Come quietamente i giusti spirano
e alle anime loro sussurrano di andare,
mentre alcuni dei tristi amici dicono:
si spegne il suo respiro, ed altri: non ancora,
sciogliamoci cosí, senza voce, né flutto
di lacrime muoviamo, né furia di sospiri:
si profana la gioia
svelando ai secolari questo amore.
Il moto della terra porta mali e paure,
specula l’uomo il fatto e ciò che volle dire,
ma la trepidazione delle sfere
è innocente, seppur tanto maggiore.
L’amore degli ottusi amanti sublunari
(la cui anima è il senso) non intende
l’assenza, che rimuove
le cose che gli furono elemento.
Ma noi, grazie a un amore raffinato
al punto che noi stessi ne ignoriamo l’essenza,
nella mutua certezza della mente
meno curiamo perdere labbra, pupille, mani.
Le nostre anime, dunque, che sono una,
sebbene io debba andare, non patiscono
frattura ma espansione, come oro
battuto fino alla piú aerea lama.
Siano pur due, lo sono come i rigidi
gemelli del compasso sono due:
la tua anima il piede fisso che, all’apparenza
immoto, muove al moto del compagno
e, se pure dimori nel suo centro
quando l’altro si spinge piú lontano,
piega e lo segue intento
e torna eretto al suo tornare al centro.
Cosí tu sei per me che debbo, simile
all’altro piede, obliquamente correre:
la tua fermezza chiude giustamente il mio cerchio
e al mio principio mi riporta sempre.
Mi chiedo in fede: che facemmo noi
prima di amare? Divezzati ancora
non eravamo e allattati di rustici
piaceri, come i bimbi? O russavamo
nella caverna dei Sette Dormenti?
Fu cosí. Ma non erano che ombre
di piaceri. Se mai vidi bellezza
e la volli e la ebbi,
non fu che sogno della tua bellezza.
E ora buongiorno alle nostre due anime
che si destano e senza alcun timore
si vegliano, ché amore ogni orizzonte
chiude all’amore e di una cameretta
fa un ognidove. Restino alle nuove
terre i navigatori, e mappe nuove
scoprano ad altri mondi sopra mondi:
si lasci un solo mondo a noi, che abbiamo
ciascuno un mondo ed è un mondo ciascuno.
Nel tuo occhio il mio volto, il tuo nel mio
si specchia e cuori semplici e fedeli
riposano nei nostri volti: dove
trovare due piú limpidi emisferi
senza Nord affilato, Ovest caduco?
Equamente non fu mischiato ciò che muore,
se i nostri amori sono uno e tu
ed io cosí fratelli nell’amore
che né l’uno né l’altro può mancare o morire.
. . . . . . . . . . . . .
Dateci i nomi che volete: tali
ci fece amore: or l’uno or l’altro diteci
folli falene: siamo
anche candele e moriamo di noi
e in noi troviamo l’aquila e la tortora.
L’enigma della Fenice da noi
s’illumina: e poiché noi siamo uno,
lo siamo entrambi. Cosí ad una sola
neutra cosa i due sessi si accordano:
come quella moriamo e risorgiamo, noi
fatti misteriosi in questo amore.
E possiamo morirne se non viverne;
e, se inadatta per sepolcri e feretri,
questa leggenda correrà nei versi,
e se non entreremo nelle cronache,
leggiadra stanza avremo nei sonetti:
l’urna elegante si conviene a elette
ceneri quanto il tumulo maggiore.
E per quest’inno attesteranno i molti
noi due, canonizzati per amore.
E invocheranno: voi che il reverendo
amore fece mutuo romitorio
(e a voi fu pace amore, che ora è furia)
voi che traeste l’anima del mondo
e concentraste nelle vostre iridi
fatte cosí perfetti specchi e spie
che a voi tutto riassunsero: paesi,
corti, città, – otteneteci dall’alto
di questo amore un calco!
Dove, come un guanciale sopra un letto,
la pregna riva s’alza a riposare
la viola dal capo reclinato,
posammo noi, l’uno cuore dell’altro.
Le nostre mani salde, cementate
da un balsamo tenace che ne sgorga,
i raggi degli sguardi s’incrociavano,
gli occhi infilando su di un refe doppio.
Cosí per ora innestare le mani
fu tutto il nostro modo d’esser uno
e concepire immagini negli occhi
fu nostra sola moltiplicazione.
Come tra eguali eserciti la sorte
sospende incerta la vittoria,
le nostre anime (che per allargare
il campo erano uscite da noi) tra noi s’alzavano:
e mentre là negoziavano le anime,
noi giacevamo, statue sepolcrali:
tutto il giorno immutata l’attitudine,
non dicemmo parola tutto il giorno.
Se alcuno, dall’amore raffinato
sino a intender la lingua delle anime,
fatto dal buon amore tutto spirito,
alla giusta distanza fosse stato,
egli, pure ignorando quale anima parlasse
(poiché a un modo intendevano e parlavano entrambe)
nuova sublimazione avrebbe ricevuto
ripartendo piú puro.
Ogni perplessità discioglie l’estasi
(noi dicemmo) e ci dice quel che amiamo:
da lei sappiamo che non era il sesso,
sappiamo che di ciò nulla sappiamo.
Ma poiché ciascun’anima racchiude
cose mischiate e ignorate, l’amore
quelle anime mischiate mischia ancora
e fa una di due, questa e quella ciascuna.
Trapiantate un’unica viola:
forza, misura, sfumatura, quanto
era dapprima povero e mancante,
tuttavia si raddoppia e si moltiplica.
Cosí quando l’amore una con l’altra
due anime interanima, quell’unica
anima piú compiuta che ne sgorga
vince sulle mancanti solitudini.
E noi che siamo questa nuova anima,
sappiamo ormai di che siamo composti,
ché gli atomi da cui crescemmo sono anime
da mutamento intoccabili.
Ma ahimè, perché cosí a lungo e tant’oltre
negarci ai nostri corpi?
Se anche non noi, pure son nostri. Noi
siamo le intelligenze, essi la sfera.
Dobbiamo loro grazie, ché per primi
cosí ci avvicinarono ed a noi
cedettero le forze e i sensi loro,
lega, e non scoria, a noi.
Non influisce il Cielo sull’uomo se dapprima
nell’aria non lo imprima, sicché l’anima
possa fluir nell’anima, seppure
prima ...