Una donna che fischia
  1. 416 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Alla fine degli anni Sessanta, Londra e l'Inghilterra vivono un periodo di grandissimo fermento. Frederica Potter è diventata conduttrice di un programma televisivo che si chiama Attraverso lo specchio. Nell'università dello Yorkshire nasce un gruppo che si proclama Antiuniversità. E nella vicina brughiera, la guida di una comunità viene assunta da un leader spirituale carismatico e visionario. Visioni di sangue e di fiamme, di specchi e di doppi, trovano un parallelo nel montaggio a mosaico delle trasmissioni di Frederica. Il linguaggio della religione, del mito e della fiaba si mescolano a quelli della scienza e del computer.
Una donna che fischia è l'ultima parte del ciclo iniziato con La vergine nel giardino, e proseguito con Natura morta e La Torre di Babele.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2014
Print ISBN
9788806183110
eBook ISBN
9788858408742
Argomento
Literature

Capitolo sedicesimo

La famiglia preparò l’albero di Natale. Era un folto abete rosso, con qualche pigna, che odorava ancora di resina umida e vita della linfa. Lo addobbarono, come ormai facevano ogni anno, con gli esagoni e i poliedri di filo dorato che Marcus aveva preparato per Stephanie. La cerchia famigliare si era allargata: c’erano Bill e Winifred con i figli di Stephanie, Will e Mary, Frederica e Leo, e Daniel, che era appena arrivato. C’erano anche Agatha e Saskia, che avrebbero trascorso le vacanze a Freyasgarth. Dopo la conversazione con Vincent Hodgkiss, Marcus aveva fatto qualche aggiunta alle decorazioni tradizionali, fabbricando spirali d’oro e d’argento e astratti coni sovrapposti, angeli di Fibonacci. Avvolse l’albero in una grande spirale sinuosa, misurandone gli intervalli. Sull’ordinata disposizione di Marcus, Will distribuí a caso le lucine rosse, blu, verdi e bianche. Cantava a voce spiegata Lucy in the Sky with Diamonds. Frederica disse ad Agatha che non avrebbe mai creduto che suo padre potesse vivere in una casa invasa dalla musica pop da mattino a sera. Agatha disse di aver sentito Bill in persona canticchiare Eleanor Rigby. – È una bella poesia, – disse Agatha. – Sí, ma nessuno si aspetterebbe che se ne accorga, – disse Frederica.
Will aveva quattordici anni e cantava per non essere costretto a parlare. Era robusto come suo padre, e bruno come suo padre. Mary, che aveva dodici anni, avrebbe cantato come solista durante i canti di mezzanotte. Era il primo giorno delle sue prime mestruazioni, che Mary aveva imparato a chiamare «la maledizione» dalle compagne di scuola. Si appartava spesso per osservare con una sorta di sgomento le macchie rosse sul rettangolo bianco dell’assorbente. Si era comprata gli assorbenti e non aveva detto niente a Winifred, che, per quanto affettuosa, era solo una nonna, ormai fuori da quell’esperienza femminile, avvizzita. Non aveva detto niente neanche alle compagne di scuola, benché tra loro se ne discutesse spesso in astratto. Era qualcosa di privato, insolito e gratificante. Alla ricerca di una confidente, Mary pensò a Frederica, e la escluse. Non era una persona comprensiva, non l’avrebbe ascoltata. Pensò ad Agatha Mond, che era placida e gentile, oltre che discreta e riservata. Dentro di sé, associava confusamente le umide tracce rosse alla storia di Biancaneve, la cui madre aveva visto tre gocce di sangue nella neve, aveva partorito una figlia rossa come il sangue, nera come l’ebano, bianca come la neve, ed era morta. Anche sua madre si era imprudentemente lasciata uccidere da una macchina per il ghiaccio, e Mary la puniva non pensando mai a lei. Avrebbe cantato Nel desolato cuore dell’inverno di Christina Rossetti. Parlava di cose bianche, neve sulla neve, un seno pieno di latte, un agnello. Anche a lei stavano spuntando i seni, e non era invulnerabile. Avrebbe parlato con Agatha. Ebbero un’impegnativa discussione su cosa fare, a cosa prestare attenzione.
Piú tardi, Agatha riferí a Frederica le confidenze di Mary. – È una di quelle fortunate, – disse Agatha. – È incantevole, non ha brufoli, non ha crampi e pensa che dovrebbe averli, tutto è avvenuto senza patemi d’animo.
– Sei sicura? Non mi sembra ancora il momento.
– Certo che sono sicura. È una piccola donna con molto senso pratico.
– Sono un mostro, Agatha. Se fossi un vero essere umano… è con me che ne avrebbe parlato. Non con te. Se non con mia madre, con me.
A Natale i morti sono una presenza tangibile. Dolce e terribile. Stephanie guizzava nel corpo di Frederica.
Agatha, non del tutto sincera, disse che la maledizione era un rito di passaggio, parlarne a un’estranea era la scelta giusta. Sapeva anche che Frederica non era la persona adatta alle confidenze.
Frederica cominciò a dire che quella riunione famigliare era in realtà una riunione di estranei, o quasi estranei, unità incomplete come le due parti di un quadrato, o di un cubo metallico di Richard Gregory, illusorie costruzioni sospese che rivelavano proprietà completamente diverse. Ma non lo disse, perché con Agatha una simile osservazione avrebbe sollevato l’argomento sempre taciuto del padre di Saskia, assente, anonimo, ignoto. Saskia, piú di qualsiasi altro bambino di sua conoscenza, sembrava a Frederica un prodotto di partenogenesi.
Per tutta l’infanzia di Frederica, Bill Potter aveva inveito contro l’Immacolata Concezione. Cosa dobbiamo pensare, gridava, di una banda di monaci schizzinosi che non sopportano il pensiero di normali corpi umani e si inventano questa storia farraginosa di una ragazza intatta e inviolata – con un corpo puro, adorabile e inodore e un benevolo futuro marito cornuto – che produce l’Incarnazione, per cosí dire, senza sparare un colpo? Il Verbo si è fatto Carne, ruggiva, ma solo graziosa carne femminea, non carne vera, passionale, amorevole. Avevano un’immaginazione perversa, quei monaci. Frederica avrebbe preferito che tacesse, pur condividendo le sue argomentazioni. Sentendolo alzare la voce, mentre scendeva per cena prima di andare in chiesa, Frederica pensò che si stesse abbandonando alla sua annuale protesta. Invece no. Aveva riunito i bambini – Leo e Saskia, William e Mary – per verificare la loro conoscenza del racconto biblico, e li aveva trovati carenti. Sapevano del bue e dell’asinello, ma ignoravano la strage degli innocenti. Sapevano degli angeli che cantano ai pastori, ma non di Lucifero e della sua caduta. Bill salmodiò le profezie di Isaia:
Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà.
La vacca e l’orso pascoleranno insieme; si sdraieranno insieme i loro piccoli. Il leone si ciberà di paglia, come il bue.
Il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide; il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi.
Non agiranno piú iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la saggezza del Signore riempirà il paese, come le acque ricoprono il mare.
I bambini lo fissavano interdetti. Bill disse: – Nessuno conosce piú la Bibbia.
– Non avrei mai pensato che la cosa ti preoccupasse, – disse Daniel.
– Come possono leggere Milton, Lawrence, Dickens e Eliot, senza conoscere la Bibbia?
– Non fu scritta con questo scopo. Se non è necessaria, dovrà essere completamente ripensata. Le Scritture non sono una questione letteraria. Se il canonico Holly ha ragione, e Dio è morto e dobbiamo smantellarne la mitologia, bisogna fare piazza pulita anche di tutta questa roba.
Sembrava polemico e allo stesso tempo divertito, pensò Bill. Disse:
– Mica si può buttare via tutto quanto, in un colpo…
– Perché no? La rivoluzione serve proprio a questo.
– Quale rivoluzione?
– Quella che vogliono gli studenti. Il Mondo Nuovo. Dicono che non riusciamo a immaginarcelo perché siamo invischiati nel morto passato. Tu e io allo stesso modo, – disse Daniel, sorridendo minacciosamente al suocero. I capelli di Bill, un tempo rossi, erano cenere argentea, e il suo carattere si era addolcito. Ricambiò con un sorriso afflitto.
Quando fu il momento di uscire nel buio per i canti di mezzanotte, Bill si infilò il giaccone imbottito.
Fu Frederica che disse, sbalordita: – Tu non… non sei mai venuto. Mai.
– Vuoi forse proibirmi di venire?
– Commentavo. Non puoi pretendere che non facciamo commenti.
– Ho pensato che sarei andato a sentire mia nipote che canta una poesia di Christina Rossetti. Visto che il vecchio ordine sta per scomparire, secondo Daniel.
– Non era una profezia. Anche il mio era un commento.
– Hai intenzione di spiegarci che cosa sta per succedere?
– No, – disse Daniel. Per la serata si era messo il solino bianco, un gesto simbolico, non sapeva di cosa. – Me ne guardo bene. Sono soltanto un uomo. Un prete.
– Ma devi ammettere che sei contento se mi unisco al tuo gregge, – disse Bill.
– No. Non ne sono sicuro. Tu sei la sovversione incarnata. Però sono contento di ascoltare il canto di Mary insieme a te.
La famiglia Potter entrò in fila indiana nella chiesa di St Cuthbert. Frederica tenne Leo per mano mentre percorrevano la navata, sebbene fosse ormai troppo grande. Erano un’altra famiglia incompleta, come Agatha e Saskia. Leo aveva ricevuto dal padre un enorme pacco regalo che aveva collocato, senza aprirlo, sotto l’albero. Will non camminava accanto al padre, bensí con Winifred. Bill e Daniel procedevano insieme. Mary era in sacrestia con il coro. La chiesa era addobbata con agrifoglio, edera, rami di abete e di pino, ciondoli dorati e stelle d’argento. C’era il buon vecchio odore di foglie, fumo di candela e pietra appena riscaldata.
La congregazione era numerosa. Infoltita quell’anno dal contingente di Dun Vale Hall, la componente anglicana degli Uditori. C’erano Gideon e Clemency, il canonico Holly avvolto in un lungo e ruvido cappotto nero, e Ruth, alla testa di un gruppo di bambini, i tre figli di Lucy Nighby – tutti con un berretto di lana, la piú piccola con una benda rosa sull’occhio – e tre o quattro altri. I quattro figli di Gideon e Clemency, che ormai avevano piú di vent’anni, non c’erano, anche se solo Daniel li conosceva abbastanza da notarne l’assenza. Anche Gideon e il canonico Holly si erano messi il solino. Gideon portava il giaccone ricamato che Zag gli aveva donato al solstizio, sole e fiori d’oro su cuoio e lana. Clemency indossava un maxicappotto di velluto nero lungo fino ai piedi; vista di spalle, pensò Frederica, somigliava alla regina cattiva. Aveva un cappellino di velluto nero con una lunga nappa di seta scarlatta. La congregazione lanciava loro occhiate furtive. Erano incuriositi dalle vicende di Dun Vale Hall.
Jacqueline Winwar arrivò in ritardo. L’anno precedente era nel gruppo dei Potter. Quest’anno era sola, e sembrava malata. Chinò la testa, senza cappello, in preghiera, poi alzò gli occhi e vide Ruth, che rivolse alla sua vecchia amica un sorriso spontaneo e luminoso che trasfigurò il suo serio faccino piuttosto cereo.
Entrò il coro. L’organo cominciò a suonare. Saskia commentò ad alta voce che i coristi sembravano angeli, e lo sembravano davvero, nelle vesti inamidate, plissettate e fluttuanti. Ognuno reggeva una candela, che collocò di fronte a sé in un cilindro di vetro. Erano persone di tutte le età, madri e zie, ecclesiastici in pensione, ragazzi brufolosi, bambini e non piú del tutto bambini, come Mary. Avevano – lei aveva – un nastro rosso intorno al collarino arricciato. Frederica pensò alla ghigliottina, e Daniel agli agnelli sacrificali, e fu sopraffatto dal dolore per sua figlia, il serio viso rotondo, i capelli rosso oro, i movimenti tranquilli, sciolti, precisi, finché capí che il dolore era per Stephanie, la cui forma abitava come un fantasma quella di sua figlia. Le stesse palpebre, la stessa guancia dorata alla luce della fiamma. Si scosse. Mary era Mary ed era viva. Lui era Daniel, ed era perlopiú vivo. La vide inumidirsi le labbra, preparandosi al canto.
Cantarono L’agrifoglio e l’edera.
L’agrifoglio ci dà un fiore
Bianco come il giglio
E Maria ci diede Gesú Cristo
Perché fosse il nostro salvatore.
L’agrifoglio ci dà una bacca
Rossa come il sangue
E Maria ci diede Gesú Cristo
Per il bene dei poveri peccatori.
Mary cantava la melodia. La sua giovane voce si levò verso l’alto, salí e ridiscese, refolo d’aria in una stanza di pietra. Le fiamme delle candele vacillavano e guizzavano. L’ombra di Mary si muoveva come un fantasma sulla pietra: lei stava immobile, la fiamma no. Cantarono Noi tre re. Daniel canticchiò la strofa sulla mirra.
Piangendo, sospirando,
Sanguinando, morendo,
Sigillato nella fredda tomba di pietra:
O… Oh…
Stella di splendore, stella della notte…
Il pastore, che aveva l’aspetto di un contadino, chiese a Miss Godden, la direttrice della scuola di Freyasgarth, di leggere dalla lettera di san Paolo agli Ebrei, 1, 1. Lei lesse bene, rispettando i ritmi vigorosi e prosaici della versione di Cranmer, lesse del mistero, dell’infinito e dell’Uomo divino che ne condivide l’eternità. A differenza degli angeli, insiste san Paolo.
Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi tempi ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo. Questo Figlio, che è l’irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati si è assiso alla destra della Maestà nell’alto dei cieli, ed è diventato tanto superiore agli angeli quanto piú eccellente del loro è il nome che ha ereditato. Infatti a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio Figlio; oggi ti ho generato»? […]...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Una donna che fischia
  3. Capitolo primo
  4. Capitolo secondo
  5. Capitolo terzo
  6. Capitolo quarto
  7. Capitolo quinto
  8. Capitolo sesto
  9. Capitolo settimo
  10. Capitolo ottavo
  11. Capitolo nono
  12. Capitolo decimo
  13. Capitolo undicesimo
  14. Capitolo dodicesimo
  15. Capitolo tredicesimo
  16. Capitolo quattordicesimo
  17. Capitolo quindicesimo
  18. Capitolo sedicesimo
  19. Capitolo diciassettesimo
  20. Capitolo diciottesimo
  21. Capitolo diciannovesimo
  22. Capitolo ventesimo
  23. Capitolo ventunesimo
  24. Capitolo ventiduesimo
  25. Capitolo ventitreesimo
  26. Capitolo ventiquattresimo
  27. Capitolo venticinquesimo
  28. Capitolo ventiseiesimo
  29. Capitolo ventisettesimo
  30. Ringraziamenti
  31. Nota dei traduttori
  32. Il libro
  33. L’autore
  34. Dello stesso autore
  35. Copyright