− Non so se sia stato corretto da parte mia informarti. A dire la verità non ci sono segni di effrazione e il preside non vorrebbe mettere di mezzo la polizia. È solo che io…
− Potresti raccontarmi, − la interruppe Johanne, poi tossí e disse: − Potresti raccontarmi di nuovo tutto dall’inizio?
Cercò una posizione comoda sulla sedia per smettere di agitarsi.
− Sí, dunque…
La vicepreside Live Smith si passò una mano tra i folti capelli grigi. Già quando l’aveva raggiunta nel corridoio della scuola e le aveva chiesto di seguirla nel suo ufficio non sembrava molto convinta di quel che stava facendo. Adesso era come se ne fosse pentita e volesse chiudere al piú presto la faccenda.
− Dal momento che in effetti siamo una scuola speciale, − disse con una certa esitazione, − per ogni bambino abbiamo una documentazione piuttosto consistente. Come ben sai, i nostri allievi presentano delle tipologie di disabilità anche molto diverse fra loro, e quindi per massimizzare l’offerta formativa del singolo…
− Conosco questa scuola e so che cosa offre, − la interruppe Johanne, − visto che mia figlia la frequenta.
La sua voce era quella di un’estranea. Dura e piatta. Tossí di nuovo e dovette prendere il bicchiere d’acqua che aveva davanti nonostante le tremassero le mani.
− Tutto bene?
Live Smith stava fissando la striscia d’acqua che colava sul maglione di Johanne.
Johanne posò il bicchiere.
− Ho solo la gola un po’ secca. Starò covando qualche malanno. Dimmi pure.
Si costrinse a un sorriso e fece un movimento rotatorio e impaziente con la mano. Live Smith si sistemò la giacca, si ravviò i capelli dietro le orecchie e disse risentita: − Sei stata tu a chiedermi di raccontarti di nuovo tutto dall’inizio.
− Sí, scusa, potresti semplicemente…
− Be’… per farla breve, quando sono venuta qui venerdí scorso, per organizzare la riapertura della scuola, ho avuto la sensazione che ci fosse entrato qualcuno.
Indicò l’ufficio con un gesto della mano. Era un locale spazioso con un archivio addossato a una delle pareti lunghe; su quella stessa parete c’era una porta che conduceva a una stanza piú piccola che si poteva chiudere a chiave. Per il resto i muri erano tappezzati di variopinti disegni fatti dai bambini e racchiusi dentro cornici dell’Ikea. Le tende erano di un rosso sgargiante a pois gialli e ondeggiavano lievi all’aria calda che saliva dal termosifone sotto la finestra.
− Ho avuto la sensazione di qualcosa di estraneo… C’era un… un odore diverso, forse… Anzi, no. Piuttosto, era come se ci fosse un’atmosfera diversa.
Sembrava imbarazzata. Sorrise prima di aggiungere: − Sai…
Johanne sapeva.
− Non che io creda nel soprannaturale, − disse Live Smith e sorrise di nuovo, sulla difensiva, − ma anche tu avrai provato quella sensazione come di…
− Non c’è niente di soprannaturale, − la interruppe Johanne. – Al contrario. È una delle capacità piú raffinate di cui siamo dotati. L’inconscio registra cose che noi non sempre riusciamo a far emergere. Potrebbe trattarsi di un oggetto che è stato spostato, per esempio. Oppure, come hai detto tu, è possibile che sia rimasto nell’aria un odore quasi impercettibile. Quanto piú abbiamo sperimentato, tanto piú le esperienze che abbiamo accumulato sono in grado di raccontarci quello che a prima vista non sappiamo definire. Alcune persone sono piú brave di altre a capire le proprie sensazioni.
Riuscí finalmente a bere un po’ di acqua.
− A volte loro stesse si definiscono chiaroveggenti, − aggiunse.
Il sarcasmo rallentò i battiti troppo rapidi del suo cuore.
− E poi questa cosa del fascicolo, − disse Live Smith.
Di nuovo un fugace sorriso ad accompagnare ogni frase, come se la vicepreside cercasse di sminuirsi. Di sminuire ciò che la preoccupava. Come se non bisognasse prenderla troppo sul serio. A Johanne in un’altra situazione sarebbero venuti i nervi per quella gestualità tipicamente femminile, ma al momento era tutta concentrata sul mantenere la voce ferma.
− Il fascicolo su Kristiane, − disse annuendo.
− Sí, il fascicolo è…
Live Smith inspirò e si bloccò, come in cerca dell’espressione meno grave da utilizzare. Sparito. Andato perduto. Rubato.
− … forse è stato solo scambiato di posto, − concluse infine.
Ma i suoi occhi dicevano tutt’altro.
− Come lo hai scoperto?
− Stavo prendendo un fascicolo diverso dallo stesso cassetto e mi sono accorta che non era chiuso a chiave. Il cassetto, voglio dire. Non che fosse forzato o cose del genere, semplicemente non era chiuso a chiave. Mi sono arrabbiata con me stessa, perché a quanto mi ricordavo ero stata io l’ultima a chiudere tutto a chiave prima delle vacanze di Natale. Ci sono anche dei dati riservati di carattere medico, e io…
Al sorriso questa volta seguí una leggera alzata di spalle.
Johanne non disse nulla.
− Dal momento che non c’erano segni di effrazione né sulla porta, né su armadio e cassetti, ho pensato che si trattasse di una mia dimenticanza. Per sicurezza ho controllato comunque che fosse tutto a posto. E lo era. Tutto tranne il…
− Tranne il fascicolo su Kristiane.
− Esatto.
Johanne sentí l’impulso quasi irresistibile di cancellare quel sorriso dalla faccia della vicepreside.
− Perché non volete fare denuncia alla polizia? – chiese invece.
− Il preside sostiene che non può esserci stata alcuna effrazione. Niente è stato rovinato. Non ci sono segni sulle porte, per lo meno non visibili a occhio nudo. Non è stato rubato nulla. Non che ci siano cose di grande valore in questa stanza, solo il computer, forse.
Rise. Una risatina forzata ad alta voce.
«E la mia bambina?» pensò Johanne. La vita di Kristiane, tutti i suoi esami, le diagnosi e le non-diagnosi, le cure mediche e gli errori, gli sviluppi e le devianze. L’intera vita di sua figlia era stata fiduciosamente registrata e raccolta in un fascicolo messo insieme nel corso di anni e che ora non c’era piú.
− A dire il vero i fascicoli dei bambini sono un tantino piú importanti del suo computer, − commentò Johanne.
Finalmente quel sorriso si spense.
− Ovvio, − disse Live Smith. – Anche per questo mi è sembrato giusto avvisarti. Forse però ha ragione il preside e si tratta di un mio errore. Vedrai che il fascicolo spunterà fuori oggi stesso. Ho solo pensato che… vista la sensazione che ho avuto, e dato che tu lavori in polizia…
− Io non lavoro in polizia. Sono assunta dall’Università.
− Sí, certo. È tuo marito che lavora in polizia, il padre di Kristiane.
Johanne non aveva voglia di rettificare un’altra volta. Si alzò dalla sedia e lanciò un’occhiata alla stanza sul retro adibita ad archivio.
− Hai fatto bene ad avvisarmi, − disse. – Potrei vedere l’archivio?
− L’archivio?
− L’archivio, sí.
− A dire il vero solo il preside e io possiamo… Come ti ho detto, abbiamo regole molto severe in fatto di…
− Voglio guardarlo e basta! Non toccherò nessun fascicolo!
La vicepreside si alzò. Senza una parola andò alla porta, scelse la chiave giusta dal grosso mazzo che aveva e aprí. Tastò la parete interna accanto allo stipite di sinistra. Sul soffitto un neon dalla luce intensa crepitò e lampeggiò per poi finalmente assestarsi su un costante ronzio ad alta frequenza.
− È quello lí, − disse succinta, indicando con un gesto della mano.
Due delle pareti erano completamente occupate da armadi, grigi armadi metallici smaltati con ante. Johanne osservò quello che la vicepreside le aveva indicato. La serratura sembrava piuttosto robusta. Lei si avvicinò ancor di piú, sbirciò da sopra gli occhiali.
− C’è un piccolo graffio, qui, − disse dopo qualche secondo. – È nuovo?
− Un graffio? Fammi vedere.
Insieme si misero a studiare la serratura.
− Io non vedo niente, – disse Live Smith.
− Qui, − insistette Johanne, puntandoci sopra una penna. – Un po’ di traverso. Vedi?
Live Smith si chinò in avanti. Quando strizzava gli occhi il labbro superiore si contraeva facendola somigliare a un topolino zelante.
− No…
− Ma sí, qui.
− Io non vedo niente!
Johanne sospirò e si raddrizzò.
− Potresti aprirlo, per favore? – le chiese.
Questa volta Live Smith cedette senza alcuna discussione. Il grosso mazzo di chiavi tintinnò di nuovo e qualche secondo dopo l’anta si aprí. L’interno era suddiviso in sei cassetti, ognuno dotato di una propria chiave e serratura.
− Questo è il cassetto in cui era conservato il fascicolo di Kristiane, − disse la vicepreside indicando quello piú in alto.
Pur con tutta la sua buona volontà, Johanne non riuscí a scovare alcuna traccia di effrazione. Osservò quella piccola serratura da ogni lato. L’armadio era vecchio, sí, con qualche graffio sullo smalto qua e là, ma la serratura sembrava intatta.
− Grazie, − mormorò.
Live Smith richiuse a chiave.
− Ecco, − disse sollevata. – Mi dispiace davvero tanto averti allarmata senza motivo.
− No, no, − ribatté Johanne con un sorriso forzato. – L’ho detto e lo ripeto, è sempre meglio essere previdenti. Grazie.
Aveva ormai raggiunto la porta quando si rese conto di avere ancora addosso il giaccone. Sentiva molto caldo, stava quasi sudando.
− Avvisami se il fascicolo salta fuori, − le disse.
− Quando salterà fuori, − la corresse con una risata la vicepreside. – Naturalmente. Fra l’altro, volevo anche dirti che è davvero una gioia vedere i grandi progressi di Kristiane.
Fu come se quella donna di mezza età fosse andata incontro a un cambiamento di personalità. Niente piú sorrisi sciocchi. E le mani, che fino a quel momento avevano giocherellato nervosamente con i capelli ravviandoli dietro le orecchie, rimasero tranquille, posate in grembo quando si sedette. Johanne restò in piedi.
− È una ragazza affascinante, − proseguí Live Smith. – Come ne abbiamo tante qui, certo, ma la cosa davvero speciale di Kristiane è l’imprevedibilità nella sua grande prevedibilità. Abbiamo avuto molti autistici in questa scuola, ma…
− Kristiane non è autistica, − disse rapida Johanne.
Live Smith si strinse nelle spalle.
Ma non sorrise.
− Autistici, afflitti da sindrome di Asperger o semplicemente… speciali. Ha ben poca importanza come si decide di chiamarli....