«No. Mille volte no», ammonisce Suor Giacinta il giovedí quando, non essendoci scuola, le Bambine passano il pomeriggio all’oratorio femminile, per imparare il cucito. Ché per chi nasce femmina non è mai troppo presto per cominciare a preparare il «dodici». Contare quattro fili, infilare l’ago prima del quinto, tirare, di nuovo... se pensate che un pomeriggio di orlo-a-giorno sia divertente, provateci voi. Una fatica bestia.
«Nei deserti dell’India, – spiega la Suora, – si trova un albero le cui larghe foglie invitano al riposo e al sonno i viandanti stanchi. Ma guai a chi si mette a sedere sotto quell’ombra invitante! Mentre uno ci si riposa, un odore mortifero lo avvelena lentamente... Questa è l’immagine del cinema e degli effetti funesti che produce. Il cinema è come quell’albero appariscente, che avvelena e uccide tanta misera gioventú coi suoi incanti funesti».
Sarà, rimugina la Bambina. Al cinema ci va poche volte. Presèmpio, il mese scorso con la Cugina Canta-e-plòra. Una storia proprio bella: un’operaia che si innamora del padrone di uno stabilimento, ma la mamma di lui non li lascia sposare... Alla Bambina è dispiaciuto sto fatto, tanto piú che la poveretta era in compra di un Bebè, ma il padrone si era tirato indietro, le dava il violòn, diceva che non era sua la responsabilità, anche se era chiaro – sosteneva la Cugina, che di certe cose sa il perché e il percòme, dato che ha già quattordici anni epperciò è Mezza Granda – che la frittata l’avevano combinata in due con pari buonavoglia. S’ciàu, succede cosí quando ci si bacia troppo, con la lingua-in-bocca, ché poi nascono i Bebè. Per questo la Canta-e-plòra per adesso non può baciare troppo il sò moròso; solo dopo, quando sarà sposa, avrà tempo di dargli baci dalla mattina alla sera, oltre che dalla sera alla mattina.
Le lezioni di cucito sono sempre infarcite di noiose chirièlle, a cui anche la Bambina è obbligata a prestare attenzione. Ché ormai naviga verso gli otto anni, è quindi entrata nell’età-della-ragione: se fosse morta prima dei sette anni di sicuro sarebbe andata in Paradiso da innocente, ma adesso è grande a sufficio per Azazèl, un diavolante con la lunga coda arrotolata intorno al collo a mo’ di boa-di-struzzo rosso. Sovente però la Bambina trova noiose le lungagnate di Suor Giacinta, ché gli esempi del catechismo sono molto meno interessanti dei misteri rivelati dalle sue compagne di giochi: che se qualcuna, come la Caparella, ha i denti spaziati in avanti, vuol dire che l’è una gran trampista; che le macchioline bianche sulle unghie sono segno che si è commesso un grande peccato; che se, prima di recitare le preghiere per riscattare le Anime Purganti, ti segni con l’acqua benedetta, vale il triplo: eccosí cinque Pateraveglòria con l’acqua benedetta ne valgono quindici senza, un bel vantaggio, neh.
Epperciò succede che nell’ora del cucito la Bambina si impegni poco, distraendosi a ogni quisquilia: invece di stare attenta ai quattro fili, conta le fiammelle e le lacrime d’oro ricamate sulla tovaglietta che copre il cardenzone bombé che sta all’angolo della stanza.
Quattro fili e avanti.
A volte la Bambina si punge volontariamente. Resta a fissare la goccia che si gonfia come ingravidandosi sul dito, poi la succhia.
Suor Giacinta porta l’impronta chiara di una volontà di ferro nelle linee forti e dure del viso. Le sue storie comunque certe volte spaventano, quasi quanto quelle di Nonna che la sera, dopo il rosario, racconta: presèmpio, che quando, all’annottare, si beve da un fontanino non bisogna aprire troppo la bocca, perché le stríe stanno in agguato di chi ha sete e gli si infilano nel gargarozzo; soprattutto a quell’ora tra il lusco e il brusco, passano in eserciti di cento e piú, grugnendo sotto i tetti, e spesso col vento sbattono la testa contro gli angoli delle case dove abitano le Anime Peccatrici.
Cosí succede anche oggi. «Vi racconterò una storia, – dice la Suora. – Viaggiava un giorno per il Tirolo italiano un regista famoso. Incontrò una ragazza alla fontana del paesello. Si chiamava Margherita: sui quindici anni, bella come un giglio. Cantava con una dolcissima voce le lodi alla Madonna, da brava figlia di Maria come lei era. Quel signore dunque prese informazioni sulla famiglia della giovane e si recò a casa della madre, una povera vedova a cui, dopo una lunga serie di sciagure, era rimasto come unico sostegno e conforto quella figlia».
Suor Giacinta a questo punto si ferma. Gli occhi di tutte le ricamatrici hanno lasciato il cucito rivolgendosi a lei. Ma la Suora prende tempo, fingendo un colpo di tosse; eppure si vede benissimo che giubila quando qualcuna le domanda, con voce strozzata dall’impazienza: «Eppoi?»
«Alla madre quel signore propose di condurre la figlia a Roma, dove lui stesso, a sue spese, l’avrebbe fatta partecipare al concorso di Miss Italia».
Caspita. Roma. Il Mondo. Un concorso di bellezza che è il sicuro trampolino per la carriera di attrice. Che fortuna marcia. Poter incontrare Zorro, Rin Tin Tin. Fosse capitato alla Bambina...
«Eh, care figliole, il Diavolo è sempre lí in agguato, pronto a brancare le anime ingenue come le vostre...»
Porco sciampín, ma quel maledetto satanasso ci ha proprio cosí niente da fare che tentare la gente poverettina su ciò che è piú desiderabile?
«Quella sera stessa, la madre eccitatissima riferí a Margherita le proposte di quel signore del cinema e la giovinetta andò a letto tutta turbata».
Eggià, la Bambina se l’immagina. Lo sarebbe anche lei. Nel Mondo. Con tanta buona roba da mangiare. E magari anche tanti cavalli, uno per ogni giorno della settimana.
«Spenta la luce, il Diavolo venne ai piedi del suo letto e le propose: “Pensaci bene: Non fare la scema, ché certe occasioni bisogna coglierle al volo. Ogni lasciata è persa. Che razza di problemi ti fai? Togliersi i vestiti per fare la sfilata sul palco delle reginette di bellezza: certo che è peccato. E allora? A far la figlia di Maria cosa ci hai guadagnato? Niente. Perciò fatti furba!...” Margherita si vide davanti in un baleno le foto sui giornali, i registi che la imploravano di accettare una parte in un film...»
Madò, che bello. Come piacerebbe alla Bambina. Reciterebbe però solo in film coi cavalli, come Buffalo Bill. Da farci la firma subito.
«Allora l’Angelo Custode si fece avanti e le disse: “Bambina cara, tutti i film del mondo non valgono neanche un fico secco. Solo la salvezza della tua anima conta!”»
Sta fresco quello lí... Chissà perché, se si immagina la voce dell’Angelo, la Bambina si figura quella gracchiante del Curato.
La Suora guarda l’orologio riponendolo poi tra le pieghe della sua ampia gonna.
Quattro fili e avanti... La Bambina non vede l’ora che il racconto continui.
Suor Giacinta s’appoggia allo schienale della sedia. «Vediamo un po’, – sorride, – chi di voi sa dirmi cosa fece quella ragazza? Chi vinse, secondo voi? L’Angelo Custode o Satana? Quella giovane cedette alla tentazione o si mantenne salda nel suo stato di grazia?»
Le ricamatrici si guardano tutte di sottecchi. Certo la protagonista della storia se la figurano un po’ a propria immagine e somiglianza. E chi di loro non vorrebbe diventare ricca e ammirata da tutti? Ma, da foglie-canne come sono, nessuna osa rispondere.
La Bambina alza la mano, o forse è Bis: «Secondo me, ha accettato di andare a Roma». Siccome le altre stanno zitte, la Bambina aggiunge come se fosse la spiegazione piú logica: «Era povera». Lo dice come se la voce le uscisse da sola dalla gola.
Con l’infallibile istinto degli dèi, la Suora deve aver intuito che si trova davanti qualcuno capace di rubare il fuoco o di disprezzarlo. «Margherita pianse a lungo», ribatte aggrottando la fronte.
Be’, è giusto che pianga. In certi momenti sembra di non poterne fare a meno. Presèmpio, quando la Cugina Desideria è andata a Milano con alcune Grande e non ha voluto portarla con sé. Tutta la sera la Bambina ha avuto voglia di caragnare, sola al buio, tenendo la testa sotto le lenzuola. E quando la prima serie di singhiozzi era quasi passata, ha cercato con tutte le forze di piangere, perché sí, con una sorta di rabbia, per farsi soffrire. Ma non c’è riuscita: lei non ha mai avuto il dono delle lagrime. «Dev’essere colpa dei tuoi occhi che hanno un colore diverso, – ripete sempre Zia Guercia. – Uno vuol piangere e l’altro vuol ridere: non riescono a mettersi d’accordo...»
Suor Giacinta si toglie gli occhiali per dare una pulita alle lenti. Ha una faccia enigmatica, ma vagamente sorridente, per cui da quell’indizio tutte le ricamatrici capiscono cosa sta per succedere. Si rimette gli occhiali sul naso e continua: «Margherita scelse la voce dell’Angelo Custode. E siccome non voleva che sua madre la inducesse a partire, prese una risoluzione. Si alzò dal letto, si avvicinò con passo franco all’unica finestra della sua stanza, la quale aveva il davanzale di pietra viva ad angolo. Contro quella pietra sbatté fortemente il viso, sfigurandosi la bocca e il naso, e spezzandosi i denti davanti».
Sbiancano tutte, bocchinaperta. Aria stralunata e fiato mozzo. Occhi sbarrati e increduli fissano Suor Giacinta.
«Sí, fece proprio cosí. Preferí rimanere povera e sfigurata per sempre sulle sue montagne, anziché perdersi per le strade del vizio e delle ricchezze mondane».
Nooo. Ma quella l’era proprio scema. Dimmi un po’ te che bisogno c’era di spaccarsi la faccia. Ma neanche una matta-biràga si sarebbe comportata cosí.
Le storie di Suor Giacinta vertono sempre sulla lotta eterna tra Angelo Custode e Diavolo, con vittorie alterne. Le piú tremende si concludono con la vittoria dell’Angelo che significa sempre il sacrificio di ogni cosa bella. Meno tristi quando il Diavolo soddisfatto si frega le mani perché qualche poverettino gli vende l’anima. Cosa c’è poi di male? Si può ottenere in cambio la salute, il successo, una vita piú comoda... Non è un po’ da coglioni rinunciarci?
La Bambina, se le comparisse il Diavolo con qualche proposta interessante, non crede di dover esitare. Naturalmente alzerebbe tantissimo il prezzo, perché è sí una Bambina ma non facile da imbrogliare.
Ma a lei non è mai capitato di vederlo.
Finite le tre ore di cucito, si va a casa in fretta, tutte imbacuccate nelle sciarpe e nelle cuffie. La neve scricchia sotto gli scarponcini. La campagna è irrigidita e bianca.
In piazza la Bambina si ferma un attimo davanti al cartellone del cinema Lux, battendo i piedi intirizziti.
«Tu ti spaccheresti la faccia da sola?» le chiede Bis.
«Mica son scema. Già un giorno sí e uno no me la gonfia Madre».
Dal manifesto Gina Lollobrigida sorride spavalda. L’essenza del peccato. Eppure cosí elegante.
«Credi davvero che quella tal Margherita l’abbia fatto realmente?»
«Naaa...»
La sera, a letto, il sonno tarda a venire.
«Cos’hai?» le domanda quel paciòcco del Nano, dal suo lettino affiancato.
A essere sincera, la Bambina dovrebbe rispondere: «Penso alle attrici che perdono l’anima, alle minacce tonanti sotto oscure navate, ai forconi dei diavoli della Ghe-ènna che aspettano impazienti che le Bambine cadano in tentazione». In effetti la rode l’incomprensibile espressione «tormenti della carne»: la turba, suscitandole in testa l’immagine della neve sporca e fetente di scoli di stalla. E pensa anche al sangue che illividisce in pozzanghere ghiacciate, rischiarate dal fanale del portico dove quella mattina il mazzino ha sgozzato un porcello.
Invece risponde: «A niente penso».
Una bugia. Ma che altro si può dire a un Nano?