Benvenuta Rachele
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Benvenuta Rachele

  1. 24 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Benvenuta Rachele

Informazioni su questo libro

«Rachele è comparsa nel giorno che la sinistra spariva dal parlamento... come biglietto da visita non c'è male». Aprile 2008: Ottavio è appena diventato papà, ma per lui, che «la politica già la facevo de brutto, da quando manco avevo compiuto sedici anni» in «ambienti a destra dell'Msi», quei giorni rappresentano anche un momento di rinascita: è candidato per Alleanza Nazionale alle elezioni amministrative di Roma, che portano al clamoroso trionfo di Gianni Alemanno. «Una primavera scriteriata», racconta Walter Siti, che in questo breve reportage segue, ascolta, osserva Ottavio, e attende insieme a lui i risultati delle elezioni. «Un picchiatore, quasi un fiancheggiatore del terrorismo nero», si aspetta Siti, e invece incontra un uomo dagli «occhi torpidi» e il «profilo pacioso» appassionato di pesca alla mosca.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
eBook ISBN
9788858407578

1.

Ma non lo sa, questa primavera scriteriata, che non ci sono piú le stagioni? Chi crede di stupire rovesciando su Roma tanto turgore incongruo, inopportuno? Foglie grasse, squamose come rettili, a righe gialle e verdi; spighe rosse, in fiamme; e grappoli di fiori bianchi, ronzii di insetti precoci. Tutta un’adolescenza odorosa che preme sul quartiere, scivola dai parapetti di cemento a occupare la piazza – come se ancora si potessero rivolgere gli occhi in alto e mischiare le faccende umane alle strategie di lassú. Riprendiamola con una telecamera, questa primavera del cazzo, e mettiamola in riga.
Ottavio ride, ma non afferra: è troppo impegnato a salutare chi entra e chi esce, nel recinto con le bandiere di Alleanza nazionale e del Popolo della libertà – se sui manifesti azzurri la fettuccia tricolore è annodata, vuol dire che sono loro: «piú sicuri, c’è Alleanza». Il portico moderno della chiesa sembra l’atrio di un museo americano, tutto avvisi e listelli di frassino; una raccolta di sangue in parrocchia è annunciata per domenica. Temono le vacanze lunghe, da oggi 25 aprile («festeggiano l’arivo de l’Americani») fino al 1º di maggio; sulle T-shirt hanno fatto scrivere «chi parte perde». Qualcuno spera nel tempo cattivo («tocca fà ’a danza da ’a pioggia») – «vincere e vinceremo», spara un altro, e «boia chi molla», ma un dirigente corregge «quelli erano calabresi, adesso boia chi va al mare». «Al limite mettemo de traverso du’ articolati sulla via de Ostia». Ma Ottavio è tranquillo: «tanto er ponte lo fanno i signori, cioè quelli che votano a sinistra, ormai s’è ribaltato tutto».
Tranquillo e ottimista, del resto l’aveva già detto al primo turno, «se andiamo al ballottaggio li distruggiamo». Esamina con occhio clinico chi viene in piazza per mostrare di esserci, il presidente dell’unione commercianti per esempio: «il cinquanta per cento come so’? pensa ai nomi, Spizzichini, Sermoneta… so’ ebrei, è caduta la pregiudiziale». Chi oggi qui ci fa un salto, sostiene, lo fa per una ragione simbolica: «quello è un capoccia dell’Udc, a ’sto punto chi se ne frega de Caltagirone e de Casini». Dove uno sguardo inesperto vede solo una piazza nemmeno tanto piena, con gruppetti svogliati e i ragazzi in fondo ad aspettare il concerto, lui come una guida indiana rintraccia segni inequivocabili.
I ragazzi aspettano quelli di Amici, i giovani ballerini e cantanti reduci dal programma della De Filippi; nemmeno i vincitori o i finalisti, ma quelli di secondo piano eliminati in anticipo, la piú famosa pare sia una certa Cassandra. «Quanto saranno costati?» ci si chiede mentre provano i microfoni sul palco e fanno stretching in tuta bianca – l’ipotesi piú accreditata è che siano stati precettati e spediti qui da Mediaset, «er padrone gliel’ha ordinato e so’ venuti». Si esibiranno alle sette, le macchine cominciano ad accalcarsi contro le nastrature diagonali.
Ottavio approfitta delle iniziative spettacolari degli altri, lui non ha avuto finanziamenti per la campagna elettorale, chi aveva promesso non ha mantenuto; «se ce la faccio con le mie forze, – dice con orgoglio, – poi quelli devono stà a tre palmi dar culo mio… o forse quattro, perché si becchi Rocco Siffredi…» Per ora, consigliere provinciale in pectore, elemosina ospitalità ai colleghi che corrono per il Comune, «so’ un parassita dei municipali». Tra loro c’è un figlio d’arte, un trentenne esageratamente grasso che ansima infuriato perché i vigili stanno facendo le multe a chi parcheggia in terza fila; maltratta un’amica, cerca di coinvolgere nell’indignazione un motociclista che a giudicare dalla dilatazione delle pupille si è già messo in pace col mondo, per oggi: «nun rispettano er popolo romano… tanto a loro che je frega, so’ il contingente de padani assunti da Marrazzo… eh, saranno veneti, chennesò, mantovani… nun vedi er cavallo basso? noi romani semo fatti cor pennello, lo dice pure la canzone». «Beh, magari lui co’ ’a pennellessa», postilla Ottavio a parte, in un residuo d’astio. Il bambinone obeso ce l’ha fatta al primo turno nel settimo Municipio, ora sta rassicurando i multati che non dovranno pagare mai.
L’astio si scioglie in fretta nel tramonto primaverile e nel brivido di vittoria imminente, «se non li sdereniamo adesso che abbiamo preso l’onda lunga, non ce la facciamo piú». I contrasti individuali perdono importanza, predomina la solidarietà di gruppo: «er peggio dei mia sarà sempre superiore ar mejo dei loro». D’altronde Ottavio non ha bisogno di grandi cartelloni pubblicitari o di balletti, lui la campagna se l’è fatta porta a porta, chiacchierando con le persone una per una – nei negozi, al mercato, in pizzeria. Tutti lo conoscono perché a tutti ha risolto un problema; una signora lo ferma, gli chiede se domani può aiutarla a scegliere un televisore perché vuole regalarlo al nipote che si sposa ma lei non se ne intende; «tranquilla Ernestina, ce penso io». Queste sono le incombenze di un consigliere: procurare la carta d’identità alla vecchietta per evitarle le file, spiegarle i moduli complicati per l’iscrizione del nipote al nido: «sperando che campa altri quattr’anni per le prossime elezioni… se no ja ’a strappo, la carta d’identità».
Scherza, ma il lavoro gli piace davvero; gli piace impegnarsi per la gente, la politica è servizio, «bijetto porta bijetto». Non capisce quelli che non si occupano di politica, tanto prima o poi sarà la politica a occuparsi di te; dovrai presentare la domanda per una casa popolare, e se non c’è il politico che te la fa passare avanti… dovrai andare in ospedale a subire delle analisi, e se non conosci ci metti sei mesi. Il sole calando accarezza i pioppi, dal palco partono le prime basi musicali e gli evviva per gli sponsor; la natura trionfa, nella sicurezza della ripetizione. Tra le transenne e la strada scorre una canaletta d’acqua pubblica, derivata dalla fontana del giardino: borbotta come se fosse in un prato, felice di interrarsi cinquanta metri piú in là, dove la piazza finisce e ricominciano gli appartamenti.

2.

D’acqua, e di fiumi, avevamo parlato molto un mese fa, quando per la prima volta gli ho proposto di seguirlo in questa campagna elettorale. Mi aspettavo una falsa coscienza, o addirittura una doppia verità: mi sono trovato di fronte a una cautela, ovvia, ma felpata e resa innocente da una reale trasformazione dei tessuti, in un fisico massiccio e sincero – come quando in un albero domestico, o in un tavolo familiare, si fatica a riconoscere l’arbusto romantico che tremava a ogni ventata. La politica come reazione biologica di difesa, nodo che nasce dove c’è stata una puntura, corteccia che fodera una fragilità.
«Meglio che le racconto io certe cose, piuttosto che si sappiano nel modo sbagliato». Un picchiatore, quasi un fiancheggiatore del terrorismo nero, mi era stato riferito – lo collegavo male agli occhi torpidi, al profilo pacioso. «Per Alemanno, l’alpinismo è quello che è per me la pesca alla mosca». «Noi moschisti – diceva sottolineando l’aspetto no-killer – il pesce lo baciamo sul muso per la fotografia e lo ributtiamo in acqua». Come i fantini che non mangiano carne di cavallo. C’era malizia nella mia prima domanda, «non ti dispiace che vi hanno spento la fiamma?» La risposta era arrivata con la forza tranquilla di un canale d’irrigazione quando aprono una chiusa: un’intera biografia regalata in due ore.
«Me ne frego» scritto con la vernice nera all’angolo del suo palazzo (non da lui, certo); «nella vita come allo stadio o sei guardia o sei ladro, onore ai diffidati». («Onore alla tigre Arkan», anche, per via di un calciatore serbo acquistato dalla Lazio). Un’agenzia di viaggi e una boutique di prodotti per cani, Bau-house. 26 marzo: il registratore gira, lui che corregge in automatico le derive compromettenti.
«La borsa di Tolfa, l’eschimo e il montgomery erano roba da zecche, mentre il vespone senza chiappe era uno status symbol del pariolino… nel mio quartiere il rapporto era di cento zecche e un fascio… il vespone tappezzato d’adesivi, esasperato da morire… uscivi co’ un jeans 501 sformato, i camperos e ’na Lacoste sopra, eri trionfante… io lavoravo al Much More che stava in via Luciani, dovevo scendere per Val Melaina, Tufello, prendere per via dei Prati Fiscali e poi l’Olimpica, l’Acqua Acetosa… passavo davanti a tre sezioni del Pci e a tre collettivi autonomi… me preparavo bene, i capelli co’ la sfumatura alta perché essere visti al Much More significava comunque un certo tipo de apologia… quello era il tempio nostro… ma per passare davanti ai comunisti usavo un trucco: nascondevo gli adesivi col giornale, se no m’aprivano come ’na cozza, e me travestivo co’ un poncho de quel lanone peruviano marrone, con quei peli osceni, fin che non ero fuori dalla zona pericolosa… noi eravamo oltre, quando la nostra divisa è diventata n’etichetta dei paninari a noi non ce piaceva già piú, io sono sempre stato a favore della diversità… m’avevano portato dall’America un giubbetto alla zio Zeb, con le frange, un amico mio me l’aveva portato, e il cappello delle giovani marmotte, quello co’ la coda… altro che le scarpe che me comprava mi’ padre, che me facevano i piedi blé… io volevo le Adidas, le Nike, ma l’accordo in famiglia è sempre stato che il nostro dovere è de vestitte, noi te compriamo le cose di base, se vòi andare a fà il fighetto la differenza ce la metti te…»
Cita Evola: raggiunge piú l’obiettivo un verme dentro la mela, piuttosto che centomila vermi che baccagliano sotto l’albero; e Tolkien, le radici profonde non gelano. È finita l’epoca delle ragazzate, se a quarant’anni pensi ancora di cambiare il mondo, vuol dire che stai male sul serio.
«Lo facevi perché ce credevi… non lo scorderò mai un Natale che ruspando quattro soldi in giro per casa m’ero comprato ’na maglietta rossa con le maniche lunghe, e l’amico mio, che ringraziando Dio avendo la stessa misura, se la comprò nera… pe’ atteggiasse, che quando andavamo in sede potevamo fà vedé che ce n’avevamo due, che nun èramo sfigati da ’na Lacoste sola… c’era ’na ragazza che ci andavo dietro, già a la scuola nuova, ma questo merita un flashback… io sono uscito dal Convitto nazionale per due anni, quando morí mamma… al primo giorno alla scuola pubblica, metodo Montessori, nun pòi capí… io venivo da un posto dove c’era rispetto, l’insegnante era il “signor professore”, e facevamo l’alzabandiera tutte le mattine… me so’ trovato in mezzo a ’sta mandria, scusa, a ’sto gruppo de zecche coi capelli unti, l’occhialetti a piotta, “cioè, che ciài cinquanta lire?”… beh ce infiliamo in classe, entra ’n tizio co’ ’sto giornale sotto al braccio, n’altra zecca peggio de quell’altri, “allora io so’ Giovanni…”; “chi sei te?” mo ’o vedo che se mette dietro a ’a cattedra, sarvàteme so’ circondato, m’arendo… allora è diventata ’na sfida, io so’ estraneo a ’sto coro… ciavevano tutti ’n alone de patetico, “cioè io me faccio perché mamma e papà se so’ separati, a Giovà damme er sei politico che nun ho potuto studià pe’ problemi familiari”… a bbello… che manco ’o sapevano che erano i problemi familiari veramente… no, te te fai perché te piace ’a robba, che problema c’è? però nun pòi accollà alla società i vizi tua, troppo comodo… a parte che sei ’na zecca e te lavi ’na volta la settimana, ma quella volta che te lavi l’acqua calda uscirà dal rubinetto, no? beh a pagarti l’acqua calda è quel poraccio che chiami ’na merda servo dello Stato, nun te permetto de parlà male de tu’ padre… comunque fòri dalla scuola eravamo tutti figli de ’na stessa vacca, ciavevamo gli stessi miti… Bobby Sands in Irlanda per esempio… noi la kefià semo stati i primi a portalla perché era il simbolo dell’anti-ebraismo… e Che Guevara, nel viaggio in Messico con la moto era un fascista antemarcia perfetto, alla Italo Balbo, Ettore Muti… ’sta ragazza te dicevo frequentava ’na banda de femministe, però con me se divertiva, “sei fascio ma sei preciso”… con l’amici mia s’ammazzava da ride, s’annava da Bastianelli ar mare… mentre io coi suoi du’ palle… sempre dové esse intellettuali a tutti i costi, co’ ’sti giochetti psicologici tipo “trovi ’na chiave nel bosco, che fai? ti fermi a raccoglierla? se gli dài un calcio vuol dire che non sei aperto”… ma che posso passà la serata a preoccupamme de ’na chiave? forse ero sbagliato io perché ero cresciuto troppo in fretta… “com’è, d’oro o de fero?” ’Sta famosa chiave m’è sempre stata sul cazzo, so’ passati vent’anni e ancora ce l’ho qua… insomma lei ’na sera nun poteva bucà ’na riunione ar collettivo e allora m’ha dovuto presentà, dieci minuti… me sentivo ’n animale al giardino zoologico, cercavano de capí qual era la mano, qual era l’orecchio… so’ andato a aspettarla in machina, quand’è arivata rideva, “sai che m’hanno chiesto? è il tuo ragazzo? ma ti mena?”… me sa che ciavevano ’na voja…»
«Io la politica già la facevo de brutto, da quando manco avevo compiuto sedici anni, che l’avvocato me diceva “il primo schiaffo che prendi ti mozzichi il labbro… pure pe’ ’n attacchinaggio abusivo te portavano dentro, in base all’articolo 80”… c’era sempre chi, maggiorenne, magari godeva già de qualche precedente… io ciavevo la stazza che ciò adesso, nun se vedeva ch’ero uno dei piú piccoli… in saccoccia sempre la carta vidimata, azzurra perché puntualmente prendeva il colore dei jeans… sicché l’avvocato in sezione m’avvertiva, te nun tirà fuori il documento e fatte sanguinà, cosí poi quando arrivo te posso usà come moneta de scambio… “avete ferito un minorenne, mo’ er maggiorenne mo ’o fate uscí”… mi’ padre nun era uno che gliela potevi incartà facilmente, aveva sgamato che frequentavo l’ambienti a destra dell’Msi… co’ l’esempio de Mattei ciaveva paura pe’ la casa, pe’ mi’ sorella… finché è la scritta sur portone, la vespa che pija fòco… il mio giorno che ciò avuto piú spagheggio è stato pure il giorno della consacrazione, che so’ passato da esse cucciolo a esse eroe… eh, un bel manipolo da un corteo d’autonomi che s’era staccato apposta pe’ colpí… tipo trenta contro sette, pure belli brutti… ciavevano lo stalin, er manico de piccone co’ la bandierina… in un lampo poteva esse finita, per fortuna me so’ ricordato ’na scacciacani nel portabagagli della vespa, de quelle che servono da lanciarazzi perché era sotto le feste… dico mo’ ce provo, tanto semo fatti comunque, quelli venivano avanti… oh, scavallo, la punto in alto, ho dato tre botte… questi sentono i bossoli cadere, il tintinnio, in tre secondi non c’erano piú… da quel momento ciò avuto la sciolta per una settimana… a parte la scarica d’adrenalina… radio camerati aveva fatto un tam-tam, i compagni non erano piú trenta ma settanta, alla fine era scappato mezzo Pci… li sentivo pure ar Much More che se daveno de gomito, quello è er cagnaccio ch’ha sparato… pure i pezzi grossi de Vigna Clara non te salutavano piú cosí, con la mano, ma cosí, co’ tutto l’avambraccio, che vuol dire un patto tra uomini… per me è stato il ballo delle debuttanti, l’entrata in società… non ero piú il pischelletto che se doveva fà spaccà er labbro tutte le volte pe’ salvà il culo all’amici».

3.

10 aprile. Un topo si arrampica sul muro dell’agenzia turistica, due piani piú sotto, gli manca l’ultimo passaggio di sesto grado per superare la grondaia e godersi finalmente il terrazzo in cui brillano vetri e piccoli fiori arancione; ma una sporgenza metallica lo blocca, senza darsene troppa pena ci rinuncia e torna giú.
«Lui cià passione per tutto, no pe’ una cosa o due». È Cinzia, la moglie, che parla: mi hanno accolto con una schiettezza commovente, infagottati nelle felpe grigie da casa, nella loro intimità, senza complimenti; sembrano foche tranquille, o due pokémon. Anche Ottavio ammette, il calcio, la pesca, la collezione di cimeli del Ventennio… Ma ora con la nascita della bambina a molte cose si dovrà dare un taglio, soprattutto se le elezioni andranno bene e gli impegni istituzionali aumenteranno. «I maschi sono infantili, – dice Cinzia, – basta mettergli in mano un pallone». Quando lui va in giro lei lo ha sempre seguito, le piacciono i paesini; «sono una donna di poche pretese, se gli altri stanno bene sto bene pur’io». Le paure piú grosse le ha avute per il calcio, non per la politica – anche perché, conferma Ottavio, quando l’ha conosciuta era già tornato dal militare e aveva riflettuto a molte cose («dopo l’episodio da’ a rivoltella… e si quella era vera? avrei sparato lo stesso pe’ difende i fratelli? sicuramente sí… avrei tirato per aria? magari no»). Decisivo è stato l’incontro con Donato Lamorte: «era il federale di Roma, lui nun poteva sbajà… era stimato a prescindere, il Rasputin del Movimento sociale, a tutt’oggi è ancora ’n oracolo… tante fortune, pure in televisione, so’ nate da ’na sgrullata che j’ha dato lui… quando ho incontrato Cinzia stavo a riorganizzà la vita mia, volevo diventà agente de commercio… però se ciavevo il cliente all’una e stavo in centro, un salto da Donato in piazza Cavour ce scappava sempre, il pranzo era con lui… ha sempre tentato de incanalà la rabbia de quelli come me, troppi n’ha salvato… cominciava a dí “perché nun te leggi Gentile invece che Codreanu?”… m’ha spinto a entrà nella dialettica del Palazzo, il lavoro sporco qualcuno lo deve pure fà».
Cinzia si guarda i piedi ruotandoli in senso orario, «non ciò avuto manco una nausea… forse era meglio se ce l’avevo che almeno non m’ingrassavo cosí». S’era rassegnata, data l’età, a prendere gli ormoni per restare incinta, ma continuava a rimandare; «me credevo ch’era n’influenza intestinale, all’irregolarità c’ero abituata, ero stata pure tre mesi senza il ciclo… m’avevano prescritto i fermenti lattici quando ha bussato spontaneamente, ha fregato pure gli ormoni… si nun era mi’ madre a insistere per il test… l’abbiamo saputo il giorno dell’anniversario, ha deciso lei che voleva arrivà». Se l’immagina scuretta («scuretta quanto, oh?»), con gli occhi neri, che farà la ballerina. Il primo incontro è stato che lei aveva appena diciassette anni ma già flirtava con un altro ragazzo («capirai, ’na zoccola de gnente…»), all’inizio Ottavio lo trovava antipatico ma le piaceva quando lui era al centro dell’attenzione. Si sono sposati l’anno che è entrato come consigliere al quarto Municipio, poi lui ha commesso una leggerezza di cui non vogliono parlare ed è rimasto fuori casa per due anni. «S’è perso un attimino».
«Io nun so’ uno che piagne, tanto è inutile… me tengo tutto dentro… forse una volta, co’ lei (“una volta? bugiardo… piagneva sempre in quei du’ anni… veniva, piagneva e poi se n’annava”)… sai, quando vivi quel ch’ho vissuto io te indurisci per forza… il sabato uscivo dal Collegio e andavo a trovà mamma al Regina Elena… al di là dei nomi aberranti sul reparto, magari fai amicizia col bambino che sta du’ letti dopo, ce torni al sabato successivo e vedi er materasso piegato, beh… qualsiasi giorno poteva esse bòno, ciaveva un numero sconsiderato de metastasi in testa… ’na donnona a trentotto anni, con una forza d’animo mostruosa, faceva lei coraggio all’altri… e ’na bisnonna dentro casa che prega, Gesú ma perché ta ’a devi pijà lei, pijame a me che nun servo piú a nessuno… beh ce l’ho avuta sí la ribellione perché allora nun pò esiste un Cristo… io ero un bel cagacazzi da regazzino: mentre mi’ sorella sa ’a litigavano da tutte le parti per chi la teneva, quando se trattava de me c’era un fuggi fuggi generale…»
«So’ passati trent’anni, a Ottà, ancora stai a fà ’e gelosie pe’ tu’ sorella?», ma lui è sparito nell’altra stanza; torna con due tascapani gonfi, «Sembra la borsa d’Eta Beta». Mi mostra il distintivo dei Battaglioni M, quello da giacca, e comincia a spalancare gli scrigni.
A prima vista sembrano gioielli davvero: insetti perfettamente imitati con piume arcobaleno, setole fosforescenti, perline rubino e spilli dorati. A tutti gli stadi di sviluppo, le ninfe, le pupe, con la sacca alare aperta e chiusa. Ciascuno specifico di ogni tratto di fiume, al sole e all’ombra, le segie i portasassi le mosche da caccia. «Pure l’insetti che capitano sur fiume pe’ sbajo ’na volta ogni cinquant’anni, noi ce l’abbiamo… c’è gente che fa il contadino o il muratore, pija ’n entomologo e je fa un culo cosí… è ’na guerra vera, ’na competizione alla pari, la piega dell’ardiglione noi la limiamo prima de comincià… anzi, sei te lo sfavorito, perché er pesce vecchio, er zammàmmero che esce la sera, sai quanti n’ha visti de cojoni… er big-fish se fa er bilancio dell’energie… si sta a notà a tre metri dal fondo e sluma in superficie ’na larvetta nun salirà mai, nun spreca cento calorie pe’ magnanne trentacinque… allora je devi dà er bisteccone, il calabrone il bombo la cavalletta, li fai pattinare bene sull’acqua cosí er trotone va in frenesia alimentare e sbrocca… è ’na malattia, quando vedi la bollata te scatta l’empito strategico… capitò il giorno dei funerali di mamma, che ’n amico nostro me disse “vié a pesca co’ me”, pe’ nun farmi stà a casa, a pensà… e andai a ’sto laghetto artificiale, feci ’na trota fario de quasi quattro chili… “aiutame, dài”, “no, te l’hai allamata e te la tiri fòri”… nun me scorderò mai le parole del tizio, quando portai a riva er mostro… me fece “mo’ so’ cazzi tua, si te drogavi come tutti quelli normali, magari a San Patrignano c’era er rischio che te salvavi… questa invece t’ha rovinato la vita, er metadone per la pesca nun ce sta”… andà contro corente co’ i stivaloni a mezza coscia è come andà a cavallo, la sera te senti ’no straccio però sei strafelice… le donne le mandi a fà shopping co’ ’a targhetta magica, mica le pòi sopprimere pe’ tre giorni… je dài ’na Visa magari bloccata a ’na miriade decente sinnò cara te costa ’a pescata… e poi sur Sesia, sur Nera… si becchi per esempio du’ falconi che girano intorno, te siedi sul sasso e te fermi a guardà… l’attrezzatura diventa un pretesto per la tua infinità,...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Benvenuta Rachele
  3. Capitolo 1
  4. Il libro
  5. L’autore
  6. Dello stesso autore
  7. Copyright