La dea cieca
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La dea cieca

  1. 392 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Un piccolo spacciatore ucciso per le strade di Oslo. Un ragazzo olandese fermato in stato confusionale e coperto di sangue: il sospetto ideale sul quale concentrare le indagini. La donna che l'ha trovato, Karen Borg, è un avvocato civilista, ma il ragazzo dichiara di voler parlare solo con lei e di volerla come difensore. Ma c'è un secondo omicidio, quello di un avvocato di dubbia moralità, e sembra non avere alcun legame con il primo. Sembra soltanto, però. Spetta all'ispettrice Hanne Wilhelmsen andare a fondo su entrambi i delitti, fino a intuire collegamenti impensati. Può essere davvero possibile che droga, avvocati, corruzione e perfino servizi segreti siano legati da un'unica rete?

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
Print ISBN
9788806208981

Giovedí, 1ø ottobre

I giornali dedicarono grande spazio all’omicidio dell’avvocato Hans A. Olsen. A dispetto dei suoi sforzi ripetuti e maldestri, da vivo non era mai riuscito a finire in prima pagina. Da morto si assicurò sei facciate. Ne sarebbe andato fiero. I suoi colleghi si pronunciarono con il dovuto rispetto, e anche se quasi tutti lo ritenevano una mezza calza, la stampa lo descrisse come un rispettato e stimato principe del foro. Dal suo omicidio diversi giornalisti trassero lo spunto per criticare la polizia, che per la seconda volta in pochi giorni brancolava nel buio. La tesi su cui quasi tutti sembravano concordare era che l’avvocato fosse stato spedito al creatore da un suo insoddisfatto patrocinato. Vista l’esiguità del suo portafoglio clienti, la caccia all’assassino avrebbe dovuto essere semplice e rapida.
Il detective Hanne Wilhelmsen non credeva a quella teoria. E aveva sentito il bisogno di schiarirsi le idee, piuttosto nebulose, con HÃ¥kon Sand.
Si erano appartati in un angolo della mensa, a un tavolo accanto a una finestra da cui si godeva la magnifica vista di uno dei quartieri piú depressi di Oslo. Avevano preso entrambi un caffè, ed entrambi ne avevano versato un po’ nel piattino. Quando bevevano, le tazze sgocciolavano. In mezzo a loro era aperta una scatola di cioccolatini.
Fu Hanne Wilhelmsen a parlare per prima.
– Se devo essere sincera, Håkon, credo che ci sia un legame fra questi due omicidi.
Gli piantò gli occhi addosso, in attesa di una reazione. Non aveva idea di come Håkon avrebbe accolto i suoi sospetti. Lui prese un cioccolatino, lo intinse nel caffè e dopo averlo mangiato si leccò le dita. Le sue unghie non erano pulitissime. Le restituí lo sguardo.
– Non c’è la benché minima somiglianza fra i due omicidi, – disse, un po’ demoralizzato. – Armi diverse, metodi diversi, scene del delitto diverse, persone e tempistiche completamente diverse. La tua teoria fa acqua da tutte le parti.
– Okay, però ascoltami. Prova a non fissarti troppo sulle differenze. Consideriamo quello che accomuna i due casi –. Hanne era chiaramente eccitata. Iniziò a contare sulle dita per dare enfasi al ragionamento. – Primo: gli omicidi sono stati commessi a soli cinque giorni l’uno dall’altro.
Non si curò del sorrisetto ironico che era apparso sulle labbra di Håkon Sand, né delle sue sopracciglia alzate.
– Secondo: non abbiamo ancora una spiegazione per nessuno dei due omicidi. D’accordo, siamo riusciti a identificare l’uomo dell’Aker. Ludvig Sandersen. Un tossico di quelli tosti, con una fedina penale lunga come il mio braccio. È uscito di galera sei settimane fa dopo avere scontato l’ultima condanna. Ma lo sai chi era il suo avvocato?
– Visto il tuo tono trionfale, presumo sia il nostro compianto amico Hans A. Olsen.
– Bingo! Niente male come collegamento, non trovi? – Il suo tono si fece piú pacato: – Non solo Sandersen era un suo cliente, ma aveva anche un appuntamento con Olsen il giorno in cui è stato assassinato! È stata Heidi a scoprirlo, controllando l’agenda di Olsen. L’appuntamento era fissato per le due di venerdí, e c’era una riga sulle ore successive. Un colloquio bello lungo, insomma. Sempre che si siano visti, e questo ovviamente non lo sappiamo. Ma sono sicura che la segretaria di Olsen potrà confermarcelo.
Håkon Sand aveva mangiato quasi tutti i cioccolatini in pochi minuti, Hanne Wilhelmsen era riuscita a prenderne soltanto un paio. Nell’attesa di una reazione, fece un uccellino con l’involucro di carta dorata.
A un tratto attaccarono a parlare contemporaneamente, e scoppiarono a ridere.
– Dopo di te, – disse Håkon Sand.
– C’è un altro dettaglio.
Anche se la mensa era semivuota e la persona piú vicina era seduta ad almeno sette metri di distanza, Hanne Wilhelmsen aveva abbassato la voce.
– Non ho intenzione di metterla nero su bianco, questa cosa. Non la dico proprio a nessuno. A parte te –. Si tappò le orecchie in un gesto eloquente, poi appoggiò i gomiti sul tavolo. – Poco tempo fa ho dovuto interrogare un uomo in relazione a uno stupro. Ha una tale lista di precedenti che quando ci capita un caso di aggressione sessuale lo andiamo a prendere e lo portiamo dentro per pura routine. Stavolta lí lo abbiamo escluso quasi subito, ma lui era nervoso lo stesso, molto nervoso per qualcosa. Lí per lí non ci ho fatto caso, sono sempre tutti piú o meno agitati perché hanno sempre qualcosa da nascondere. Ma quel tipo aveva veramente paura. Non sapeva ancora cosa volevamo da lui, e cercava già di farci capire che era pronto a un accordo. Ha iniziato a raccontare qualcosa, non ricordo piú le parole esatte, comunque ha parlato di un grosso affare nell’ambito del narcotraffico e di un avvocato che lo seguiva. Sai meglio di me come sono questi tipi, si inventerebbero qualsiasi cosa e si venderebbero la madre per evitare guai. Perciò sul momento non gli ho dato chissà che importanza.
Ormai la voce di Hanne Wilhelmsen era ridotta a un mormorio. HÃ¥kon Sand era stato costretto a chinarsi in avanti per riuscire a sentire quello che diceva. Chi fosse passato per caso li avrebbe probabilmente presi per due innamorati.
– Questa notte mi sono addirittura svegliata, non riuscivo a togliermi quel tipo dalla testa, – disse Hanne. – La prima cosa che ho fatto stamattina quando sono arrivata in ufficio è stato andare a cercare il verbale dell’interrogatorio su quel vecchio caso di stupro. E indovina qual era il nome dell’avvocato.
– Hans A. Olsen.
– Esatto.
Rimasero seduti con lo sguardo fisso fuori della finestra, sul panorama indistinto della città. Håkon Sand inspirò ed espirò a fondo, risucchiando l’aria attraverso gli incisivi. Smise quasi subito, non appena si rese conto che quel suono poteva risultare sgradevole.
– Cos’è che abbiamo sul serio? – disse infine, prendendo un foglio A4 di carta bianca. Iniziò a scrivere una serie di numeri, uno sotto l’altro.
– Abbiamo un tossico morto. Un presunto colpevole agli arresti, che rifiuta di dire il movente.
Nella foga di scrivere, fece un buco nella carta con la penna.
– Il tossico è stato massacrato in modo brutale, non sarebbe sopravvissuto neanche se avesse avuto nove vite. Poi abbiamo un avvocato ucciso in maniera molto piú sofisticata. Sappiamo che le due vittime si conoscevano. Sappiamo che avevano un appuntamento il giorno stesso in cui il tossico ha tirato le cuoia. Cos’altro? – Proseguí senza aspettare una risposta. – Una soffiata poco credibile su un avvocato coinvolto in un qualche traffico di stupefacenti. E il suddetto avvocato non sarebbe altri che il nostro Hans A. Olsen.
Hanne Wilhelmsen notò che gli angoli della bocca di Håkon Sand continuavano a contrarsi, come per un tic.
– Devo ammettere che il tuo ragionamento fila, Hanne. Forse abbiamo una pista. Ma qual è il prossimo passo?
Per la prima volta da quando si era seduta, Hanne Wilhelmsen si appoggiò allo schienale della sedia. Cominciò a tamburellare le dita sul ripiano del tavolo.
– Dobbiamo tenere la bocca assolutamente chiusa, – disse. – Questa è la pista piú vaga su cui abbia mai basato un’indagine degna di questo nome. Ti terrò informato. Okay?
La squadra Narcotici era sia la pecora nera sia una fonte di grande orgoglio per la polizia. Gli agenti che vi appartenevano si vestivano in jeans, tenevano i capelli lunghi e sfoggiavano un look in generale trasandato; sentivano di non doversi attenere ad alcun codice d’abbigliamento, non ne avevano bisogno. Ma a volte finivano per infrangere regole piú importanti, e allora non era infrequente che venissero convocati dal capo del personale o persino dal capo della polizia. In quelle occasioni annuivano e promettevano di cambiare e migliorare, ma se ne scordavano appena la porta si chiudeva alle loro spalle. Nel tempo, alcuni avevano esagerato al punto di essere trasferiti dietro una miserabile scrivania, ma solo temporaneamente. Questo perché la polizia adorava i suoi trasandati agenti in jeans. La Narcotici era efficiente e lavorava sodo; spesso riceveva la visita dei colleghi svedesi e danesi, che arrivavano alla centrale con qualche scusa nebulosa e se ne andavano ammirati.
La settimana prima, proprio mentre erano lí alcuni poliziotti di Stoccolma, una troupe della tv svedese aveva seguito la squadra per un’intera serata. Due dei ragazzi avevano portato la troupe a «trovare» una prostituta che notoriamente teneva sempre in casa un grammo o due di roba per i suoi clienti. Visto che il telaio era stato raffazzonato malamente dopo l’ultima «visita», buttare giú la porta era stato un gioco da ragazzi. Con un fotografo al seguito, i nostri eroi si erano scagliati all’interno della stanza buia. Accesa la luce, davanti ai loro occhi era apparso un uomo di mezza età in abito rosso scollato e collare da cane. Quando aveva visto gli ospiti, il tizio era scoppiato in un pianto dirotto. Gli agenti lo avevano consolato dicendogli che non erano venuti per lui. Tuttavia, dopo avere scoperto quattro grammi di hashish e due dosi di eroina sullo scaffale di una libreria chimicamente ripulita dai libri ma carica di paccottiglia utile a un unico scopo, avevano chiesto i documenti all’uomo seduto sul pavimento. Singhiozzando, il povero cristo aveva teso loro un portafoglio mimetico. Quando si erano resi conto che si trattava di un ufficiale dell’esercito, i poliziotti avevano dovuto fare uno sforzo notevole per non scoppiare a ridere. L’imbarazzo dell’uomo era comprensibile. Viste le circostanze però, sebbene il militare non avesse fatto niente di illegale, loro erano comunque costretti a fare rapporto al capo dei servizi di sicurezza, all’ottavo piano della centrale di polizia. Nessuno della Narcotici aveva mai saputo che cosa ne fosse stato del povero cristo, ma la troupe svedese si era divertita da morire, anche se poi aveva avuto il tatto e il buon gusto di non mandare in onda nulla di quanto aveva filmato.
Il ruolo della Narcotici era implicito nel suo stesso nome. I ragazzi dovevano creare scompiglio nell’ambiente della droga, sia per bloccare lo smercio sia per limitare il reclutamento di spacciatori. Non dovevano farsi passare per addetti ai lavori, quindi non era un problema se si capiva che erano poliziotti. L’aspetto lugubre che avevano in gran parte adottato serviva piú a inserirsi nell’ambiente che a farsi passare per ciò che non erano. Sapevano quasi tutto quello che succedeva nel mondo della malavita di Oslo, e da questo punto di vista erano una spanna piú in alto di ogni altra sezione della polizia. Il problema era la ricorrente mancanza di prove.
Molto prima di arrivare alla porta, Hanne Wilhelmsen udí le battute e le grasse risate che riecheggiavano nella sala relax della Narcotici. Bussò tre volte con forza senza che nessuno la sentisse. Riprovò e finalmente si aprí uno spiraglio di porta. Hanne si trovò davanti un tizio lentigginoso con i capelli unti che masticava una presa di tabacco. Il tizio le sorrise, coi denti incrostati di pezzettini di foglie.
– Ciao, Hanne, che cosa possiamo fare per te?
Il suo tono di voce era estremamente gentile, anche se con il linguaggio corporeo suggeriva il contrario e continuava a tenere la porta socchiusa.
Hanne ricambiò il sorriso, mise una mano sul battente e spinse. Il tizio lentigginoso fu costretto a scostarsi.
Il salone era cosparso di resti di cibo, rifiuti, cartacce, riviste semipornografiche. Stravaccato in un angolo c’era un uomo rapato a zero, con una croce rovesciata a un orecchio, un maglione islandese spesso e rigido e stivali ai piedi. Tutti lo chiamavano Billy T. Aveva frequentato l’accademia di polizia insieme a Hanne ed era considerato uno degli agenti piú efficienti e perspicaci della squadra. Era un uomo calmo, gentile e docile come un agnellino, e aveva un appetito sessuale che, abbinato a una fertilità invidiabile, gli aveva dato quattro figli da altrettante madri. Non aveva mai convissuto con nessuna di loro, ma adorava i suoi bambini, tutti maschi, due dei quali compivano tre anni a poche settimane l’uno dall’altro. Pagava regolarmente gli alimenti a tutte e quattro e non se ne lamentava mai.
Era con lui che Hanne Wilhelmsen voleva parlare. Si fece strada in mezzo ai cumuli di rifiuti e cartacce fino a raggiungerlo. Billy T. abbassò la rivista di moto che stava leggendo e alzò su di lei uno sguardo leggermente sorpreso.
– Ti vanno quattro chiacchiere nel mio ufficio? – Con un vago cenno del capo e di una mano gli fece capire che non voleva parlare di fronte a tutti.
Billy T. annuí, posò la rivista sul tavolo – un suo collega se ne appropriò immediatamente – e seguí la collega.
Hanne Wilhelmsen staccò una lista scritta a macchina dalla bacheca dietro la scrivania. Una puntina cadde a terra, ma lei non si curò di raccoglierla e posò il foglio di fronte a Billy T.
– È l’elenco degli avvocati difensori di Oslo, piú alcuni che si occupano di cause penali solo saltuariamente. Sono una trentina.
Billy T. iniziò a leggere la lista con interesse, scuotendo la testa rapata. Per farli entrare tutti sullo stesso foglio, i nomi erano stati scritti cosí in piccolo da obbligarlo a stringere gli occhi per distinguerli.
– Cosa ne pensi? – chiese Hanne.
– Cosa ne penso? In che senso? – Billie T. lasciò scorrere l’indice sul foglio. – Lui è okay, lui non è male, lui è un sacco di merda, lei è okay, – iniziò. – È questo che ti interessa?
– Be’, non proprio, – mormorò Hanne incerta. – Qual è l’avvocato che segue piú casi di droga? – chiese dopo qualche secondo.
Billy T. prese una penna e mise una croce di fianco a sei nomi. Hanne prese il foglio, lesse quei sei nomi, poi posò l’elenco e volse lo sguardo verso la finestra prima di ricominciare a parlare.
– Sai se uno di questi sia mai stato coinvolto direttamente nel traffico di droga? Non gira nessuna voce?
Billy T. non sembrò sorpreso dalla domanda. Si mordicchiò il pollice.
– Me lo stai chiedendo seriamente, vero? Be’, di voci ne girano un sacco, ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La dea cieca
  4. Lunedí 28 settembre, flashback
  5. Martedí, 29 settembre
  6. Giovedí, 1ø ottobre
  7. Venerdí, 2 ottobre
  8. Lunedí, 5 ottobre
  9. Mercoledí, 7 ottobre
  10. Domenica, 11 ottobre
  11. Lunedí, 12 ottobre
  12. Martedí, 13 ottobre
  13. Giovedí, 15 ottobre
  14. Venerdí, 16 ottobre
  15. Lunedí, 19 ottobre
  16. Venerdí, 23 ottobre
  17. Lunedí, 26 ottobre
  18. Giovedí, 29 ottobre
  19. Martedí, 3 novembre
  20. Venerdí, 6 novembre
  21. Sabato, 7 novembre
  22. Lunedí, 9 novembre
  23. Martedí, 10 novembre
  24. Mercoledí, 11 novembre
  25. Giovedí, 12 novembre
  26. Venerdí, 13 novembre
  27. Giovedí, 19 novembre
  28. Venerdí, 20 novembre
  29. Sabato, 21 novembre
  30. Lunedí, 23 novembre
  31. Martedí, 24 novembre
  32. Mercoledí, 25 novembre
  33. Venerdí, 27 novembre
  34. Sabato, 28 novembre
  35. Domenica, 29 novembre
  36. Lunedí, 30 novembre
  37. Martedí, 1º dicembre
  38. Martedí, 8 dicembre
  39. Giovedí, 10 dicembre
  40. Lunedí, 14 dicembre
  41. Il libro
  42. L’autrice
  43. Della stessa autrice
  44. Copyright