Aggirammo quel banco di sabbia mentre Skunk ci stava correndo incontro. A Terry era successo qualcosa di terribile, urlava come se stesse per morire e in un altro momento di luce vidi di cosa si trattava. L’ascia che Skunk portava con sé ora era conficcata nel nostro tronco, a pochi centimetri dalla sua mano. In quella luce fugace potei dare solo una rapida occhiata, ma mi accorsi subito che la punta del dito di Terry, sulla mano che si reggeva al tronco, era stata tagliata di netto e perdeva sangue. Quel maledetto Skunk gli aveva lanciato addosso l’ascia.
Ma non c’era tempo per occuparsi di queste cose e continuammo a spingere con le gambe e a remare con le braccia libere. Quando ci guardammo indietro, vidi Skunk che entrava in acqua, con la testa che andava su e giú come un grosso tappo di sughero. La bombetta sembrava incollata alla testa come un neo sulla pelle.
Il fiume si fece sempre piú profondo, ampio e rapido, e d’un tratto il tronco prese velocità, tanto che rischiai di perdere la presa. Alla fine dovetti rassegnarmi a usare entrambe le mani per tenermi salda, e lo stesso dovette fare Terry. Continuavamo a scalciare nell’acqua ma perlopiú adesso erano il fiume e la pioggia a farci filare alla velocità della luce.
Lanciai uno sguardo indietro convinta di vedere Skunk a pochi metri, invece non c’era piú. Forse l’acqua lo aveva inghiottito, oppure era stato lui a decidere di desistere e nuotare fino a riva. O magari era ancora lí e semplicemente io non riuscivo a vederlo perché non solo era buio ma era anche pieno di rami, di tronchi e roba simile che si spostava velocemente portata dalla rapida corrente del fiume.
Continuavo a sperare che la pioggia cessasse, ma niente da fare. Non era un semplice acquazzone; era quello che mamma chiamava un diluvio e che Jinx descriveva come la pisciata di una vacca su una roccia piatta.
I lampi continuarono a squarciare il cielo e a un certo punto una saetta schizzò fuori dall’oscurità e colpí in pieno un albero sulla riva, incendiandolo come fosse una fiaccola. Dall’albero si sprigionò una luce che rese l’acqua simile a un fiume di sangue. Sentivo il calore di quel fuoco arrivare fino al punto dove ci trovavamo. E riuscii anche a vedere qualcos’altro: una gobba sull’acqua vicino a riva, che andava dentro e fuori, immergendosi e sfidando la corrente. E poi vidi la gobba raggiungere la riva, scivolarci sopra e fuggire nel bosco come un’ombra. Non riuscivo a vedere i particolari, ma immaginai fosse Skunk. Come avesse fatto a nuotare in quel turbine e a raggiungere la riva era al di là della mia comprensione. Pensai addirittura che gli occhi mi stessero giocando qualche scherzo e che quel che avevo visto fosse un castoro, ingigantito dalle fiamme che s’innalzavano dall’albero incendiato.
Intanto il fiume continuava a trasportarci. La borsa appesa alla mia schiena si era riempita d’acqua ed era pesantissima. Se avessi potuto staccare per un attimo entrambe le mani dal tronco, avrei cercato di prendere il coltello dalla tasca della salopette e liberarmene. Tenere addosso quella borsa inzuppata era come avere una persona che ti cavalca sulla schiena e ti schiaccia verso il basso.
Alla fine la tempesta si placò e il cielo si schiarí, lasciando il posto a un po’ di luce, sotto la quale mi resi conto che ci trovavamo in un punto nel quale eravamo già passati, e che la chiatta doveva essere ferma su un banco di sabbia non molto lontano da lí.
Infatti dopo poco la vidi. Non era esattamente nello stesso punto, il livello dell’acqua era salito tanto da spingerla fuori dalla sabbia e contro la riva. Anzi, il banco di sabbia non c’era proprio piú: era stato sommerso o spazzato via, o entrambe le cose.
Terry e io smettemmo di farci portare dalla corrente e iniziammo a spingere con i piedi e con le braccia libere. Era una fatica infernale e non riuscivamo a farci obbedire dal nostro tronco. Alla fine ci avvicinammo alla chiatta: non si vedeva nessuno né in piedi né seduto e potevo solo sperare che fossero tutti dentro la cabina, cosa plausibile vista la situazione. Ma mi passò per la mente che avrebbero anche potuto essere stati sbalzati fuori, ed essere annegati. Poi mi dissi che se fosse stato cosí, la chiatta non sarebbe stata legata a una grossa radice. Qualcuno doveva pur averlo fatto e questo significava che qualcuno doveva essere stato vivo quando la chiatta era stata sbattuta sulla riva. D’altro canto ciò non significava che un’ondata d’acqua non li avesse potuti portare via in un secondo momento. Tutti questi pensieri mi picchiavano nella testa come se marciassero con stivaloni da militari. Stavo cercando di ragionarci sopra quando finalmente riuscimmo a far virare il tronco e ad accostarci alla riva tanto da poterlo finalmente abbandonare per raggiungere la terraferma a nuoto. Guardai il tronco con l’ascia conficcata che andava a mescolarsi con il resto dei rami e ramoscelli staccati che fluttuavano nel fiume.
Quanto alla mia borsa, se prima avevo pensato che fosse pesante, ora senza l’appoggio del tronco mi stava portando a fondo. Di nuovo avrei voluto liberarmene, ma finché nuotavo per salvarmi la vita non potevo permettermi di fare nient’altro.
Alla fine raggiungemmo un punto dove la riva non era troppo alta e ci aggrappammo a delle radici scoperte, rimanendo appesi a riprendere fiato e forze. In quel momento mi sentivo come un cavallo sfiancato e lasciato lí bagnato e senza neanche un po’ di cibo.
Dopo un po’ provai ad aggrapparmi alla riva, con quella maledetta borsa bagnata che faceva di tutto per trascinarmi in acqua. Non appena fui al sicuro, allungai una mano e aiutai Terry a tirarsi su. La mano che mi porse era quella ferita e, mentre facevo forza per portarlo all’asciutto, sentii il suo sangue caldo colarmi sulla pelle. Per un po’ rimanemmo lí, stesi sulla schiena con la pioggia che ci batteva addosso, immobili, incapaci persino di pensare. Alla fine ci alzammo, trovai il coltello e tagliai via le borse dalle nostre spalle. Ci fermammo per tirar fuori la torcia da quella di Terry. Era bagnata, ma svitandola, estraendo le pile e scrollando via l’acqua, alla fine quando rimettemmo insieme i pezzi riuscimmo a farla funzionare e a controllare il contenuto del nostro bagaglio.
Tutto il cibo che avevo nella mia borsa, a parte quello in scatola, era da buttare. La latta di lardo invece sembrava intatta: la tirai fuori e con il coltello feci leva fino ad alzare il coperchio. Dentro era asciutto e il barattolo era in condizioni perfette, avvolto com’era nel vecchio asciugamano. Lo presi e sollevandolo lo guardai. Erano le ceneri di May Lynn e in quel momento pensai che il peso che mi ero sentita sulle spalle magari fosse stato il suo fantasma, sempre che un fantasma possa pesare come una cassa di mattoni.
Terry controllò il suo barattolo, e il denaro era a posto. Rimettemmo i nostri contenitori nelle latte e le chiudemmo con attenzione. Mi venne un pensiero improvviso e mi cercai la pistola attorno al collo. Ma non c’era piú. Si era staccata e ora giaceva in fondo al fiume.
Non avremmo dovuto farlo, ma a quanto pare dovevamo essere talmente stufi di portare quelle borse bagnate addosso che trasportammo le latte tenendole per i manici e tornammo indietro fino alla riva in cerca della chiatta. E fortunatamente la trovammo. La riva era un po’ piú alta del punto in cui eravamo saliti, ma non tanto da non poter fare un salto fin sulla chiatta.
Quando ci sentí, Jinx uscí dalla cabina a quattro zampe con un remo in mano. Cominciò a inveire, gridando che ci avrebbe spaccato quell’affare sulla testa. Poi si rese conto che eravamo noi.
– Vaffanculo, – disse. – Vi pare il caso di saltare giú in quel modo? Pensavo fosse l’agente Sy, stavo per farmela addosso.
– Lui non verrà piú, – dissi.
– Morto, – disse Terry, tenendosi la mano ferita premuta contro il petto.
– Come? – chiese Jinx.
Prima di poter rispondere, vidi la testa di mia madre che spuntava dalla porta della cabina.
– Ero molto preoccupata.
– Va tutto bene, – dissi io.
– Hai detto che l’agente Sy è morto? – chiese mamma, rimanendo col corpo dentro la cabina, al riparo dalla pioggia.
– Sí, – dissi. – Ma non siamo stati noi. E ora dobbiamo sparire di qui, perché qualcuno ci sta inseguendo, qualcuno che è ben peggio dell’agente Sy.
– Chi ci segue? – chiese Jinx.
– Skunk, – disse Terry. – Avevi ragione a dire che esiste davvero. Non solo esiste, ma l’abbiamo visto e lui ha visto noi e…
Terry mostrò la sua mano.
– Cos’è successo? – disse mamma da sotto la cabina.
– Mi ha mozzato un dito lanciandomi addosso un’ascia, – rispose Terry. – Se non avessi scelto esattamente quel momento per voltarmi, mi sarei preso l’ascia in piena testa.
Quindi Terry si inginocchiò, si fermò il tempo necessario per piazzarsi accanto la latta di lardo con dentro i soldi e stramazzò col corpo in avanti.
– Be’, – disse Jinx guardando Terry. – E io che stavo per raccontarvi la terribile storia di quel che è successo a noi. Di come si è messo a piovere, e il bastone conficcato nella sabbia è stato trascinato via, e poi è stata trascinata via pure la sabbia. E di come per un pelo non siamo annegati e abbiamo lottato nella pioggia per restare legati. Ma il fatto che ci sia Skunk – e io l’avevo detto che c’era – e che voi due lo abbiate visto, e che Terry ci ha addirittura rimesso un pezzo di dito e adesso stramazza a terra, fa sembrare la nostra storia priva d’importanza. Diciamo che anche noi abbiamo avuto le nostre belle difficoltà.
Mamma, che intanto era uscita dalla cabina, mi aiutò a girare Terry sulla schiena e insieme demmo un’occhiata al suo dito. Solo la punta si era staccata, ma Terry aveva perso un bel po’ di sangue e questo, insieme al carattere disumano della nostra avventura, l’aveva messo ko.
Nemmeno io mi sentivo cosí in forma. Posai la latta e con mamma e Jinx trascinammo Terry dentro la cabina. C’era poco spazio e non riuscimmo a entrare con lui, ma ve lo spingemmo dentro, accanto al reverendo che a quanto potevo vedere era ancora lungo disteso e immobile.
– È morto? – chiesi.
– No, – disse mamma. – Si trova dove vanno i morti prima di abbandonare definitivamente i loro corpi.
Mamma mise la testa dentro la cabina e da una delle borse tirò fuori degli stracci con cui si mise a fasciare stretto il dito di Terry. Adesso Terry era sveglio, ma decisamente non stava bene.
Io presi le latte e le sistemai dentro la cabina, in fondo, accanto al reverendo. Mamma stava ancora bendando il dito di Terry. Guardò le latte e disse: – Suppongo che siano i soldi e May Lynn.
– Già, – risposi. – E finora siamo riusciti a non mischiarli né a confonderli.
Tornai strisciando fuori e con l’aiuto di Jinx slegai la chiatta. Jinx era stata tanto furba da legare i bastoni con piú giri di corda su un lato della chiatta, e ora li slegammo e ci spingemmo in mezzo al fiume.
Stava continuando a piovere, ma di minuto in minuto diminuiva. E anche il fiume non correva veloce come prima. Quando ci fummo spinti abbastanza in là, Jinx si mise al timone mentre io mi spostavo da un lato all’altro spingendo con il bastone fino a che non toccammo piú il fondo. Era difficile prevedere che cosa sarebbe successo, ma proseguimmo spediti fino a quando sorse il giorno. Fui io la prima a scorgerlo tra gli alberi: un dolce bagliore rosa seguito da un’arancia bella rossa che si gonfiò fino a riempire il cielo.
Era una bella visione: ogni cosa appare piú bella alla luce, anche se non sempre lo è davvero. Ma, come una volta mi aveva detto Jinx: «Almeno quando non è buio hai piú possibilità di riconoscere quel che ti sta strisciando addosso».
Il cielo era diventato piú chiaro, ma il fiume era ancora nero come il peccato e pieno di rami e foglie. Vidi un opossum morto che galleggiava e un serpente rimasto ucciso nella tempesta. L’aria aveva odore di terra. Alla fine il sole si alzò abbastanza da rendere l’acqua di un colore meno simile al caffè e piú al cioccolato al latte. Gli uccelli iniziarono a cinguettare e a svolazzare tra gli alberi. Il giorno si fece piú caldo e il sole asciugò quasi del tutto i miei vestiti bagnati.
Sostituii Jinx al timone e lei si sedette davanti, aspettando il momento in cui avrebbe dovuto usare il bastone o il remo per dirigere la chiatta. Mamma uscí dalla cabina con la sua borsa, dalla quale tirò fuori della carne secca che non sapevo avesse. Me ne diede un po’: era umida nel punto in cui la borsa si era bagnata, ma era comunque ottima. Non avevamo acqua, purtroppo, e in quel momento avrei preso a calci sui denti un orso per trovare qualcosa da bere.
Terry strisciò fuori dalla cabina e ci raggiunse per mangiare anche lui un po’ di carne secca.
– Tutto bene? – gli chiesi.
– Sopportabile, – rispose sollevando la mano fasciata.
– Il reverendo dà qualche segno di vita? – domandai ancora.
– Ha fatto una scorreggia, – disse Terry, – ma a parte questo è zitto e fermo come una tomba.
– Ho paura che non ce la farà, – disse mamma.
– Non gli è successo niente che non sia successo anche a noi, – disse Jinx.
Io, naturalmente, sapevo cos’era successo al reverendo e sapevo che tutto quel che gli era successo era andato ad aggiungersi ai sentimenti che provava verso se stesso. Alla fine era stato sopraffatto. Era come se su di lui fosse stato messo un mattone di troppo, che lo aveva fatto crollare. Non dissi nulla, perché nessuno sapeva quel che avevo origliato e non mi pareva il caso di tirarlo fuori proprio adesso.
Il fiume scorreva bene e il sole continuava ad asciugare i miei vestiti. Cominciavo a sentirmi piú ottimista, a pensare che la faccenda sarebbe finita bene e che eravamo ormai lontani da Skunk e presto saremmo stati fuori dalla sua portata.
Mi misi a pensare di nuovo al denaro e a cosa avrei potuto farci. Pensai anche alle ceneri di May Lynn, benché una parte di me fosse ancora furiosa con quelle maledette ceneri che per poco non mi avevano ...