Il segreto di Gotham
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Il segreto di Gotham

  1. 504 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il segreto di Gotham

Informazioni su questo libro

Quando Lucy Adams piomba nelle «Tombe», la centrale della polizia newyorkese, per denunciare la sparizione della sorella e del figlio, il detective Timothy Wilde non può lontanamente immaginare che cosa con quel caso andrà a scoperchiare. Setacciando i bassifondi della città, invasi in quegli anni da torme di immigrati irlandesi ridotti alla fame, e infilandosi nei salotti degli affari e della grande politica, Timothy e il fratello Valentine scopriranno un'orribile tratta di persone, e un inestricabile intreccio di corruzione, violenza e razzismo. «Un romanzo spettacolare».
Gillian Flynn «Il giorno in cui le accadde il peggio - e con «peggio» intendo quella tragedia, quell'atrocità oltre ogni limite di sopportazione che per impedirla moriresti, per impedirla uccideresti - Lucy Adams stava lavorando in un negozio di fiori, e sistemava rose di serra scarlatte e arancioni i cui colori avrebbero fatto sfigurare un tramonto di mezza estate. Quanto poco venni a sapere di lei, il giorno che la conobbi. Drammaticamente poco. I dettagli sarebbero venuti in seguito. Molto dopo la volta in cui le dissi che io, Timothy Wilde, stella di rame numero 107 e difensore di chiunque diavolo mi paresse, avrei rimesso tutto a posto».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2016
Print ISBN
9788806211608
eBook ISBN
9788858424520

Capitolo XX

È per me motivo di grande rammarico che non siano state prese apposite misure per accertare la causa della morte di uno di quegli sventurati giovani, nel momento in cui gli altri furono fermati. Dentro di me non nutro alcun dubbio riguardo al fatto che sia stato crudelmente e barbaramente assassinato.
RICHARD STOCKTON a proposito della vittima di rapimento Joe Johnson, ucciso a frustate con uno scudiscio da cavallo, «African Observer», 1827.
La sera dopo andammo a cercare Jean-Baptiste Jacques Augustin. Lo spazzacamino nero vivente, non il pittore francese deceduto. Non sapevamo se il nostro piano cosí ben architettato si sarebbe o meno infranto contro l’insormontabile ostacolo di una grata che bloccasse l’accesso al camino. Ma avevo grandi speranze. Gli ultimi ad aver usato il salotto dovevano essere stati coloro che vi si erano riuniti la notte del rapimento. E noi di sicuro non ci eravamo presi il disturbo di chiudere il focolare. Di conseguenza, se né Gates né gli operai avevano pensato a sigillare la canna fumaria, un bravo spazzacamino sarebbe potuto entrare di nascosto nell’appartamento senza bisogno di rompere niente.
Una soluzione elegante. Per quanto rischiosa. Mettere in pericolo il nostro piccolo amico non mi faceva piacere piú di quanto me ne facesse trovarmi costretto a compiere un furto in una casa.
– Può sempre dire di no, – osservai rivolto a Jakob Piest e Julius Carpenter mentre procedevamo tortuosamente di vicolo in vicolo. Vicoli troppo stretti per i cavalli, ma larghi abbastanza per i ratti che ci correvano sui piedi.
– Certo, – ribatté Julius. Era davanti a me, e il suo berretto invernale azzurro ballonzolava lungo le viuzze addobbate di sporcizia. – Ma è l’unica idea decente che siamo riusciti a partorire.
Scivolai su una chiazza di neve sciolta che si era prima ghiacciata, poi mischiata alla fanghiglia in putrefazione e infine ghiacciata di nuovo. Piú e piú volte. Eravamo nella Nona circoscrizione, nei pressi della residenza dei Millington, e ci stavamo allontanando dai templi della pecunia nella Quinta Avenue in direzione sud-ovest, verso una zona piú popolare. Il quartiere dove, secondo Grace Stackhouse, teneva corte il padrone dei piccoli spazzacamini.
Attraversata Greenwich Lane, ci trovammo nel dedalo intorno a Factory Street e passammo sotto un architrave di pietra. Ci facemmo largo fra i mucchi di libri usati. Il loro immoto proprietario sporse nella nostra direzione una scatola di oggetti piú smerciabili: cerotti callifughi e bottoni scompagnati. Non aveva clienti e sembrava impossibile che riuscisse a trovarne. Sopra di noi, nel cielo che si stava scurendo, c’era un movimento inquietante.
– Non pensiate, Mr Wilde, che a me invece faccia piacere, – osservò Piest. – Però ho il sospetto che ormai il ragazzino conosca il suo mestiere quanto basta per volerselo lasciare alle spalle.
Concordavo. Jean-Baptiste doveva essersi impratichito nello scalare le pareti interne dei camini senza farsi male. Ma, potendo scegliere, chi vorrebbe una vita simile? Pregando dentro di me di non essere noi la causa del suo primo, letale passo falso, aggirai un branco di gatti pezzati che miagolavano sopra un bidone della spazzatura. Mezzi morti di fame e piú che mezzi congelati.
– Ci siamo –. Julius si fermò al centro di quel corridoio fra due edifici.
Manifesti politici coprivano la superficie di una porta di legno che altrimenti avrebbe offerto ben poca protezione dalle correnti d’aria. Slogan dell’anno prima che andavano dissolvendosi, le parole LIBERTÀ e CORRUZIONE che si sfilacciavano in lembi di carta penzolante. È un metodo di isolamento termico poco signorile, ma funziona, e costa solo pochi penny di colla di cavallo. Bussammo e ci facemmo avanti. Questa volta Julius per primo e io e Piest dietro di lui.
– Smammate. Siamo chiusi. Stelle di rame, – aggiunse sdegnato il padrone degli spazzacamini, un mulatto, notando i distintivi che portavamo io e Piest. – Cristo onnipotente, come si è ridotta questa città. La tassa l’ho già pagata, la settimana scorsa. Non mi scucirete piú neanche un penny.
Né io né il mio collega potevamo dirci stupiti delle sue parole. Però ci scambiammo uno sguardo cupo e Piest arricciò il naso per il disgusto.
– Stiamo cercando uno spazzacamino. È urgente, – spiegò Julius.
– Vi è giunta voce che domani arrivano gli ispettori, eh? Per il fine settimana i ragazzi sono già tutti prenotati, se non siete disposti a pagare un sovrappiú per esservi presentati all’ultimo minuto.
L’uomo sedeva dietro una scrivania. «Scrivania» nel senso che la si poteva usare per scriverci sopra. Di fatto era una pila di mattoni di recupero con un piano di legno appoggiato sopra. Il mulatto bevve un sorso da un boccale posato accanto a una brocca di ceramica. Aveva una faccia arcigna e troppo livida per un sangue misto come lui, i capelli tenuti a posto con grasso d’orso, una bocca sottile e crudele, occhi calcolatori. Non che ci avesse degnato di un secondo sguardo. Scribacchiava su un registro, a testa bassa.
– Il sovrappiú ve lo diamo, – gli assicurò Julius. – Però ci serve uno spazzacamino particolare.
– Ah –. Il padrone posò il calamo sbrindellato e congiunse le mani dietro il colletto ingiallito della camicia. – Uno spazzacamino particolare, per di piú. Be’, per gli spazzacamini particolari le tariffe sono piú alte, ovviamente. Volete il Gattone, vero? Non c’è problema, basta dargli una moneta di mancia e offrirgli prima uno o due bicchieri per farlo star buono. Se no graffia, – concluse, facendo l’occhiolino.
A quella sensazione di caglio inacidito nello stomaco ci ero abituato. Nel mio lavoro di stella di rame le occasioni di provarla non mancano mai. Ma fino ad allora avevo sempre arrestato il bastardo che ne era stato la causa, oppure mi ero portato via tutti i bambini che potevo tirarmi dietro. «I gatti randagi di Tim», li chiama mio fratello, anche se in fondo approva quello che faccio. Ma ora… ora eravamo in missione, e alle Tombe non ci potevo mettere piede. Perciò mi morsi la lingua e, furioso, cominciai ad architettare un piano.
– Non è lui che ci interessa, – disse Julius, con un tono nel quale risuonava un sottofondo metallico. – Ci serve un bambino sui sei anni… muto, ma non sordo.
L’uomo sollevò stupefatto la faccia astiosa. – La Blatta? Cosa potete mai volere dalla Blatta? Be’, non sono fatti miei se vi piace quel mostriciattolo. Non me l’hanno mai chiesto dopo l’orario di lavoro, ma lo convinceremo, giusto? Da questa parte.
Mi guardai i piedi, che seguirono quelli dei miei amici. Lungo un corridoio, attraverso una porta e giú da una rampa di scale umidicce, mentre la lanterna ondeggiante del padrone degli spazzacamini proiettava ombre fuggevoli. La cantina aveva un soffitto alto circa un metro e mezzo. Antiche radici si allungavano verso di noi dai muri come dita spettrali. Quell’antro era stato scavato per tenerci nei mesi invernali le patate e la carne di maiale sotto sale e d’estate le mele e il formaggio protetto da un involucro di cera.
Invece quel gelido buco nella terra ospitava delle brande a due piani ammassate contro le luride e ghiacciate pareti squamose. E sulle brande, in luogo delle provviste, c’erano piccoli bambini di colore. Noi adulti ci accalcammo dentro, chinandoci a scrutare in quell’oscurità soffocante. L’aria era impregnata di una forte puzza di polvere di carbone. Non perché lí venisse conservato il combustibile, ma perché gli spazzacamini ce l’avevano addosso.
– Blatta! – gridò il padrone, suscitando un’ondata di agitazione fra i dormienti.
Diverse paia d’occhi rossi e scavati ci fissarono. Un ragazzino un po’ piú grande degli altri, sugli otto anni, con l’eccessiva cifosi tipica degli spazzacamini, si tirò su per vedere che problemi c’erano. Un altro che era stato sorpreso giú dal letto, con le ginocchia e le caviglie ormai permanentemente arcuate, si affrettò a rintanarsi nella branda.
Poi la minuscola ombra di un corpo rotolò giú da sotto il fine lenzuolo di cotone su una delle brande inferiori, atterrando scomposta sulla nuda terra. Mezzo secondo dopo, si alzò in piedi e si avvicinò allo spilorcio senza scrupoli che reggeva la lanterna. Battendo le palpebre, palesemente spaventato. Ma non molto sorpreso.
– Blatta. Adesso lo capite perché lo chiamo cosí? – Il padrone era soddisfatto. – È svelto come il lampo, ma non fa rumore. E poi è nero come uno scarafaggio. Blatta, queste persone ti vogliono.
Le dita di Jean-Baptiste si incurvarono rabbiose, come artigli.
– Su, vieni –. Il padrone si voltò e riprese a salire.
– Jean-Baptiste, sei tu? – sussurrò Julius.
Il fanciullo restò a bocca aperta, nella luce che si allontanava. Fece due passi in direzione di Julius, confuso. Poi i suoi occhi sonnolenti e infiammati misero a fuoco me e Piest, e dalla bocca gli uscí un rantolo.
– Fra un momento ti spieghiamo, – gli dissi.
A quel punto salí le scale di buona lena. Sopra di noi si udí il clangore della lanterna che toccava il piano del tavolo e subito dopo un furioso scartabellare di registri. Quando entrammo nella stanza a piano terra, il padrone degli spazzacamini stava scorrendo con un dito bitorzoluto le colonne di un altro libro mastro che aveva preso da una mensola. Grugnendo, scrisse le parole: «Blatta: servizi privati».
– Domani dev’essere ancora in grado di arrampicarsi su per un camino, – ci avvisò.
Stavo digrignando i denti fin quasi a consumarmeli quando Jean-Baptiste ci rivolse uno sguardo allarmato. Piest si mise un dito accanto al naso ammiccando discretamente e quel momento passò.
Con un risolino sinistro, il padrone degli spazzacamini mandò giú un’altra sorsata di liquore. – Sul serio. Altrimenti vi faccio pagare una giornata in piú. Confido nella vostra sensibilità, e abbiate riguardo per le angustie nelle quali mi trovo, signori miei. La scorsa settimana ne ho perso un altro per il cancro e finché non lo rimpiazzo siamo a corto di personale.
«Cancro, – mi suggerí il cervello sempre sollecito. – Il cancro degli spazzacamini. Cancro allo scroto causato dal sudore mescolato alla fuliggine che non viene mai lavata via. Comincia con una piaga e si conclude con la morte».
Julius pagò per l’utilizzo di Jean-Baptiste. Quanto, non ne ho idea. In ogni caso i quattrini erano di Higgins. Fu scambiata qualche parola. Non che io ascoltassi. Ero alle prese col mio solito dilemma, ovvero se mettere ai ferri il padrone, far evacuare il locale e raderlo al suolo oppure dedicarmi alla faccenda per cui eravamo lí.
Prima che me ne rendessi conto, eravamo tutti nel vicolo, con Jean-Baptiste che ci guardava con aria perplessa. Piest si accovacciò con un sorriso deforme ma straordinariamente gentile.
– Lavori per un gran farabutto. Ti ricordi di me e Mr Wilde, sí?
Jean-Baptiste annuí.
– Abbiamo una proposta, Jean-Baptiste, e speriamo che la prenderai nella dovuta considerazione, – continuò il mio collega. – Vogliamo che ti cali giú per un ultimo camino e sottrai dei...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il segreto di Gotham
  4. Prologo
  5. Capitolo I
  6. Capitolo II
  7. Capitolo III
  8. Capitolo IV
  9. Capitolo V
  10. Capitolo VI
  11. Capitolo VII
  12. Capitolo VIII
  13. Capitolo IX
  14. Capitolo X
  15. Capitolo XI
  16. Capitolo XII
  17. Capitolo XIII
  18. Capitolo XIV
  19. Capitolo XV
  20. Capitolo XVI
  21. Capitolo XVII
  22. Capitolo XVIII
  23. Capitolo XIX
  24. Capitolo XX
  25. Capitolo XXI
  26. Capitolo XXII
  27. Capitolo XXIII
  28. Capitolo XXIV
  29. Capitolo XXV
  30. Capitolo XXVI
  31. Capitolo XXVII
  32. Postfazione storica
  33. Ringraziamenti
  34. Il libro
  35. L’autrice
  36. Della stessa autrice
  37. Copyright