Il supplizio del legno di sandalo
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Il supplizio del legno di sandalo

  1. 512 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Il supplizio del legno di sandalo

Informazioni su questo libro

Cina 1900: provincia dello Shandong. Sun Bing è un ribelle per caso, che si ritrova a guidare una rivolta di contadini a fianco dei Boxer, la società segreta cinese nemica delle potenze imperialistiche straniere. Ma Sun Bing non è solo un contadino in guerra contro un potere piú grande di lui, e da cui sarà atrocemente punito. È anche un artista, è un uomo che vive di canto e per il canto. Di fronte a lui, Zhao Jia, il vecchio boia grande esperto di torture, giunto all'ultimo lavoro della sua carriera. Come Sun Bing, con il canto, anche Zhao Jia possiede una tecnica antichissima. I due maestri si affrontano con la loro rispettiva arte cercando, nelle condizioni estreme, di portare a termine il capolavoro della propria vita e della propria morte. *** «Mo Yan è uno degli scrittori piú forti, creativi e travolgenti della nostra epoca». Claudio Magris

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2012
Print ISBN
9788806186616
eBook ISBN
9788858407295

Lo stomaco del maiale

Capitolo quinto
Il duello delle barbe

1.
Sul mento di Qian Ding, il nuovo magistrato del distretto di Gaomi, cresceva una barba splendida, simile a una cascata. Alla sua prima apparizione nella sala delle udienze, fu proprio questa a mettere in soggezione i vari funzionari, infidi come demoni, e i diversi ranghi delle guardie, feroci al pari di lupi e tigri.
Il suo predecessore, uno che aveva pagato per ottenere l’incarico, presentava fattezze scimmiesche e sul suo mento spuntava qualche pelo patetico che ricordava piuttosto i baffi dei topi. Uomo ignorante e sprovvisto di talento, si era occupato soltanto di accumulare soldi. Stava seduto sul suo seggio nella sala delle udienze grattandosi la testa come un macaco. Il suo aspetto ignobile e la sua condotta immorale avevano preparato una buona base psicologica all’insediamento di Qian Ding, il suo successore. Quando i subalterni videro il portamento solenne del nuovo magistrato che sedeva impettito nella sala delle udienze, ebbero una sensazione di novità assoluta. Qian Ding, a sua volta, percepí gli sguardi amichevoli che l’uditorio gli rivolgeva.
Qian aveva superato gli esami imperiali del piú alto livello nel 1883, l’anno Guiwei del regno dell’imperatore Guangxu, insieme a Liu Guangdi, che venne in seguito conosciuto come uno dei Sei Gentiluomini dell’anno Wuxu, il 1898. Liu risultò il trentasettesimo in graduatoria, Qian il trentottesimo. Dopo due anni di gavetta in un ufficio secondario della capitale, Qian, attivando le sue conoscenze, riuscí a farsi assegnare un incarico fuori città. Fu prima magistrato di distretto a Dianbai, nella provincia del Guangdong, e poi a Fushun nel Sichuan, il paese natale di Liu Guangdi. Dianbai e Fushun erano posti isolati, ricchi di montagne brulle e acque impetuose, la gente vi faceva una vita dura, e neanche un funzionario corrotto avrebbe trovato di che profittare. Per questo, quando il terzo incarico lo portò a Gaomi, un luogo prospero e ben collegato, anche se era rimasto di pari grado gli sembrò di essere stato promosso. Era molto ambizioso e pieno di entusiasmo, aveva un viso luminoso dal sano incarnato, le sopracciglia folte come bachi da seta, le pupille tanto lucide da sembrare di lacca, e la barba folta come la coda di un cavallo scendeva fino a lambire il tavolo. Una bella barba fa già mezzo funzionario. I suoi colleghi gli avevano detto ridendo, Fratello Qian, se l’imperatrice madre Cixi, il vecchio Buddha, ti vedesse ti promuoverebbe come minimo intendente di circuito. Era un peccato che fino ad allora non avesse avuto occasione di mostrare tanta solennità al cospetto dell’imperatore e dell’imperatrice madre. Pettinandosi la barba davanti allo specchio non poteva fare a meno di sospirare, Peccato per questo volto dalla nobile espressione, per questa splendida barba da immortale.
Durante il lungo viaggio dal Sichuan allo Shandong, si era fatto predire il futuro in un piccolo tempio sulle rive del Fiume Giallo al confine con lo Shaanxi – la bacchetta di bambú che aveva estratto portava l’iscrizione: «Sempre piú in alto, grande fortuna e grandi vantaggi». I versi che l’accompagnavano dicevano: «Come un pesce persico solcherai le acque del Fiume Occidentale, come una saetta ascenderai alla volta celeste». La profezia spazzò via i suoi cupi pensieri e gli riempí l’animo di fiduciosa speranza nell’avvenire. Quando arrivò, benché ancora coperto di polvere, stanco per il lungo viaggio e con un po’ di raffreddore, si mise al lavoro appena sceso da cavallo. Prese le consegne dal suo predecessore, e convocò immediatamente un’udienza per incontrare i subalterni e pronunciare il messaggio di assunzione dell’incarico. Essendo di ottimo umore, espressioni eleganti sgorgarono dalla sua bocca copiose e inarrestabili come acqua di sorgente – l’idiota che l’aveva preceduto non sapeva mettere tre frasi insieme. La sua voce, dal timbro forte e possente, aveva un potere magnetico naturale e il naso, leggermente chiuso dal raffreddore, l’aveva resa ancor piú affascinante. Fu consapevole del suo successo dagli sguardi dell’uditorio. Dopo il discorso, si accarezzò la barba tra pollice e indice con fare disinvolto, quindi annunciò la fine dell’udienza. Poi, il suo sguardo si posò su tutti i presenti, dando a ognuno l’impressione di essere l’oggetto esclusivo delle sue attenzioni. Profondo e imperscrutabile, era uno sguardo inquietante e rassicurante al tempo stesso. Alla fine si alzò, si girò e si allontanò con movimenti agili e scattanti, come un soffio di vento fresco.
Poco tempo dopo, durante il banchetto che aveva organizzato per i notabili della zona, l’aspetto solenne del magistrato e la sua splendida barba furono ancora una volta al centro dell’attenzione. Si era ripreso dal raffreddore e dal naso chiuso, il vino di miglio stagionato e la grassa carne di cane, prodotti tipici del distretto di Gaomi, gli si confacevano alla perfezione – il vino di miglio rilassa i muscoli e tonifica il sangue, la carne di cane fa bene al colorito – e il suo aspetto si era fatto florido e la barba piú elegante. Brindò alla salute di tutti con voce stentorea, confermando ai presenti la ferma intenzione di favorire il benessere dei cittadini durante il periodo della sua carica. Il discorso fu ripetutamente interrotto dagli applausi e dalle ovazioni dei commensali. Quando terminò, gli applausi durarono il tempo che ci vuole a consumare mezzo bastoncino d’incenso. Qian Ding sollevò il calice per brindare alle barbette caprine e agli zucchetti seduti attorno al tavolo. I presenti si alzarono barcollando, sollevarono i calici traballando e tentennando li vuotarono. Il magistrato illustrò in particolare una delle portate del banchetto. Era un grosso cavolo color smeraldo, di un verde cosí vivido che non sembrava essere stato toccato dal fuoco. Gli ospiti osservarono il cavolo senza osare toccarlo con le bacchette, temendo di venir derisi e di fare brutta figura. Il magistrato disse che era cotto e che era riempito da oltre dieci prelibatezze. A un delicato tocco delle sue bacchette, il cavolo, che sembrava intero, si aprí di scatto mostrando un cuore di petali multicolori, mentre un profumo squisito si diffondeva in sala. I notabili erano degli zotici, abituati a ingozzarsi di grandi quantità di pesce e di carne: non avevano mai visto un cibo cosí raffinato, e cosí fresco da sembrare dipinto. Sollecitati dal magistrato, presero una foglia con le bacchette, e dopo averla assaggiata espressero la loro approvazione con grandi cenni del capo. Il signor Xiong, il segretario delle imposte che era stato invitato insieme a loro, non mancò l’occasione di prendere la parola per descrivere la consorte del magistrato – la madrina del popolo del distretto di Gaomi, la nipote di Zeng Guofan, che aveva preparato personalmente la vivanda tramandata dalla tradizione famigliare: il cavolo di giada. Era un capolavoro frutto dello studio e delle sperimentazioni del nonno, allora viceministro dei Riti, insieme al suo cuoco. Il piatto illustrava al meglio il grande genio del famoso Zeng Guofan. Il suo talento eccelleva in campo civile e militare, e anche nell’arte culinaria. La presentazione di Xiong provocò un altro scroscio d’applausi; gli occhi dei piú anziani si colmarono di lacrime che andarono a bagnare le guance incartapecorite, e il moccio colò sulle barbette morbide.
Dopo il terzo brindisi proposto dal magistrato, toccò ai gentiluomini brindare alla salute di Qian Ding. Ogni brindisi era accompagnato da un elogio. E nonostante ognuno avesse un suo stile personale, nessuno dimenticò di fare riferimento alla barba di Sua Eccellenza. Lo paragonarono al condottiero Guan Yunchang, dissero che era il redivivo Wu Zixu, il fedele consigliere del regno di Wu. Fu definito la reincarnazione di Zhuge Liang, il ministro guerriero, o lodato come il divino sovrano Tuota, sceso fra i mortali. Nonostante fosse un uomo con i piedi per terra, non poté evitare di sentirsi frastornato dal tripudio di complimenti di quei leccapiedi. A ogni elogio era costretto a brindare, e ogni calice andava scolato fino in fondo. Senza rendersene conto perse a poco a poco il suo solito atteggiamento formale. Iniziò a parlare a ruota libera, divenne allegro e ciarliero, ebbro di successo prese a muoversi eccitato, diede libero sfogo alla sua indole spumeggiante e divenne un tutt’uno con le masse.
Quel giorno si prese una forte sbronza, insieme ai notabili che finirono buttati da tutte le parti nella sala. Fu un banchetto che fece scalpore a Gaomi, diventando oggetto di conversazione per lungo tempo. Il cavolo verde smeraldo acquisí proprietà magiche. Si disse che possedeva un meccanismo segreto e che, nonostante tutti avessero tentato, nessuno era riuscito ad aprirlo, mentre Sua Eccellenza Qian con un lieve tocco delle sue bacchette l’aveva aperto come un fiore di loto ricco di petali ornati ciascuno da una perla luminosa.
Molto presto, tutti seppero che il nuovo magistrato di Gaomi era il consorte della nipote di Zeng Guofan. Che aveva un aspetto maestoso e una barba che non aveva nulla da invidiare a quella di Guan Yunchang. Non soltanto possedeva fattezze superbe, ma aveva anche superato a pieni voti l’esame imperiale al piú alto livello. Dotato di grande talento, si esprimeva come un libro stampato. Anche dopo mille coppe non si ubriacava, e all’apice dell’euforia non perdeva il contegno elegante, anzi il vino aveva su di lui l’effetto della brezza che sfiora l’albero di giada, della pioggia che irrora i monti in primavera. La sua signora, fanciulla di famiglia altolocata, era dotata di indescrivibile bellezza e di impareggiabili virtú. Il loro arrivo avrebbe portato al popolo del distretto di Gaomi una prosperità senza limiti.
2.
Nella zona a nordest del distretto di Gaomi viveva un uomo dalla splendida barba, si chiamava Sun Bing ed era il capo di una compagnia di opera dei gatti.
Questo genere teatrale era originario della zona, e si distingueva per le soavi melodie e l’insolito stile di recitazione. Si trattava di un’arte molto suggestiva, che rispecchiava fedelmente l’essenza della gente del luogo.
Grazie alla sua opera di riforma e di diffusione dell’opera, Sun Bing aveva acquisito un notevole prestigio nella professione. Interpretava i ruoli degli uomini con la barba, e non aveva mai avuto bisogno di portarne una posticcia poiché la sua era molto folta. E proprio quella barba sarebbe diventata un problema! Il signor Liu, uno dei possidenti del villaggio, aveva imbandito un sontuoso banchetto per festeggiare la nascita del nipote. Sun Bing fu invitato a partecipare. Al suo stesso tavolo sedeva un certo Li Wu, attendente presso la sala delle udienze. Sedeva al posto d’onore, tutto compreso nel suo ruolo. Tesseva le lodi del magistrato descrivendo il suo modo di parlare e il suo portamento, gli interessi e le abitudini, e alla fine passò all’argomento di massimo interesse, la barba di Sua Eccellenza. Benché in vacanza, Li Wu era venuto in divisa: gli mancava soltanto il bastone dell’acqua e del fuoco, l’arma d’ordinanza del suo mestiere. Gesticolando e raccontando un mare di spacconate, aveva stordito i semplici paesani che sedevano al suo tavolo a bocca aperta, dimentichi del vino. Ascoltavano le sue baggianate con le orecchie dritte e lo osservavano salivare a occhi sbarrati. Sun Bing aveva viaggiato in lungo e in largo e ne aveva viste di tutti i colori: se non fosse stato per Li Wu, sarebbe stato lui il centro della conversazione. Ma oggi c’era Li Wu, l’uomo che divideva notti e giorni con il magistrato, e nessuno prestava attenzione a Sun, che torvo mandava giú un bicchiere dopo l’altro e, alzando gli occhi al cielo e sbuffando, esprimeva tutto il suo disprezzo per quella mezza cartuccia. Nessuno si curava di lui: Li Wu, tutto preso a descrivere con dovizia di particolari la barba del dignitario, non si era nemmeno accorto della sua presenza al tavolo.
– … Una barba normale, per bella che sia, non supera il migliaio di peli, ma quella di Sua Eccellenza, indovinate un po’? Ah, ah, non indovinate? Ci avrei giurato! Il mese scorso, mentre lo accompagnavo in uno dei suoi viaggi d’ispezione per saggiare l’umore popolare, mi trovai a chiacchierare con lui del piú e del meno. Mi chiese: «Xiao Li, prova a indovinare quanti peli ha la mia barba». Vostra Eccellenza, non saprei. «C’avrei scommesso! Ti dirò la verità: la mia barba ha novemilanovecentonovantanove peli! Ancora uno e sono diecimila! Li ha contati per me la mia signora». Cosí tanti, come si fa a contarli esattamente? Lui disse: «La mia signora, donna di grande precisione e di intelligenza superiore, li ha divisi in ciocche da cento, legandoli con un filo di seta. Non possono esserci errori». Uno in piú e avreste raggiunto il numero perfetto! «Si vede che non te ne intendi: nelle cose di questo mondo è preferibile tenersi lontani dalla perfezione. Prendi ad esempio la luna, una volta piena comincia a calare; quando la frutta è matura cade a terra. Una piccola mancanza assicura l’eternità. Novemilanovecentonovantanove è il numero piú fortunato del mondo, ed è il piú grande. Il popolo e i funzionari non possono usare il numero diecimila e se ci pensi bene ne capirai il senso». Ancora adesso non riesco a decifrare il significato recondito di quelle parole. Poi mi disse: «Soltanto tre persone al mondo conoscono il numero dei peli della mia barba, tu, io e la mia signora. Devi mantenere il segreto: le conseguenze di una tale rivelazione sarebbero irreparabili, potrebbero provocare una catastrofe».
Li Wu bevve un sorso di vino, cincischiò con le bacchette nel piatto e fece schioccare la lingua mostrando di disprezzare le pietanze per la loro rozzezza. Alla fine, prese un germoglio di fagiolo verde e lo mordicchiò con gli incisivi, simile a un topo sazio che oziosamente si affili i denti. Il figlio del signor Liu, quello che aveva appena avuto il maschio, arrivò di corsa portando un piatto fumante di testa di maiale, lo mise davanti a Li Wu e, asciugandosi la fronte sudata con la mano unta di grasso, si schermí: – Zio Li, sono mortificato, la nostra è una famiglia di contadini e non siamo capaci di cucinare, vi prego di adattarvi a mangiare quello che c’è.
Li Wu sputò a terra il germoglio e sbatté le bacchette sul tavolo, chiaramente scontento, ma con un tono compiacente disse: – Ti sbagli, primogenito dei Liu, pensi veramente che io sia venuto per il cibo? Se avessi voluto farmi una bella mangiata, mi sarebbe bastato sedere in un ristorante e, senza bisogno di aprire bocca, sarebbero apparsi piatti di oloturia e orecchie di mare, zoccoli di cammello e zampe di orso, teste di scimmia e nidi di rondine. Avrei potuto mangiarne uno, assaggiarne un altro, ammirarne un terzo, quello sí che sarebbe stato un banchetto! Questo invece come lo chiami? Un paio di piatti di germogli mezzi crudi, un piatto di maiale morto di peste, una brocca di vino di miglio tiepido e acido. È forse un banchetto? Roba da saltimbanchi! Oggi sono venuto innanzitutto per fare gli auguri a tuo padre e dar lustro alla vostra festa, e poi per scambiare due chiacchiere con i miei compaesani. Sono cosí occupato che mi escono le fiamme dal culo: pensi che sia stato facile trovare un attimo di tempo?
Dopo questa ramanzina di Li Wu, il primogenito dei Liu non poté che annuire e inchinarsi, e sparire approfittando di un suo colpo di tosse.
Li Wu disse: – Eppure il signor Liu è un uomo di una certa cultura: come avrà fatto a crescere un tale cafone?
I presenti, imbarazzati, non osarono ribattere. Sun Bing soffocava di rabbia; allungò la mano e tirò a sé il piatto di testa di maiale di fronte a Li Wu, quindi disse: – Il funzionario Li è abituato a nutrirsi di sofisticate prelibatezze, è ovvio che trovi disgustoso un piatto di maiale grasso come questo. Un poveraccio come me, invece, con la pancia piena di pula, ne ha proprio bisogno per oliare le budella e agevolare la cagata.
Detto questo, senza guardare in faccia nessuno, dedicò tutto il suo impegno a cacciarsi in bocca uno dietro l’altro quei tocchi di maiale belli quadrati, oleosi e grondanti di salsa. Mentre mangiava bofonchiava: – Buono, cazzo se è buono!
Li Wu lo fissava inferocito, ma Sun Bing non si degnò nemmeno di alzare la testa. Visto che la sua indignazione non provocava reazioni, Li perse ogni interesse e abbandonò il tentativo. Poi guardò a turno i presenti, increspò le labbra e scosse la testa per esprimere il suo disprezzo e la sua pena per essere costretto ad avere a che fare con un meschino di quella risma. I commensali, temendo il disastro, invitarono cerimoniosamente Li Wu a brindare; lui colse l’occasione per cambiare discorso, si scolò un bicchiere di vino poi si asciugò la bocca con la manica e riprese il monologo che aveva interrotto per fare la tirata al figlio di Liu: – Compaesani, visto che siamo in confidenza, vi ho rivelato il segreto della barba del magistrato. E, come si dice, «tra compaesani sei in buone mani»; voi però fareste meglio a dimenticare ciò che vi ho appena detto, per carità non parlatene con nessuno, se all’orecchio di Sua Eccellenza giunge voce che vi ho fatto questa...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il supplizio del legno di sandalo
  3. La testa della fenice
  4. Lo stomaco del maiale
  5. La coda della pantera
  6. Nota dell’autore
  7. Copyright