la sposa e La novella dell'apprendista esattore. Sono storie in cui Fenoglio coniuga il radicamento nella propria terra, le Langhe, con uno spirito epico che solleva la materia a una sorta di rustica chanson de geste. Di qui la necessità, quasi, di raccontare le storie del parentado che aveva sentito ripetere sin da bambino; di qui l'impulso a trasformare i fatti di sangue e di follia, e l'incombere di destini già segnati, in metafore di un mondo in guerra, mai rappresentato direttamente ma colto attraverso le deformazioni (e il filtro comico) della tradizione orale. Basterebbero queste pagine a dire quale posto abbia conquistato Fenoglio nel panorama della narrativa italiana del dopoguerra.Con una Nota introduttiva di Dante Isella, le schede ai singoli racconti e la cronologia della vita e delle opere.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
Print ISBN
9788806258160
eBook ISBN
9788858409084

Un giorno di fuoco
Racconti del parentado

Un giorno di fuoco

Alla fine di giugno Pietro Gallesio diede la parola alla doppietta. Ammazzò suo fratello in cucina, freddò sull’aia il nipote accorso allo sparo, la cognata era sulla sua lista ma gli apparí dietro una grata con la bambina ultima sulle braccia e allora lui non le sparò ma si scaraventò giú alla canonica di Gorzegno. Il parroco stava appunto tornando da visitare un moribondo di là di Bormida e Gallesio lo fulminò per strada, con una palla nella tempia. Fu il piú grande fatto prima della guerra d’Abissinia.
L’indomani della strage di Pietro Gallesio era per me un normale giorno di vacanza a San Benedetto, separato da una sola collina dal paese dove Gallesio era nato e vissuto ed aveva ammazzato. Il fatto l’avevo saputo verso le dieci della sera, già nella mia stanza sottotetto, con l’orecchio applicato a una fessura dell’impiantito, proprio sopra la cucina dove mia zia, mio ziastro ed i vicini dell’ufficio postale stavano parlando, con voci ora soffocate ora tonanti. A sentir loro, la notte non si sarebbe potuto dormire, per il lungo fracasso dei camion dei carabinieri che convergevano su Gorzegno da Alba e da Ceva; in giro si sapeva che il brigadiere di Cravanzana aveva telefonato al superiore comando che per Gallesio ci volevano non meno di cento uomini.
Io invece dormii come ogni altra notte e mi svegliai piú tardi del consueto, e come uscii nel sole mi sorprese veder mio ziastro seduto sul tronco a ridosso del nostro muro, già a ciccar tabacco. Gli domandai subito come mai e lui mi rispose che la zia l’aveva obbligato a fermarsi a casa, per paura che Gallesio latitante battesse i boschi del Gerbazzo e lui alzando a caso la schiena se lo vedesse davanti col fucile spianato. – Pensare, – disse, – che di Gallesio io non ho la piú piccola paura.
Io l’ammirai. – Ti sentiresti di far lotta con Gallesio?
– Non farei la lotta con Gallesio. Voglio dire che son sicuro che a me e a tutti i cristiani come me Gallesio non farebbe un’oncia di male.
– Tu lo conoscevi questo Gallesio?
– L’ho visto una volta alla fiera di Cravanzana.
Gli guardai gli occhi, gli occhi che una volta s’erano riempiti della figura di Gallesio, ma subito dovemmo tutt’e due scattar la testa in alto, ché il cielo sopra Gorzegno aveva preso a sbattere come un lenzuolo teso sotto raffiche di vento.
– I carabinieri, – disse mio ziastro, alzandosi. – I carabinieri attaccano a sparare. L’hanno scovato. Chissà dove, chissà in che posto della Bormida –. Era tutto dritto, atletico e sgangherato insieme, e non batteva piú ciglio, e il tabacco gli tingeva gli angoli della bocca.
Da dietro la chiesa sbucò la 501 di Placido e scivolò per qualche metro in folle. Tre, quattro, cinque uomini del paese ci si ficcaron dentro d’assalto, mentre Placido bestemmiava che facessero con garbo e non gli sfasciassero la macchina, già che per quella specialissima corsa a Gorzegno praticava una tariffa che gli salvava sí e no la benzina.
La macchina si avviò sempre in folle e frenò proprio davanti a noi. Placido sporse fuori la testa e disse: – Fresia, ci state ancora. Andiamo a Gorzegno a vederci la battaglia di Gallesio coi carabinieri. Con due lire vi porto e vi riporto.
Dalla voglia mio ziastro ballonzolava tutto, ma subito ci soffiò dentro la voce ghiacciata di mia zia. – Fresia non ci viene, – disse a Placido, – Fresia non le spende due lire per andare a Gorzegno a vedere un fico di niente e magari ricevere nella testa la prima palla spersa.
Disse uno della spedizione: – Ma ci ripariamo dietro gli alberi. Lasciatelo venire il vostro uomo, lui ha fatto la guerra e potrà darci tante spiegazioni.
E un altro: – Sapete, Fresia, chi comanda l’azione? Il capitano di Alba in persona. Se non ci sono cento carabinieri non ce n’è uno.
– Cosa dici cento? Saranno duecento. Ci sono anche tutti i carabinieri di Millesimo.
Ma mia zia disse con la sua voce uguale: – Partite, Placido, non state a perder tempo, perché il mio uomo da San Benedetto non si muove.
Placido, che conosceva mia zia, ingranò la marcia. Mio ziastro staccò le mani dalla capotta e domandò forte: – Ma dove l’hanno scovato Gallesio? Batteva i boschi?
– Macché! – fecero in tempo a rispondergli da dentro. – Era tornato a casa sua. Si è chiuso nel fienile e si difende. Ha cento cartucce, è stato il Barbarossa di Feisoglio a vendergli la polvere e le palle.
La macchina partí. Mio ziastro si voltò verso mia zia e le disse: – Bagascia! – con tanta intensità che con la parola gli uscí uno schizzo di saliva tabaccosa. Ma lei non si riscaldò, gli rispose con quella sua calma: – E già, io per risparmiar due lire di corriera me la faccio a piedi fino ad Alba e tu eri pronto a buttarle via per andarti a vedere il teatro di Gallesio.
Rientrò in casa e subito ne rispuntò, con la colazione per me: due tagli di pane ovali e pallidi come pesci, con delle lische di marmellata. Anche a lui diede da mangiare, una pagnotta grande come un cappello e un culettino di salame che egli appoggiò contro il suo enorme pollice orribilmente tagliuzzato. Gli disse: – Dopo mi spacchi la legna e mi tiri l’acqua, – e si ritirò.
Mangiavamo insieme, parandoci a vicenda le mosche, mio ziastro rumoreggiava quanto un bue ed io ci pativo, perché allora ero delicatino, tuttavia quella mattina mio ziastro mi piaceva ed io parteggiavo decisamente per lui. Avevo ancora tutto intero lo scudo d’argento che mia madre mi aveva dato alla partenza; gli avrei fornito volentieri quelle due lire, lui mi avrebbe poi ripagato col racconto dei fatti di Gorzegno, ma non avevo saputo come fare ad offrirgliele. Del resto sembrava ormai rassegnato, anche se ogni tanto spingeva fuori del boccone un suono che somigliava alla solita parolaccia per la zia.
Si sentiva sempre quel flip-flap nel cielo, e dopo un po’ mio ziastro disse: – Guarda come si difende, come tiene testa. Gran cacciatore che è stato Gallesio –. E poi si rizzò, perché aveva scorto, sulle radure del Gerbazzo, passare uomini a squadre, e tutti con un gran passo come se avessero gli alemanni al culo, e non c’era dubbio che si affrettavano tutti a vedersi la battaglia di Gorzegno. Lui abbassò le braccia con tanto abbandono che il pane gli scappò di mano in terra.
Come noi si finí di mangiare, laggiú a Gorzegno cessarono di sparare e mio ziastro disse: – Dev’esser già finita. Gallesio era troppo solo. È per questo che non sono andato con Placido. Poteva finire prima che noi fossimo a metà strada.
Veniva verso di noi Scolastica, l’ufficialessa postale; l’annunziava l’odore di orina che sempre si spandeva dalla gran sottana che non cambiava mai. Venne e disse: – Voi Fresia che avete fatto la grande guerra, quelli erano ben spari?
Il sole dalle sue lenti spesse un dito traeva riflessi paurosi.
– Sí, Scolastica, erano gli spari di Gallesio e dei carabinieri.
In quell’attimo le schioppettate tornarono a staffilare il cielo.
– Oh! – si lamentò la vecchia. – Ma la dureranno ancora tanto?
– Spero di sí, – bofonchiò lui.
Ci scoppiò dietro la voce di mia zia. – Ma, o disgraziato, o delinquente anche tu tieni per Gallesio?
– O bagascia frusta, tengo per chi mi pare.
S’intromise Scolastica. – Ma ha ammazzato mezzi i suoi, – disse, – e soprattutto ha ammazzato quel buon parroco.
Gridò mio ziastro: – Di lui mi rincresce molto meno che di tutti gli altri. Questi porci di preti, sempre lí a dirti: «Guarda dietro l’angolo che c’è il babau», e tu gli dai retta e ti sporgi a guardare e loro dietro ne approfittano per rubarti la roba e la donna.
– Sporcaccione! – urlò mia zia. – Non ti permetto di parlar cosí dei preti. Ricordati che tua moglie è la madre di un ragazzo che studia da prete.
Scolastica era già scappata, come un’elefantessa, e mio ziastro le disse dietro: – Si capisce che scappa, lei che era l’amica del parroco vecchio.
Mia zia quasi gli ficcò le dita negli occhi. – Non dare scandalo al bambino! Vammi a spaccar la legna e spaccamene per un po’ di giorni, già che per colpa di quell’assassino del tuo Gallesio oggi non ti posso mandare ai campi.
Lui s’incamminò, già sputandosi sulle mani, e poiché io mi disponevo a seguirlo lei mi disse secchissima. – Tu guai se gli vai dietro, o alla fine dell’estate mi torni ad Alba rovinato nell’anima per sempre e tua madre viene su e mi strappa uno per uno tutti i capelli che ho in testa. Va’ a trovare Marcelle.
Era la bimba della signora Louisette, una donna di San Benedetto che aveva avuto la rara occasione di sposarsi a Montecarlo: questa era la prima estate che Marcelle passava al paese di sua madre, e ne era subito diventata la graziosa peste, sempre con una vestina cosí corta che le mutandine le passavan sotto di mezzo palmo, finché il parroco aveva fatto osservazione a sua madre, ma da quando viveva a Montecarlo la signora Louisette non dava piú nessun ascolto ai preti. Marcelle era troppo esuberante per me, dovevo continuamente subirla e mi diceva M... e macaroní ogni cinque minuti. Figurarsi la mia voglia di sprecar con lei quella mattinata straordinaria. Andai comunque a cercar di Marcelle, perché mia zia non la si poteva contraddire in niente, ma per fortuna la signora Louisette mi avvisò dalla finestra che la petite non c’era, andata via con suo padre, a Bossolasco, sulla Peugeot, quella macchina che mi faceva tanto ridere con quel suo radiatore puntuto.
Potei cosí tornarmene da mio ziastro, che sentivo darci dentro con la scure, e per paura che mia zia mi intercettasse non passai davanti a casa ma l’aggirai per il ciliegeto del vecchio Braida e prendendo per il gioco da bocce arrivai da mio ziastro. Mi sedetti dirimpetto a lui, a una certa distanza per via delle schegge, ma non cosí lontano che non mi giungesse l’odore pungente del suo sudore. Mi disse: – Per il rumore che faccio non sento bene. A Gorzegno sparano sempre?
– Sempre.
– Che giuraddio è Gallesio, – disse lui fra i denti.
Allora gli domandai perché Gallesio aveva sparato a tutta quella gente.
– Gliel’hanno fatta sporca.
– Come?
– Gli hanno fatto dei torti.
– Anche il parroco?
– Lui piú degli altri.
– Che razza di torti?
– Nell’interesse. Tu sei troppo piccolo, ma i torti nell’interesse sono quelli che ti avvelenano –. Sospese di spaccare, posò un piede sulla toppa e si asciugava la fronte con un fazzoletto color ruggine. – A Gallesio le cose non andavano bene, non gli sono mai andate bene, aveva troppo la malattia della caccia per poter accudire a dovere la sua campagna. E cosí, per far fronte, s’era fatto prestare una certa cifra da suo fratello e gli pagava un interesse che nemmeno un giudeo pretenderebbe. Tant’è vero che Gallesio diceva all’osteria: «Mio fratello dovrebbe smetterla di combinar buoni affari soltanto con me». Sua cognata, una grintaccia, ben sapendo che Gallesio non era in condizione, aizza suo marito a farsi restituire il prestito e in mancanza a strappargli il campo e il prato. L’unica salvezza di Gallesio era di sposarsi al galoppo con una donna di Gorzegno che aveva un po’ di roba e per Gallesio una forte inclinazione. Si sposavano, con la roba di lei liquidava suo fratello, liberava la sua campagna e pace. La donna era decisa, ma come ultimo passo pensa di chiedere il parere del parroco: sai, una di quelle donne sole che al prete domandano perfino quanto sale debbono mettere nella minestra. Il parroco cosa fa? Le dà di Gallesio bruttissime informazioni, esagerando al massimo quel poco male che in coscienza si poteva dire di Gallesio, insomma gliene fa un quadro tale da spaventarla, ma tutto perché aveva il suo piano, che la donna restasse da sposare e lasciasse poi i suoi beni alla chiesa. Lei gli ha creduto come vangelo e ha chiuso la porta in faccia a Gallesio. E allora Gallesio ha sparato. A suo fratello, per essersi dimenticato d’esser suo fratello e ricordato soltanto d’essere il marito di una strega. A suo nipote, perché era quello che in definitiva si sarebbe goduta la sua terra. E al parroco, per quella porcheria, quel tradimento delle informazioni false.
Io allora non capii proprio tutto, ma mi sembrò di poter concludere che in fondo Gallesio non era tanto cattivo.
– Un originale sicuramente, ma non cattivo.
– La zia dice che hanno ragione i giornali a chiamarlo il folle di Gorzegno.
Lui rise secco. – Folle, Gallesio? I giornali la raccontino ai cittadini. Un po’ vivo, ma non folle.
Io, a questo punto, col mio occhio terribile vidi volar giú per la discesa di Niella il figlio del cantoniere, sulla sua bici da corsa, e intuii che tornava da Gorzegno certamente con qualche gran novità.
A correre, arrivavamo in piazza che Remo si slacciava i cinghietti. E corremmo, incuranti che la zia ci vedesse...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Un giorno di fuoco
  3. Nota introduttiva
  4. Nota al testo
  5. Un giorno di fuoco Racconti del parentado
  6. Appendice
  7. Schede
  8. Cronologia
  9. Il libro
  10. L’autore
  11. Dello stesso autore
  12. Copyright