Ma chi di noi sul proprio cammino
Non calpestò, rimpiangendolo, un fiore?
Quanto ero lieto in quel mattino di maggio!
Il trotto moderato della mia cavalla saura mi portava attraverso la campagna romana come sull’ali del vento incontro all’orizzonte azzurro. La mia felicità tuttavia era piú vicina dell’orizzonte ed anche piú azzurra – se con questo colore si vuol dipingere i sogni della giovinezza...
Possedevo la prima delle ricchezze – venticinque anni – né mi mancavano le altre. Tutti i fiori della vita spuntavano sul mio sentiero; non avevo che a chinarmi per raccoglierli; ed uno... quel bel fiore, Elisa, tu lo sai, un angelo me lo aveva gettato dal cielo! Esso solo sarebbe bastato per farmi pienamente felice.
Però, ne ringrazio vivamente Iddio, l’esuberanza della gioia non mi ha mai reso egoista. L’anima mia si alzava pura e lieta verso un ideale di bene; la pietà traboccava dal mio cuore gonfio d’amore. Avrei voluto abbracciare con una immensa stretta tutti i miei simili, farli buoni e felici come me; seminare nel mondo la mia gioventú, il mio oro e il mio amore. Cristo senza Golgota sognavo una nuova redenzione.
La virtú, in quell’ora, mi sembrava tanto facile! Vedevo ogni cosa piú grande del vero; Fede e Bellezza mi stavano davanti, splendide. Sentivo dai campi lontani le cornamuse dei pastori e tra le siepi vedevo volteggiare colle farfalle i capelli d’oro delle ninfe.
Pensai a lungo un verso che mi rendesse nelle soavi cadenze della poesia quello che io avevo nell’anima; ma non lo trovai. I miei poeti prediletti sfilarono, evocati dall’ardente desiderio, ed io li contemplai con profonda compassione. O vati, correte, voglio farvi l’elemosina di una scintilla; io lo posso – amo.
Hop! Hop! mia dolce cavalla. Hop!
Roma, ch’io mi lasciava indietro, si bagnava voluttuosa nei vapori del mattino. Una nebbia rosea la cingea tutta – pareva un rossore sui bianchi veli della vestale. Ma il rossore scompariva a poco a poco. Il sole le metteva sulla testa un diadema di raggi; alzando la fronte in mezzo a quel fulgore, la gran colpevole diceva: Perdonatemi, ho tanto amato.
Il cielo, il bel cielo di Raffaello e della Fornarina, si illuminava di tinte accese. Una colonna spezzata, un arco coperto di musco mi facevano balzare il cuore; in quella armonia d’ombre e di luce il passato si mesceva al presente; io fondevo il pensiero dei secoli in un unico pensiero. Avevo sulle labbra Clelia e Veturia – e nell’anima Elisa.
Oh! tutti coloro che hanno amato nella calda primavera della vita, conosceranno queste ore di immensa ebbrezza in cui pare che le forze si raddoppino e che il nostro essere sia riscaldato da una fiamma soprannaturale. Ore divine in cui siamo volte a volte poeti ed eroi, apostoli e soldati.
Avanti Roberto duca di Niscemi... SÃ, io sarò duca un giorno; e frattanto quale piú brillante carriera che questa mia di giovine diplomatico? È una parola che piace alle signore. Elisa deve pronunciarla con orgoglio, arrossendo un poco nella sua bella verecondia.
Avanti. Hop! Hop! Hop!
Ecco la villa. Mi batte il cuore.
Veramente è la prima volta che faccio il mio ingresso in famiglia col titolo di fidanzato.
Un servitore in piccola livrea mi apre il cancello; mi inoltro sotto una doppia fila di melagrani fioriti.
In fondo al viale un fiocco di neve svolazza in mezzo agli alberi – il sole mi sta davanti e non posso veder bene. Ah! ora distinguo perfettamente; è una fanciulla che si dondola sull’altalena. Ha un vestito di lana bianca con guarnizioni di velluto verde.
Al mio apparire ferma l’altalena puntando sulla sabbia l’estremità del suo stivaletto di pelle bronzata – e cosÃ, in quella positura un po’ eccezionale, colle braccia allargate intorno al canape, colla testina sporgente, mi guarda – ed io la guardo.
È di una bellezza rara; penso subito che non può avere piú di dodici anni. Elisa mi ha parlato di una sorellina; potrebbe bene esser lei; tuttavia non le assomiglia.
Il casto volto della mia fidanzata non si ritrova in questa fanciulla dal tipo di zingara, dai grandi occhi audaci, pieni di scintille. Ha i capelli neri, come Elisa, ma corti e un po’ ricciuti – non le oltrepassano l’orecchio. Un cerchio d’oro le stringe la testa come una corona... o come una catena. I lineamenti accentuati, eppure gentili, vestono una grazia tutta muliebre dalla carnagione pallida senz’ombra di rosa; la si direbbe anzi leggermente bruna. La passione e l’orgoglio prestano l’espressione piú rilevante alla sua fisionomia, ma le ultime incertezze dell’adolescenza la adombrano ancora; a vent’anni questa creatura sarebbe forse poco simpatica: a dodici è adorabile.
La saluto sorridendo ed ella mi risponde seria, accompagnandomi col suo sguardo indagatore.
Fatti pochi passi mi pento di non averle diretta la parola; mi volto indietro – l’altalena è vuota.
– È la signorina?... – domando al servitore.
– La signorina Eleonora.
Ma già non penso piú a lei. Da una finestra m’è apparso l’angelico volto di Elisa. Affretto il passo, salgo lo scalone, m’inchino alla principessa e con Elisa ricambio uno sguardo che valeva un abbraccio d’amore, intanto che l’etichetta mi costringeva alla solita banale stretta di mano.
La principessa è una buona donna e una tenera madre. Ella si accorge del nostro imbarazzo e per darci agio a rimetterci parla in fretta di cento cose. Mi chiede notizie della città e della Corte – non per saperle, almeno – perché subito dopo mi tesse l’elogio del suo pappagallo e del cactus della sua serra.
La mamma parla e noi ci guardiamo; il tempo scorre deliziosamente.
– Oh, ma, – dice la principessa, – e Nora che non si vede?
– Vado a cercarla? – domanda Elisa, alzandosi.
– SÃ, figlia mia, va.
Elisa esce. I miei occhi e il mio cuore la seguono.
– Andiamo, – dice la mamma ridendo, – signor diplomatico!
Dopo un tempo abbastanza lungo, occupato dalla principessa a intrattenermi in quel modo piacevole delle matrone che non sono cascate nel bigottismo, Elisa ritorna sola.
– E Nora?
La mia fidanzata si dava una pena immensa per nascondere una viva contraddizione.
– Nora... sai, ha la lezione d’inglese...
– Come, ancora? – esclamò la principessa.
Io – povero diplomatico affascinato dai begli occhi di Elisa – ebbi la dabbenaggine di dire:
– Madamigella Eleonora stava sull’altalena quando sono arrivato.
La principessa diede una crollatina di spalle:
– Bimba mia, a lui si può dire la verità . Tanto un giorno o l’altro la scoprirebbe.
Elisa non rispose nulla e la mamma continuò volgendomi direttamente la parola:
– La mia piccola Nora è capricciosetta.
– Ne ha la fisionomia.
– Buona, veh? Ma santo Dio, una testina che farebbe ammattire mezzo mondo. Quando fissa un chiodo, è inutile; novanta volte su cento la guadagna lei. Spesso si impuntisce a non voler venire in sala; le persone nuove la infastidiscono, piange, si dispera, grida in modo da passar l’anima. Noi siamo d’accordo di chiamare tutto ciò la sua lezione d’inglese... per gli estranei, s’intende; voi avete il diritto di conoscere la verità . Usatele un po’ di compatimento, caro Roberto, è una ragazzetta!
Il cieco amore materno traboccava da ogni espressione. Ella amava questa sua bella fantastica, questa seconda ed ultima figlia, non piú dell’altra, ma certamente con una dose maggiore di indulgenza; con una specie di civetteria retrospettiva che la faceva rivivere in quel vispo demonietto.
– Spero che sarò abbastanza fortunato per poter distruggere le cattive prevenzioni della signorina Eleonora. L’ho forse spaventata mentre era sull’altalena?
– No, no, – si affrettò a soggiungere Elisa, – mia sorella è tanto nervosa che non può mai dar ragione de’ suoi capricci. Il medico dice che è un isterismo precoce; lei non ne ha colpa.
Ho capito. Erano tutti infatuati della piccola zingara. Il caso d’altronde non mi riusciva nuovo; solo mi rallegrai che le due sorelle non si somigliassero punto punto.
Come passasse poi il resto del giorno, non saprei dire veramente. L’ora del pranzo mi giunse inaspettata; la campana della villa echeggiando in squilli prolungati sotto i melagrani mi riduceva a un solo pensiero: Ricordati, fratello, che devi partire.
– Mi permettete di tornar presto, Elisa?
Inchinandomi verso la mia fidanzata per raccogliere il dolce sà che spuntava sulle sue labbra, vidi due occhi neri che mi guardavano intensamente. Nora era entrata allora.
La principessa, disinvolta sempre, sorvolò l’impaccio di una presentazione ufficiale. Disse appena:
– Dà la mano, bimba, a questo signore. È un caro amico.
La fanciulla mi presentò in silenzio la sua manina; ardeva in modo singolare.
Durante il pranzo io la guardai poco, ma quelle poche volte incontravo immancabilmente il suo sguardo fisso e scintillante. Il cerchietto d’oro che le tratteneva i brevi capelli era meno lucente dei suoi occhi. Non parlò quasi mai e finito il pranzo scappò via.
Partii senza rivederla.
Le visite ch’io feci poi, molto frequentemente, alla villa indussero un po’ di dimestichezza fra me e la mia futura cognatina. Elisa, felice di questo buon successo, ci lasciava volentieri insieme; io mi ingegnavo di piacere alla zingarella poiché era un modo indiretto di piacere a lei.
La cosa tuttavia non sembrava molto facile.
In quel caratterino di dodici anni si manifestavano geroglifici complicatissimi, abissi profondi. Molte volte si era tentati di credere che una vera donna si nascondesse sotto quell’abitino di lana bianca – una donna appassionata e fantastica – tanto lo sguardo era carico di scintille e la fronte di pensieri. Aveva dei sorrisi da civetta consumata; ma sorrideva cosà anche alla sua bambola.
Non era molto alta, né molto complessa; la struttura fisica era proprio da bambina, le mosse no.
Salutava come una signora, piegando la testa; sedeva con una grazia somma; si alzava con dignità . Camminando, non si vedeva in lei quel portamento dinoccolato oppure ligneo delle altre fanciulle. Un’armonia seducente la dominava tutta. Qualche cosa della mollezza orientale piegava il suo agile fianco e dietro il tessuto dell’abito, il disegno delle spalle si presentava già con una finezza da scalpello greco.
Che braccini delicati uscivano dalle sue maniche un po’ corte! Le mani erano un portento.
Io domandavo molte volte a me stesso che meraviglia sarebbe diventata e quale uomo mai avrebbe avuto la presunzione di amarla. Per me, una bellezza tanto singolare mi faceva quasi paura.
Assolutamente la principessa era troppo indulgente colla sua ultima figlia; si lasciava affascinare e le perdonava qualsiasi capriccio. Nora cresceva libera e superba come un palmizio del deserto.
– Io so, – le dissi un giorno, – ...