Gente di Dublino (Einaudi)
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Gente di Dublino (Einaudi)

Traduzione di Franca Cancogni. Introduzione di Giorgio Melchiori

  1. 232 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Gente di Dublino (Einaudi)

Traduzione di Franca Cancogni. Introduzione di Giorgio Melchiori

Informazioni su questo libro

Quindici storie che segnano l'esordio narrativo di James Joyce e compongono un mosaico unitario che rappresenta le tappe fondamentali della vita umana: l'infanzia, l'adolescenza, la maturità, la vecchiaia, la morte. In queste pagine Joyce ritrae oggettivamente il mondo della sua città natale, i pregi e i difetti della piccola borghesia dublinese, l'attaccamento alla tradizione cattolica, il sentimento nazionalistico, il decoro, la grettezza, le meschinità, i pregiudizi, osservati e descritti con mordente ironia e profondo senso poetico. Ogni storia, dove pare nulla succeda, rivela in realtà una complessità di sentimenti che smascherano, agli occhi e al cuore di Joyce, la vera anima di Dublino.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2012
Print ISBN
9788806210380
eBook ISBN
9788858405482

I morti

Lily, la figlia del portiere, non si reggeva piú in piedi tanto aveva corso. Non faceva nemmeno in tempo ad accompagnare un invitato nello stanzino dietro la dispensa, a pianterreno, e ad aiutarlo a togliersi il soprabito che l’asmatico campanello d’ingresso tornava a farsi sentire e lei doveva precipitarsi giú per il corridoio spoglio per introdurne uno nuovo. Meno male che non aveva da occuparsi anche delle signore. A quelle ci pensavano la signorina Kate e la signorina Julia che avevano trasformato il bagno al piano di sopra in una specie di spogliatoio. Stavan lassú tutte e due e ridevano e spettegolavano e si davan d’attorno, correndo a turno a capo delle scale e sporgendosi dalla ringhiera per chiedere a Lily chi fosse arrivato.
Era un avvenimento il ballo annuale delle signorine Morkan. Non c’era persona di loro conoscenza che non vi intervenisse: parenti, amici, le coriste di Julia, alcune delle scolare di Kate in età di potervi partecipare e anche qualche allieva di Mary Jane. E mai una volta che vi si fossero annoiati. Da anni e anni, per quanto almeno si potesse ricordare, era sempre riuscito splendidamente: da quando cioè, dopo la morte del fratello Pat, Kate e Julia avevano lasciato la loro abitazione in Stoney Batter e assieme all’unica nipote Mary Jane erano andate a vivere nella squallida, tetra casa di Usher Island, della quale avevano preso in affitto il piano di sopra dal signor Fulham, il sensale in granaglie che abitava al pianterreno. Erano passati ben trent’anni da allora e pareva un giorno.
Mary Jane, che a quei tempi era una ragazzina in sottanine corte, era diventata adesso il sostegno della famiglia: era lei che suonava l’organo di Haddington Road. Aveva studiato al Conservatorio e ogni anno dava un saggio nella sala superiore dell’Antient Concert: molte delle sue allieve appartenevano alla migliore società di Kingstown e di Dalkey. Vecchie com’erano, però, anche le zie facevano la loro parte: Julia, sebbene avesse già i capelli grigi, era ancora il primo soprano all’Adamo ed Eva, e Kate, troppo cagionevole di salute per andare in giro, dava lezioni di musica ai principianti sul vecchio pianoforte verticale nella stanza in fondo. Era Lily, la figlia del portiere, che sbrigava le faccende di casa. Nonostante vivessero modestamente, amavano tener buona tavola. Sempre il meglio di tutto: filetto di vitello, tè da tre scellini e birra di marca; e poiché in quanto a sbagliare Lily sbagliava di rado, andava abbastanza d’accordo con le sue padrone. Erano solo un po’ nervose, ecco tutto, e l’unica cosa che proprio non sopportavano era sentirsi rispondere.
Quella sera del resto non avevano tutti i torti a stare in allarme. Erano già le dieci passate e ancora non si erano visti né Gabriel né la moglie. Temevano inoltre che Freddy Malins arrivasse brillo. Per nulla al mondo avrebbero voluto che qualcuna delle alunne di Mary Jane lo vedesse in quello stato e purtroppo quando lo era non era tanto facile fargli intendere ragione. Arrivava sempre tardi Freddy Malins, ma Gabriel non riuscivano proprio a capire cosa avesse potuto trattenerlo. E cosí ogni due minuti correvano alla ringhiera per chiedere a Lily se l’uno o l’altro fosse venuto.
– O signor Conroy, – disse Lily a Gabriel nell’aprirgli la porta, – la signorina Kate e la signorina Julia temevano quasi che non veniste piú. Buona sera, signora Conroy.
– Sfido io! – esclamò Gabriel. – Ma non lo sanno che a mia moglie ci vogliono tre ore buone per vestirsi!
In piedi sul tappetino si scuoteva la neve dalle soprascarpe mentre Lily guidava la moglie verso le scale gridando:
– Signorina Kate, è arrivata la signora Conroy!
E immediatamente Kate e Julia scesero trotterellando giú per la rampa buia e abbracciarono la nipote chiedendole se non era morta stecchita dal freddo e se era venuto anche Gabriel.
– Eccomi, eccomi qua zia Kate, preciso come un orologio! – gridò la voce di Gabriel dal buio. – Andate pure voi, io vi seguo.
Seguitava a strusciare vigorosamente i piedi sul tappeto mentre le tre donne s’avviavano di sopra ridendo, verso lo spogliatoio delle signore. In frangia leggera la neve gli posava a mo’ di bavero sulle spalle e di mascherina sulle soprascarpe, e via via che i bottoni escivano scricchiolando fuor delle asole irrigidite, la fragranza fredda e pungente dell’aria esterna sfuggiva dalle pieghe e dalle aperture del mantello.
– Nevica ancora, signor Conroy? – chiese Lily.
Lo aveva preceduto nello stanzino per aiutarlo a togliersi il soprabito, e sorridendo per il modo con cui aveva pronunciato il suo cognome, Gabriel la guardò. Era una ragazzina esile, nell’età della crescita, pallida in viso e dai capelli color fieno, e il lume a gas dello stanzino la faceva parere ancora piú pallida. Gabriel la conosceva fin da quando era bambina e si trastullava con una bambola di pezza sull’ultimo gradino della scala.
– Eh, sí Lily, – rispose, – e ne avremo per tutta la notte, vedrai.
Alzò gli occhi al soffitto che tremava sotto il trepestio del ballo al piano di sopra e per un istante tese l’orecchio al suono del pianoforte. Poi riguardò la ragazza intenta a ripiegare con cura il soprabito in fondo allo scaffale.
– Dimmi un po’, Lily, ci vai ancora a scuola? – le disse in tono amichevole.
– O no, signore. Quest’anno l’ho fatta finita per sempre con la scuola.
– Be’, – continuò Gabriel faceto, – vuol dire allora che uno di questi giorni c’inviterai alle tue nozze con un bel giovanotto…
La ragazza gli diede un’occhiata da sopra alla spalla, poi disse con accento di grande amarezza:
– Non c’è da fidarsi degli uomini adesso: pensano solo ad approfittarsi di noi…
Gabriel arrossí come se si sentisse colpevole. Senza guardarla si sfilò d’un colpo le soprascarpe e col fazzoletto dette una spolverata energica agli scarpini di vernice.
Era un uomo massiccio, piuttosto alto. Il colorito acceso delle guance che gli saliva fin sulla fronte si disperdeva là in poche macchie informi di un rosso piú pallido e sul viso sbarbato scintillavano irrequiete le lenti lustre degli occhiali cerchiati d’oro, che gli proteggevano gli occhi delicati e perplessi. Portava i capelli lucidi e neri divisi nel mezzo e ravviati all’indietro sulle tempie dove li ondulava appena la piega lasciata dal cappello.
Ridato che ebbe il lustro alle scarpe si raddrizzò lisciandosi le pieghe del panciotto sul corpo massiccio, poi in fretta si tolse una moneta di tasca.
– To’, Lily, – disse mettendogliela in mano, – siamo vicini a Natale, no?… ecco qua… giusto per…
S’avviò a passo svelto alla porta.
– Ma no, signore, – protestò la ragazza, – davvero non…
– È Natale, è Natale, – ripeté Gabriel quasi correndo verso le scale e con la mano faceva intanto un gesto quasi di scusa.
Visto che ormai aveva raggiunto il primo gradino la ragazza gli gridò dietro:
– Grazie tante, allora, signore!
Attendeva fuori della sala che il valzer finisse, intento al fruscio delle vesti contro l’uscio e allo stropicciare dei piedi sul pavimento. L’amara, inattesa risposta della ragazza continuava a turbarlo. Gli aveva buttato addosso un’ombra di malinconia che invano tentava di scacciare aggiustandosi i polsini e il nodo della cravatta. Toltosi dal taschino del gilè un foglietto di carta diede un’occhiata agli appunti presi per il discorso. Era incerto sui versi di Robert Browning perché temeva fossero al di sopra della portata dei suoi ascoltatori. Sarebbe stata meglio forse qualche citazione di Shakespeare o delle Melodie, citazioni che avrebbero riconosciuto di certo. Il picchio volgare dei tacchi maschili e lo strofinio delle suole sull’impiantito venne a ricordargli che il loro grado di cultura differiva di molto dal suo. Non avrebbe fatto altro che rendersi ridicolo a citare versi che non potevano essere capiti: come se volesse far sfoggio della propria erudizione. E naturalmente avrebbe fatto fiasco con loro, come aveva fatto fiasco con la ragazza nello stanzino. Non aveva preso il tono giusto, ecco, e l’intero discorso non era che uno sbaglio dal principio alla fine, uno sbaglio completo.
Proprio in quel momento le zie e la moglie uscirono dallo spogliatoio. Erano due vecchiette piccoline, le zie, e vestite modestamente. Zia Julia, piú alta dell’altra di qualche centimetro, aveva grigi i capelli, pettinati bassi sulle orecchie, e grigia, con ombre piú scure, la faccia, flaccida e larga.
Per quanto forte d’ossatura ed eretta nella persona, gli occhi lenti e le labbra semiaperte le davano l’aspetto di una donna che non sa dov’è né dove va. Zia Kate invece era piú vivace. Il viso, piú sano di quello della sorella, era tutto grinze e fossette come una rossa mela vizza e i capelli pettinati anch’essi all’antica, non avevano ancora perduto il loro colore di nocciola matura.
Tutte e due abbracciarono Gabriel con slancio. Era il nipote prediletto, Gabriel, figlio della sorella maggiore morta, Elle, che aveva sposato T. J. Conroy, funzionario del porto e dei docks.
– Gabriel, Gretta ci stava giusto dicendo che non tornerete a Monkstown in carrozza, stanotte, – disse zia Kate.
– Infatti, – confermò Gabriel rivolgendosi alla moglie. – Ne abbiamo già avuto abbastanza l’anno scorso, vero? Non ti ricordi, zia Kate, il raffreddore che ci si prese Gretta? Gli sportelli non facevano che apri e serra per tutta la strada e tutto quel vento che soffiava dentro, passato Merrion… Uno spasso, ti dico! Gretta poi ci si buscò un bel malanno!
Ad ogni parola zia Kate aggrottava le sopracciglia severa e assentiva col capo.
– Giusto, Gabriel, giusto. La prudenza non è mai troppa.
– Gretta invece, se la lasciassi fare, sarebbe capacissima di tornarsene a piedi fino a casa, sotto la neve.
La signora Conroy si mise a ridere.
– Non gli dar retta, zia Kate… È lui ch’è un tormento con le sue visiere verdi per gli occhi di Tom la sera e gli esercizi coi manubri e la pappa d’avena per Eva. Povera piccola, lei che non la può soffrire!… Ah, ma non v’immaginerete mai cosa mi fa portare adesso!
Ruppe in una risata squillante e guardò il marito, i cui occhi erravano ammirati e felici dalla sua veste al viso e ai capelli. Anche le zie risero di cuore poiché la sollecitudine di Gabriel era per loro continuo oggetto di scherzo.
– Soprascarpe! – disse la signora Conroy. – L’ultima novità. Non appena c’è un po’ d’umido, non c’è scampo, me le debbo mettere. Voleva che me le mettessi anche stasera ma io mi sono ribellata. Scommetto che il primo regalo che mi farà sarà un costume da palombaro.
Gabriel rise nervoso raggiustandosi la cravatta per darsi un contegno, mentre zia Kate quasi si piegava in due dal gran ridere, tanto aveva gustato lo scherzo. Ma ben presto il sorriso svaní dalla faccia di zia Julia i cui occhi smorti si rivolsero al nipote. Chiese, dopo una pausa:
– E cosa sono le soprascarpe, Gabriel?
– Ma Julia, – esclamò la sorella. – Che diamine, non sai cosa sono le soprascarpe? Si mettono… si mettono sopra le scarpe, vero Gretta?
– Sí, sono di gomma, – rispose la signora Conroy. – Ne abbiamo un paio per ciascuno adesso. Gabriel dice che le portano tutti nel continente.
– Oh, nel continente! – mormorò zia Julia, scuotendo adagio la testa.
Gabriel aggrottò le sopracciglia e prese un tono quasi indispettito.
– Per me non ci vedo nulla di strano in realtà, non so perché Gretta le trovi buffissime!
– Senti un po’, Gabriel, – intervenne zia Kate con un certo tono risoluto, – avete provveduto no, per la stanza? Gretta mi stava dicendo…
– Sí, sí, ho già combinato. Ne ho fissata una al Gresham.
– Benissimo. Non potevate far meglio. E per i bambini, Gretta, non starai in pensiero?
– Oh, be’, per una notte… C’è Bessie poi che li guarda.
– Dev’essere una bella tranquillità avere una ragazza come quella, una di cui ci si può fidare… C’è Lily invece che non so proprio cosa le sia preso ultimamente. Non è piú la stessa.
Gabriel stava giusto per rivolgere alla zia alcune domande sull’argomento quando questa s’interruppe d’un tratto per cercare con lo sguardo la sorella che sporgendo il collo di sopra alla ringhiera si allontanava adagio giú per le scale.
– Ma insomma, – disse in tono un po’ brusco, – dove va Julia… Julia! Julia! Dove vai?
Julia che aveva già sceso mezza rampa tornò indietro e annunciò blanda:
– C’è Freddy.
Nello stesso istante un applauso e l’ultimo accordo del pianista annunciarono la fine del valzer, la porta della sala venne aperta dal di dentro e uscirono alcune coppie. In fretta zia Kate trasse Gabriel da parte e gli mormorò all’orecchio:
– Fa’ un salto giú, Gabriel, da bravo, e vedi un po’ in che stato si trova. Se è ubriaco non lasciarlo salire, mi raccomando. Ma lo sarà di sicuro, vedrai…
Gabriel scese le scale e tese l’orecchio dalla ringhiera. Sentí le voci di due persone che par...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Gente di Dublino
  3. Copyright
  4. Introduzione - di Giorgio Melchiori
  5. Gente di Dublino
  6. Le sorelle
  7. Un incontro
  8. Arabia
  9. Eveline
  10. Dopo la corsa
  11. Due galanti
  12. La pensione di famiglia
  13. Una piccola nube
  14. Contropartita
  15. Cenere
  16. Un increscioso incidente
  17. Il Giorno dell’Edera
  18. Una madre
  19. La grazia
  20. I morti