Neve
  1. 480 pagine
  2. Italian
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eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Investita da una tormenta di neve, la città è un miscuglio di etnie e fazioni politiche. Ci sono turchi, curdi, georgiani, nazionalisti laici e integralisti religiosi. C'è la polizia segreta, c'è l'esercito e ci sono i terroristi islamici. Ka inizia la sua indagine, mentre la neve continua a cadere e le strade vengono chiuse. Kars è isolata. In città, Ka rivede dopo diversi anni Ipek, una compagna di università molto bella. Ka se ne innamora e sogna di portarla con sé in Germania. Per realizzare questo sogno, farà di tutto. La situazione precipita quando una compagnia di teatro mette in scena un dramma degli anni Venti, scritto in sostegno della laicità dello Stato fondato da Atatürk, dove una donna, coraggiosamente, brucia il chador in pubblico. Durante lo spettacolo alcuni giovani del liceo religioso inscenano una protesta. E la serata finisce nel sangue. Ka viene coinvolto suo malgrado. È uno spettatore imparziale, ma molto confuso. Non sa nemmeno rispondere alla domanda: credi in Dio? Sostiene che a Kars ha ritrovato Allah, ma poi l'unica cosa che gli interessa è la ricerca, molto occidentale, della felicità. Il dilemma di Ka ruota intorno al confronto tra Occidente e Islam.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2012
Print ISBN
9788806186180
eBook ISBN
9788858407103

44. A Kars, quattro anni dopo

Oggi qui nessuno ama Ka

Dopo che il sipario venne chiuso, Z. Demirkol e i suoi amici arrestarono Kadife e, «per la sua sicurezza», la fecero uscire di nascosto dalla porta posteriore che dava su viale Küçük Kazımbey. La caricarono su un veicolo militare e la portarono al vecchio rifugio nella guarnigione centrale dove l’ultimo giorno era stato ospitato anche Blu. Dopo un paio d’ore, quando tutte le strade che portavano a Kars furono riaperte, i militari che si erano mossi per reprimere questo piccolo «colpo di stato» in città entrarono a Kars senza incontrare nessuna resistenza. Il viceprefetto, il comandante della divisione e gli altri ufficiali vennero messi in aspettativa per l’inefficienza dimostrata durante gli eventi, e un pugno di militari e funzionari dei servizi segreti che avevano collaborato con i «golpisti», nonostante le loro opposizioni e la loro convinzione di averlo fatto per «lo Stato e il popolo», vennero arrestati. Il signor Turgut e Ipek poterono far visita a Kadife soltanto dopo tre giorni. Il signor Turgut aveva capito che Sunay era veramente morto sul palco, e si era disperato, ma comunque, fiducioso che a Kadife non sarebbe accaduto nulla, si era mosso per andare a prendere la figlia già quella sera e portarla a casa. Non riuscendoci, dopo mezzanotte era rientrato sottobraccio a Ipek per le strade deserte. E mentre lui piangeva, lei aveva aperto la sua valigia e aveva rimesso i vestiti negli armadi.
La maggior parte degli abitanti di Kars che avevano seguito tutto quello che era accaduto sul palco, capirono che Sunay era veramente morto dopo una breve agonia soltanto leggendo il giorno successivo la notizia sulla «Gazzetta della città di confine». La folla che aveva gremito il Teatro nazionale, una volta chiuso il sipario, si era allontanata piena di dubbi ma silenziosa, e la televisione non aveva fatto piú nessun cenno a quanto era accaduto negli ultimi tre giorni. Gli abitanti di Kars, che erano abituati dai tempi della legge marziale alla caccia ai «terroristi» da parte dello Stato o delle squadre speciali, alle irruzioni e agli avvisi, quasi subito smisero di pensare a quei tre giorni come a un momento particolare. Comunque, il giorno dopo lo Stato maggiore aveva aperto un’inchiesta amministrativa, e il gruppo di indagine del primo ministro era entrato in azione, cosí tutta Kars aveva iniziato a discutere del «colpo di stato a teatro» non dal punto di vista politico ma da quello letterario e artistico. Dato che Sunay Zaim aveva messo nella sua pistola un caricatore vuoto davanti agli occhi di tutti, come aveva fatto Kadife a sparargli con quella stessa pistola e ucciderlo?
Il dettagliato rapporto dell’ispettore inviato da Ankara a Kars per l’inchiesta sul «colpo di stato a teatro», una volta tornata la normalità in città, come in molti altri punti del mio libro, mi ha aiutato anche su questo aspetto, che non sembrava frutto di sveltezza di mano quanto piuttosto di illusionismo. Dato che dopo quella sera Kadife non aveva voluto discutere gli eventi né con la sorella né con il padre che andavano a visitarla, né con i magistrati, né – per difendersi in tribunale – con il suo avvocato, l’ispettore, per poter scoprire la verità, aveva parlato con molte persone (in realtà, aveva interrogato molte persone), come feci io quattro anni dopo, e cosí aveva passato in rassegna tutte le possibilità e le voci.
L’ispettore aveva dimostrato che non vi era nulla di fondato nelle dicerie secondo le quali la giovane donna aveva sparato con un’altra pistola tirata fuori dalla tasca senza che nessuno la vedesse, oppure aveva messo un caricatore pieno nell’arma. Aveva smontato le voci sul fatto che Kadife avesse deliberatamente ucciso Sunay Zaim contro la di lei volontà e aveva dimostrato che non c’era nulla di vero in quelle dicerie, nonostante Sunay avesse assunto un’aria stupita nel momento in cui era stato colpito. Le perquisizioni fatte successivamente dalle forze di sicurezza, gli oggetti trovati addosso a Kadife e la registrazione della serata confermavano che erano stati usati una sola pistola e un solo caricatore. E le voci sul fatto che fosse stata un’altra persona a sparare a Sunay Zaim nello stesso momento, da un altro angolo, voce che aveva avuto un certo successo tra gli abitanti di Kars, era stata confutata dal rapporto balistico spedito da Ankara e dall’autopsia, i quali dicevano che le pallottole sul corpo dell’attore erano uscite dalla pistola che Kadife aveva in mano sul palco. L’ispettore aveva considerato le ultime parole di Kadife («Forse l’ho ucciso!»), che l’avevano resa leggendaria in qualità di eroina e vittima agli occhi della maggior parte degli abitanti di Kars, come una prova del fatto che l’omicidio non fosse premeditato. A questo punto, con un atteggiamento che indicava il percorso da seguire al pubblico ministero che avrebbe intentato la causa, aveva studiato dettagliatamente i due concetti giuridici e filosofici di omicidio premeditato e intenzionalità, e aveva spiegato che le parole dello spettacolo che avevano fatto imparare a memoria a Kadife oppure le avevano fatto pronunciare ricorrendo a diverse manovre, in realtà non erano di Kadife, ma di Sunay Zaim, l’attore morto, che aveva preparato l’intero evento. Sunay Zaim aveva messo il caricatore nella pistola dopo aver detto due volte che era vuoto, e cosí aveva ingannato Kadife e tutti gli abitanti di Kars. Cioè, secondo la deposizione dell’ispettore che andò in pensione anticipatamente tre anni dopo, e che andai a trovare nella sua casa ad Ankara dove sugli scaffali vidi i libri di Agatha Christie – mi disse che gli piacevano molto, particolarmente i loro titoli –, «il caricatore era pieno!» E far vedere il caricatore pieno come se fosse stato vuoto non poteva essere considerato un esempio di illusionismo effettuato con la massima delicatezza da un attore di teatro: la violenza spietata (il numero dei morti, compreso Sunay, ammontava a ventinove) applicata da tre giorni da Sunay e dai suoi amici, con la scusa dell’occidentalismo e del kemalismo, aveva a tal punto spaventato gli abitanti di Kars che tutti erano pronti a credere pieno un bicchiere vuoto. Perciò, non solo Kadife ma anche gli abitanti di Kars che seguirono in diretta la morte di Sunay, con una sorta di divertimento perché in fondo si trattava di uno spettacolo, nonostante lui l’avesse annunciata, facevano parte dell’evento. Nel suo rapporto, l’ispettore aveva replicato non solo alle voci che sostenevano che Kadife avesse ucciso Sunay per vendicare Blu, sottolineando il fatto che non si può colpevolizzare con un altro tipo di accusa una persona a cui si dà una pistola carica facendo finta che non lo sia, ma anche alle affermazioni degli integralisti che la lodavano per aver ucciso Sunay e non essersi suicidata, e dei laici repubblicani che la ritenevano responsabile, precisando che non si può confondere l’arte con la realtà. L’opinione secondo la quale, dopo aver ingannato Sunay Zaim con la scusa del suicidio e averlo ucciso, Kadife avesse rinunciato al suicidio, era stata confutata dimostrando che sia Sunay sia Kadife sapevano che il tavolino sul palco era di cartone.
Anche i pubblici ministeri e i giudici militari valutarono con molta attenzione il dettagliato rapporto del diligente ufficiale inviato dallo Stato maggiore. Cosí Kadife ebbe una pena di tre anni e un mese per aver ucciso, non per motivi politici ma per una forma di imprevidenza e disattenzione, e restò in carcere per venti mesi, poi uscí. Invece il colonnello Osman Nuri Çolak ebbe diverse gravi punizioni, previste dagli articoli 313 e 463 del codice penale turco, per aver formato bande assassine e per il reato di omicidio compiuto da ignoti: comunque fu messo in libertà grazie all’amnistia di sei mesi dopo. Pur essendo stato invitato a non raccontare gli eventi, negli anni successivi, nelle sere in cui incontrava i suoi vecchi amici militari nei circoli ufficiali e iniziava a bere, diceva che «almeno» lui aveva avuto il coraggio di fare ciò che ogni militare kemalista avrebbe voluto fare, e senza esagerare rimproverava i suoi amici che avevano paura degli integralisti, per la loro negligenza e viltà.
Gli altri ufficiali, i soldati semplici e alcuni funzionari – nonostante ribadissero con forza che avevano solo eseguito degli ordini e non avevano tradito la patria – furono condannati dal tribunale militare per diversi reati che andavano dalla costituzione di banda armata all’omicidio e all’uso non autorizzato di proprietà demaniali, ma grazie alla già citata amnistia vennero rimessi in libertà. La pubblicazione a puntate sul giornale «Ahit» dei ricordi («Anch’io ero un giacobino») di uno di loro, un giovane sottotenente con la testa fra le nuvole che era poi diventato integralista, venne fermata per vilipendio all’esercito. Era comunque emerso che il portiere Vural, subito dopo il colpo di stato, aveva cominciato a lavorare per i servizi segreti locali. Il tribunale accertò che gli altri attori teatrali erano «semplici comparse». Funda Eser fu tenuta sotto osservazione per quattro mesi dal reparto di psichiatria dell’ospedale militare di Ankara per aver avuto una crisi di nervi, in seguito alla quale, in preda all’ira, aveva aggredito tutti la sera in cui il marito era stato ucciso, e poi per essersi lamentata di tutti e aver denunciato tutti a tutti. Molti anni dopo essere stata dimessa dall’ospedale, quando la sua voce era conosciuta nell’intero paese come quella della strega che doppiava per una famosa serie dedicata ai piú piccoli, mi disse che era ancora triste per suo marito, e per il fatto che non aveva potuto interpretare Atatürk a causa delle gelosie e calunnie: ormai la sua unica consolazione era che negli ultimi anni, in un gran numero di statue di Atatürk, come modello avevano preso molte espressioni e molte pose di suo marito. Siccome nel rapporto dell’ispettore era ampiamente analizzata la parte che aveva avuto Ka negli eventi, il giudice militare – giustamente – lo aveva chiamato in causa come testimone, e dopo le prime due udienze in cui non si era presentato aveva disposto il suo arresto per poter interrogarlo.
Il signor Turgut e Ipek andavano tutti i sabati a visitare Kadife che scontava la sua pena a Kars. Nei giorni primaverili ed estivi in cui il tempo era bello, con il permesso del tollerante direttore del carcere, stendevano una coperta bianca sotto il grande gelso del vasto cortile della prigione e mangiavano i peperoni ripieni fatti da Zahide, quindi offrivano un po’ di carne anche agli altri condannati, e mentre battevano le uova una contro l’altra per romperne il guscio ascoltavano i preludi di Chopin con il mangianastri portatile Philips che il signor Turgut aveva fatto riparare. Questi, per non vivere la condanna di sua figlia come una vergogna, vedeva il carcere come un convitto cui doveva andare ogni cittadino dignitoso, e talvolta ci portava anche qualche conoscente, come il signor Serdar. Kadife iniziò ad avvicinarsi a Fazıl, che era venuto una volta a farle visita insieme ai famigliari, e due mesi dopo il suo ritorno in libertà sposò questo ragazzo di quattro anni piú giovane di lei.
I primi sei mesi vissero in una stanza dell’hotel Palazzo delle nevi, dove Fazıl lavorava alla reception. Al momento del mio arrivo a Kars, si erano trasferiti con il loro bimbo in un altro alloggio. Ogni mattina Kadife andava all’hotel Karpalas con il suo piccolo Ömercan di sei mesi, e mentre Ipek e Zahide gli davano da mangiare e il signor Turgut lo faceva giocare, lei s’interessava un po’ dell’albergo; invece Fazıl, per essere indipendente dal suocero, lavorava allo studio fotografico Aydın e alla Televisione della città di confine: come mi disse sorridendo, era assistente ai programmi ma in realtà faceva il fattorino.
Il giorno dopo il mio arrivo in città, reduce dalla cena che il sindaco offrí in mio onore, a mezzogiorno mi incontrai con Fazıl nel loro nuovo appartamento in viale Hulusi Aytekin. Quando mi chiese con le migliori intenzioni perché fossi venuto a Kars mentre guardavo la fortezza e i grandi fiocchi di neve che scendevano sul fiumiciattolo di Kars, credendo che volesse parlarmi di Ipek che mi aveva fatto girare la testa la sera prima alla cena del sindaco, mi agitai e gli raccontai forse esagerando delle poesie che aveva composto Ka a Kars, e del mio desiderio di scriverci un libro.
– Se le poesie non ci sono, come fa a scriverci un libro? – chiese amichevolmente.
– Non lo so nemmeno io, – dissi. – All’archivio della televisione ci dev’essere una poesia.
– La troveremo stasera. Ma lei ha girato tutta la mattina Kars, strada per strada. Forse intende scrivere un romanzo su di noi.
– Sono andato nei posti che Ka nomina nelle sue poesie, – dissi preoccupato.
– Ma capisco dalla sua faccia che vuole raccontare quanto siamo poveri, quanto siamo diversi dalle persone che leggono i suoi romanzi. E non vorrei che lei mi mettesse in un romanzo del genere.
– Perché?
– Perché non mi conosce! Anche se lei mi conoscesse e riuscisse a raccontarmi cosí come sono, i suoi lettori occidentali potrebbero solo compatire la mia miseria, e non sarebbero in grado di vedere la mia vita. Per esempio loro sorriderebbero di fronte al fatto che io scriva romanzi islamici di fantascienza. Non vorrei essere descritto come uno per cui riderebbero e proverebbero pena, se non disprezzo.
– Va bene.
– Lo so, le dispiace, – disse Fazıl. – Per favore, non si offenda per le mie parole, lei è una brava persona. Ma anche il suo amico era una brava persona, e forse ci ha voluto bene, ma poi ci ha fatto il male piú grande.
Non trovai onesto che lui parlasse della denuncia di Blu ad opera di Ka come di un male fatto anche a lui, perché era riuscito a sposarsi con Kadife soltanto grazie all’uccisione di Blu, ma rimasi zitto.
– Come fa a essere sicuro che sia vero? – dissi dopo molto tempo.
– Lo sa tutta Kars, – disse Fazıl con voce dolcissima, quasi affettuosa, senza accusare assolutamente né Ka né me.
Nei suoi occhi vidi Necip. Gli dissi di essere pronto a sfogliare il suo romanzo di fantascienza che voleva farmi vedere: mi aveva chiesto se potevo dare un’occhiata a quanto aveva scritto, ma aveva precisato che non me l’avrebbe fatto portare via: voleva starmi vicino mentre lo leggevo. Ci sedemmo al tavolo dove la sera con Kadife mangiavano e guardavano la televisione, e leggemmo insieme silenziosamente le prime cinquanta pagine del romanzo di fantascienza immaginato quattro anni prima da Necip e scritto da Fazıl.
– Com’è, lo trova bello? – domandò Fazıl solo una volta, e come se chiedesse scusa. – Se si è annoiato, smettiamo.
– No, va bene, – dissi, e lo lessi volentieri.
Piú tardi, mentre camminavamo insieme lungo un viale Kazım Karabekir coperto di neve, gli dissi un’altra volta, sinceramente, che trovavo molto piacevole il suo romanzo.
– Forse dice cosí per rallegrarmi, – disse Fazıl tutto contento. – Ma mi ha fatto un piacere. E anch’io voglio fargliene uno. Se vuole scrivere un romanzo, può parlare anche di me. A condizione che anch’io dica una cosa direttamente ai suoi lettori.
– Cosa?
– Non lo so. Se mi viene in mente quando è ancora a Kars, gliela dico.
Ci lasciammo mettendoci d’accordo per vederci di pomeriggio alla Televisione della città di confine. Mentre Fazıl andava di corsa allo studio fotografico Aydın lo guardai da dietro. Fino a che punto vedevo il Necip che lui aveva dentro? Come aveva detto a Ka, lo sentiva ancora? Quanto una persona può udire dentro di sé la voce di un altro?
La mattina, girando per le strade di Kars, parlando con le persone con cui aveva parlato Ka e andando nelle stesse sale da tè, mi ero sentito diverse volte come lui. Ero subito andato nella sala da tè Fratelli fortunati, dove lui aveva scritto la sua poesia Tutta l’umanità e le stelle, e come il mio caro amico, anch’io avevo immaginato il mio posto nell’universo. Anche Cavit, il portiere dell’hotel Palazzo delle nevi, mi aveva detto che avevo preso in fretta la mia chiave, «proprio come il signor Ka». Il droghiere che mi aveva chiamato domandandomi se «ero lo scrittore arrivato da Istanbul», mentre camminavo per una delle vie secondarie, mi aveva pregato di scrivere che nessuna delle notizie uscite sui giornali sul suicidio di sua figlia Teslime quattro anni prima era vera. Mi aveva parlato come aveva parlato a Ka, e anche a me aveva offerto una Coca-Cola. Di queste cose, quante erano frutto di coincidenze, e quante delle mie fantasie? A un certo punto, quando capii di essere in via Baytarhane, guardai le finestre del convento dello sceicco Saadettin e salii le scale che descriveva Muhtar nella sua poesia, per rendermi conto di cosa avesse provato Ka la prima volta che si era recato al convento.
Visto che fra le sue carte a Francoforte avevo trovato le poesie che gli aveva dato Muhtar, ciò voleva dire che Ka non le aveva spedite a Fahir. Invece Muhtar, dopo cinque minuti che mi conosceva, già mi aveva detto che Ka «era una persona venerabile», e mi aveva raccontato che a lui erano piaciute molto le sue poesie e le aveva mandate, lodandole, a un editore arrogante di Istanbul. Era contento del suo lavoro e sperava di diventare sindaco con il nuovo partito islamico (il vecchio partito, il Partito del benessere, era stato abolito), alle prossime elezioni. Grazie al suo carattere benevolo, dolce e conciliante, ci accolsero in questura (dove però non ci permisero di scendere al piano inferiore) e all’Ospedale dell’assicurazione sociale, dove Ka aveva baciato il cadavere di Necip. Mentre Muhtar mi faceva vedere ciò che era rimasto del Teatro nazionale, con le stanze trasformate in un deposito di elettrodomestici, ammise di essere «un po’» responsabile della rovina di quel palazzo centenario, ma dicendo che «tanto era una costruzione armena e non turca» cercò di consolarmi. Mi mostrò tutti i posti che Ka ricordava con il desiderio di rivedere un giorno Ipek e Kars, il mercato della frutta sotto la neve e uno per uno i negozi di ferramenta in viale Kazım Karabekir, poi, una volta presentatomi nel Palazzo di Halil Pascià al suo rivale politico, l’avvocato Muzaffer, se ne andò. Dopo aver ascoltato una storia su Kars ai tempi della Repubblica dall’ex sindaco, proprio come era successo anche a Ka, mentre camminavo nei corridoi bui e tetri del palazzo, un ricco proprietario terriero alla porta dell’Associazione amici degli animali mi chiamò, «Signor Orhan», e mi fece entrare; poi, con la sua sorprendente memoria, mi raccontò di come Ka fosse entrato in quel posto quattro anni prima, nei giorni in cui era stato ucciso il rettore, e di come si era messo in un angolo nella sala dei combattimenti fra galli, immergendosi nei suoi pensieri.
Non mi fece bene, prima di rivedere Ipek, ascoltare i particolari del momento in cui Ka aveva capito di essere innamorato di lei. Prima di andare al nostro incontro alla pasticceria Nuova vita, entrai nella birreria Pascoli verdi e bevvi un bicchiere di rakı perché mi scacciasse la tensione, liberandomi dalla paura che avevo di innamorarmi di lei. Ma appena seduto di fronte a Ipek nella pasticceria, capii subito che le mie precauzioni mi lasciavano ancor piú indifeso. Il rakı che avevo bevuto a stomaco vuoto, invece di rilassarmi, mi aveva confuso la mente. Aveva gli occhi molto grandi e un viso lungo, propri...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Neve
  3. I. Il viaggio a Kars
  4. II. Quartieri di periferia
  5. III. Miseria e storia
  6. IV. Ka e Ipek alla pasticceria Nuova vita
  7. V. Prima e ultima conversazione tra assassino e vittima
  8. VI. La triste storia di Muhtar
  9. VII. Nella sede del partito, in questura e di nuovo in strada
  10. VIII. La storia di Blu e Rüstem
  11. IX. Un miscredente che vuole uccidersi
  12. X. La neve e la felicità
  13. XI. Ka con lo sceicco Effendi
  14. XII. L’amara storia di Necip
  15. XIII. Una camminata sotto la neve con Kadife
  16. XIV. A cena: sull’amore, sul coprirsi e sul suicidio
  17. XV. Al Teatro nazionale
  18. XVI. Il panorama visto da Necip e la poesia di Ka
  19. XVII. Uno spettacolo su una ragazza che brucia il suo chador
  20. XVIII. La rivoluzione sul palco
  21. XIX. La notte della rivoluzione
  22. XX. La notte mentre Ka dorme, e la mattina
  23. XXI. Ka nelle stanze fredde e spaventose
  24. XXII. La carriera militare e teatrale di Sunay Zaim
  25. XXIII. Al quartier generale con Sunay
  26. XXIV. Il fiocco di neve esagonale
  27. XXV. Ka e Kadife nella stanza d’albergo
  28. XXVI. La dichiarazione di Blu a tutto l’Occidente
  29. XXVII. Ka cerca di coinvolgere il signor Turgut nella dichiarazione
  30. XXVIII. Ka e Ipek nella stanza d’albergo
  31. XXIX. A Francoforte
  32. XXX. Una felicità durata poco
  33. XXXI. L’incontro segreto all’hotel Asia
  34. XXXII. L’amore, l’essere insignificanti e la sparizione di Blu
  35. XXXIII. La paura di essere ucciso
  36. XXXIV. Il mediatore
  37. XXXV. Ka e Blu nella cella
  38. XXXVI. La trattativa fra la vita e lo spettacolo, l’arte e la politica
  39. XXXVII. I preparativi per l’ultimo spettacolo
  40. XXXVIII. Un’ospitalità obbligatoria
  41. XXXIX. Ka e Ipek in albergo
  42. XL. Il capitolo rimasto a metà
  43. XLI. Il quaderno verde smarrito
  44. XLII. Dal punto di vista di Ipek
  45. XLIII. Ultimo atto
  46. XLIV. A Kars, quattro anni dopo
  47. Copyright