La mattina, mentre si sveglia, egli si concede gradualmente alla coscienza della sua soddisfazione: vuole riacquistarla a tratti insieme agli elementi consueti e domestici del risveglio ed insieme fonderla nelle cose che ritrova fino alla composizione della propria sorte. Egli è ormai davanti a una giornata vera, ad una vittoria che sarà ancora piú vera, che si precisa nella esistenza sicura delle cose, del loro fisico, e che si pone in quel sistema perfetto che tra esse è stabilito e che gli appare come un’altra prova del motivo della sua soddisfazione.
La sera prima, anzi ormai durante la notte, egli ha completato in un attimo esaltante i calcoli di una invenzione straordinaria: portare la macchina elettronica alla quale lavora, nell’ufficio progetti di una grande industria, addirittura a quintuplicare le sue prestazioni e ad ottenere risultati che nessun’altra macchina al mondo può ancora raggiungere.
Egli ha coltivato la sua invenzione in segreto e per molto tempo, dedicandovisi completamente fuori e dentro la fabbrica, tenendo sempre a fianco di ogni sua idea, discorso e comportamento, una specie di soprapensiero, una seconda colonna, nella quale appuntare volta a volta ogni novità. Non ha mai dubitato che la sua ricerca potesse essere inutile; egli sapeva di non fuggire, attraverso l’ansia della sua scoperta, dalla sua realtà o da qualche insufficienza od ostacolo della sua vita: la coscienza della sua vittoria è una soddisfazione piena e sicura, che egli può calcolare e che considera un punto di partenza verso responsabilità nuove, che potrà avere e condurre fino a diventare uno dei progettisti piú importanti dell’industria.
Egli, il progettista, il perito elettronico, Annibale Rama, intende quel giorno dichiarare la sua invenzione e illustrare il suo progetto, e i calcoli relativi, al capo dei progettisti dell’azienda; è fiducioso e in tutte le cose che ha intorno trova lo specchio di questa fiducia; anzi, ogni cosa, essa stessa, ed anche il sistema nella quale è collocata, sono la prova della fermezza e dell’esattezza delle sue convinzioni ed aumentano con il loro apporto materiale, quasi con il loro peso, la sua fiducia.
È felice; ma la felicità è un elemento costante della sua vita e di tutti i suoi rapporti: con la moglie ed il piccolo figlio, con i colleghi, con ogni fatto sociale: felicità come intelligenza, armonia, attenzione alle cose, critica delle circostanze, possibilità d’intervento.
Quella stessa mattina arriva nell’industria in compagnia di molti altri ed entra, con confidenza seppure con rispetto, nei locali squadrati, da cattedrale, dell’elettronica. Arriva al suo posto, controlla le sue carte, guarda le macchine enormi e mansuete, ma anche misteriose, e dopo un giro intorno ad esse, fa domanda di parlare con il progettista capo. Viene ammesso al colloquio e comincia ad esporre il suo progetto. Prima ancora che arrivi a qualche illustrazione tecnica che possa dimostrare l’originalità della sua invenzione, il progettista lo blocca con discorsi generici e banali sui rapporti tra ricerca e industria, tra industria ed esigenze di mercato, industria e costi, industria e possibilità di realizzazione, lavoro umano ecc. Egli insiste, perché ha fiducia nell’uomo che gli sta di fronte, oltre che nella sua invenzione. Quindi non avverte, durante il discorso, nessuna necessità di cautela e quelle banalità non gli sembrano degne di un uomo dalla posizione del suo capo; per cui le combatte con convinzione e con ingenuità credendo di dover aiutare il capo stesso a liberarsene: ma alla fine è trascinato a scontrarsi.
Lo scontro avviene anche perché nel frattempo sono entrati nello studio del direttore altri progettisti, degli applicati subalterni colleghi di Rama. Il servilismo è presente in quest’ambiente nelle forme tradizionali e consuete a qualsiasi gerarchia. Alla fine, la direzione dell’industria che ha già costruito una serie di calcolatori non può accettare l’idea di modificarli rimandandone la presentazione sul mercato e la vendita. Il progetto di Rama, anche se possibile, richiederebbe, a detta dei progettisti e dei tecnici, almeno un anno di studio e di realizzazione e richiederebbe, cosa ancora piú difficile, che nel frattempo la fabbrica non vendesse le sue macchine, sobbarcandosi oneri impossibili, assentandosi dal mercato fino a squalificarsi commercialmente.
Rama dice: «Non sono d’accordo su queste previsioni e penso che in sei mesi la mia variante potrebbe essere non solo studiata ma anche fabbricata». «Un prototipo, forse» dice il progettista. «No, – risponde Rama, – almeno la serie sufficiente a modificare tutte le macchine già pronte».
«Ma sarebbe una serie imperfetta, qualora poi fosse possibile costruire sulla base di un progetto cosí approssimativo! Non vi è disegno, come non vi è studio dei materiali, delle tecnologie necessarie, dei tempi di lavoro. Le mie previsioni sono precise: occorrerebbe un anno di studi per poi arrivare con novanta probabilità su cento alla conclusione che questa variante è impossibile. Forse è ingegnosa, allettante, come l’idea che l’uomo possa trovare un terzo occhio, ma impossibile!»
Rama dice: «L’uomo è divino e non può avere, purtroppo, un terzo occhio, ma questa macchina la costruiamo noi e quindi potremmo davvero darle un terzo occhio: non facendolo tradiremmo anzi il nostro lavoro e lo scopo della ricerca che è dell’industria».
Lo scontro è inevitabile e Rama viene invitato a calmarsi, ma egli reagisce ingenuamente, quanto teatralmente. È un inventore e si sente tale, e lo diventa romanticamente, davanti a quelli che lo giudicano, con non molta scienza e con pochissima carità.
Annibale si erige nella sua sorpresa e dice: «Costruirò la mia macchina da solo». «Bene, – gli risponde il progettista, – provi». «Posso farlo qui dentro?» «No, qui occorre lavorare seriamente». «Allora – dice Annibale – quello che accade qui dentro non mi interessa piú».
«Che cosa vuol dire?»
«Vuol dire che mi dimetto».
«Va bene, decida come vuole, ma adesso questi problemi non sono piú tecnici. Si rivolga ad altri nell’azienda per farsi esonerare».
«Sí, – dice Annibale, – mi farò liberare». Ha una leggera pausa e poi aggiunge: «Starò qui ancora 30 giorni per completare il lavoro che ho in corso, secondo le vostre disposizioni».
Da quel momento comincia freneticamente a disegnare e a costruire il suo meccanismo, nelle ore d’intervallo, alla mattina, alla sera, a casa, servendosi di tutto, di parti dei giocattoli del figlio come degli utensili domestici della moglie. Costruisce una macchina, una piccola macchina che si muove, si snoda, che oscilla e che morde l’aria con un ritmo e con un’aggressività che convincono della sua forza. Fra Annibale e questa macchina c’è un’intesa perfetta: la macchina gli risponde quasi fosse un cagnolino e si inserisce nella vita domestica come quarto elemento. Mentre la famiglia mangia, la macchina attende sul pavimento o in un angolo della tavola. Dopo un mese il suo corpo è fatto: Annibale è riuscito a completarla il giorno stesso in cui deve lasciare la fabbrica. Si tratta ora di sperimentarla sul corpo del grande calcolatore elettronico, per vedere se davvero con questa aggiunta esso migliorerà fino a dare quei risultati che Annibale ha calcolato e dichiarato.
La notte del giorno in cui ha lasciato l’azienda, Annibale si ripresenta davanti alla fabbrica; egli si avvicina ai cancelli sicuro seppure furtivamente, con guanti, cappello, una grossa sciarpa. Ha in mano una cassa lunga, nera, modellata stranamente come può essere l’astuccio di un grosso strumento musicale. Riesce ad entrare nella fabbrica, ad infilarsi nel settore dei calcolatori elettronici, dove scintillano i bianchi angoli di macchine misteriose, dalle quali sprigiona una luce consistente, che si allarga come un pensiero. Con il fare rapido e con la sicurezza di un ladro o di un chirurgo Annibale raggiunge il posto che ha stabilito: si spoglia e si accosta al grande calcolatore: ne smonta alcuni pezzi, rapidamente, e li accosta sul pavimento; apre il suo astuccio e tira fuori la sua macchina e comincia a montarla. Man mano che i pezzi della sua macchina sono ricomposti li inserisce a fianco del calcolatore, come un ramo in piú. Questo lavoro rapido e sicuro si svolge per tutto il corso della notte. Poco prima dell’alba ha montato la macchina ed allora si accosta al calcolatore, lo avvia, imposta furiosamente un’operazione e poi attende mentre la macchina procede: il suo rumore è preciso, i suoi indici si muovono; ogni parte funziona perfettamente, sincronizzata, attiva: le sue luci si spengono e si accendono, i suoi fili vibrano, le sue tastiere sono tese e le fessure che stanno sulla sua faccia appaiono avide, pronte a mordere; nastri perforati si svolgono lungo i fianchi; alla fine arriva una scheda portatrice del risultato. Annibale mette in tasca la scheda, smonta la sua macchina, la ricompone dentro l’astuccio, esce dalla fabbrica appena in tempo; riprende la sua automobilina e torna a casa.
Il giorno dopo, con il risultato ottenuto, compila numerose schedine del Totocalcio. Attende tranquillo la domenica, seduto in poltrona, con la macchina ai piedi. La macchina ha funzionato perfettamente ed il risultato è giusto. Controllati i suoi 98 tredici, che gli fanno ottenere quasi tutto il monte premi, i giorni seguenti va a incassare, travestendosi opportunamente in modo da non essere riconosciuto come unico vincitore. Con questa enorme somma di denaro ordina all’industria, che ha dovuto abbandonare, un calcolatore e tutto il materiale elettrico che gli occorre.
Egli intende costruire da sé e possedere la macchina che ha progettato; con questo strumento potrà realizzare, fino in fondo, i suoi progetti: diventerà l’uomo piú forte della terra.
Un giorno, un camion della ditta avanza lentamente intorno a casa sua, cerca nelle strade vicine il grande ufficio o la grande banca che ha potuto commissionare un calcolatore; finché gli autisti e il tecnico che li accompagna controllano che il numero civico scritto sulla bolletta corrisponde a quello della sua piccola casa, l’ultima di una bassa periferia, accostata ad un vecchio cascinale. La moglie ed il figlio, perché Annibale non possa essere visto e riconosciuto dagli uomini dell’industria, prendono in consegna il calcolatore e indicano di depositarlo sul prato, davanti a casa e in parte dentro il garage, e dentro la rimessa e nel cortile del vecchio cascinale.
Da quel momento Annibale comincia a costruire la sua macchina. La moglie è partecipe della vicenda e lo asseconda perfettamente, ed è anch’essa, in fondo, una piccola macchina al servizio di Annibale, con qualche civetteria particolare, che egli non riesce a controllare e a prevedere, e che è la costante novità del loro amore ed anche lo stimolo per le sue ricerche; il modo di atteggiare gli occhi, la bocca, il naso, le fossette, gli strilletti e le paroline, sono le cose che danno ad Annibale, insieme con i 5 miliardi di anni luce di lontananza dell’ultima stella conosciuta, il senso della profondità dell’universo. La stessa profondità egli l’avverte nella cattiveria e nei dispetti del figlio, nelle sue meravigliose invenzioni, nei giochi e negli attacchi al mondo reale e circostante, negli attacchi alla terra, agli alberi, agli animali, agli insetti.
Annibale lavora e la macchina è praticamente in funzione per tutta la giornata. La moglie è anche lei gloriosa di questa macchina, una parte della quale entrando nel giardino le invade perfino la cucina. Presto la macchina funziona e pare intendersi con Annibale in modo diretto e con un linguaggio a lei sconosciuto che la ingelosisce: allora una volta si avvicina ai manometri e fa una boccaccia alla macchina che funziona.
Finché la costruzione complessa è pronta: gli ultimi relè sono stati collegati. Annibale può preparare le prime operazioni. Dopo aver fatto queste operazioni si diverte con la famiglia per una mezza giornata a ricavare risultati domestici per esempio sul numero delle gocce di pioggia che cadono sul loro tetto in un anno o il numero delle volte che ciascuno sorride o che sorridono tutt’insieme. Dopo comincia a preparare le grosse operazioni che ha chiare in mente, segnate in un libro che è sempre sul tavolo davanti alla parte centrale della macchina.
Comincia a impostare le operazioni: si tratta di fare tutti i pronostici possibili per il lotto, il Totocalcio, l’Enalotto, il Totip, le lotterie di prossime estrazioni, le roulettes, le corse dei cavalli, le corse dei cani, cosí per gli stessi avvenimenti in altre parti d’Europa ed in America. Per prevedere i risultati delle corse dei cavalli, per esempio, egli nell’operazione imposta il peso del cavallo, dei finimenti, del fantino, il pedigrí del cavallo, le probabilità statistiche di vittoria del fantino, la densità della nebbia, la velocità dei venti, la pesantezza del terreno e infiniti altri dati. Per esempio, per le partite di foot-ball egli imposta tutto sulle ultime composizioni statistiche dei risultati, poi sulle squadre, fino a calcolare, per esempio della partita di Trieste, la forza della bora ecc. Cosí per ogni altro avvenimento.
Finché comincia a dar corso all’operazione pratica. La macchina lavora ed egli aspetta: i risultati che ottiene sono sempre precisi.
Comincia a vincere dappertutto, in maniera totale. Non riesce quasi piú a tener dietro alle riscossioni. Ha comperato perfino un camioncino per andare in giro a ritirare le somme delle vincite. Accumula tutto il denaro nella vecchia rimessa accanto alla casa, dalle porte sconnesse e dal tetto semi-sfondato.
Un piccolo ladro del vicinato comincia a seguire le sue uscite, i suoi strani giri e travestimenti: finché vede un sacco pieno di banconote e pensa che Annibale sia un falsario. Il ladro si avvicina alla rimessa e guarda la montagna immensa del denaro: lire sterline, franchi, dollari, marchi ecc.
Annibale lo sorprende in quel momento e il ladro dice: «L’industria è buona, e la quantità della produzione è davvero sbalorditiva! Ma credo che non sia conveniente puntare sulla quantità, ma sulla qualità! È meglio fabbricare pochi dollari, ma farli bene, piuttosto che questa montagna di carta! Immagina lei a spacciarla tutta?»
Il ladro è gentile e sensato ed Annibale lo associa alla sua impresa. Gli dà molto denaro e gli spiega che quel denaro è buono ma che non serve a niente da solo, come non servirebbe a niente spenderlo per stare bene e divertirsi. Invece con quel denaro, quando egli avrà raggiunto la somma necessaria, costruirà una grande industria per fabbricare i piú grandi calcolatori elettronici del mondo, i piú grandi ed anche i piú piccoli, di tipo domestico, che servano alle famiglie, ad ogni uomo, per risolvere i propri problemi di calcolo, di previsione e di programmazione.
Il ladro va via con una parte di quel denaro, ma ormai è stato affascinato da Annibale e dalla sua idea e torna ad associarsi.
Con l’aiuto del ladro Annibale dispone di una doppia capacità di gioco di riscossione e di immagazzinamento del denaro.
Sono due i camioncini che viaggiano ed in breve tempo la rimessa è piena di moneta.
A questo punto Annibale smette le operazioni di gioco ed incomincia a studiare i nuovi programmi da impostare nella macchina per sapere dove esattamente, in Italia, potrà essere costruita la fabbrica dei calcolatori. Imposta nozioni geografiche, geofisiche, storiche, economiche, sociologiche, artistiche, antropologiche, nozioni di igiene, scolarità, abitudini, criminalità ecc., nozioni sui venti, sull’umidità, sulla neve, sulle precipitazioni, finché affida il programma alla macchina. La macchina lavora piú del solito, quasi consapevole dell’importanza delle sue risposte. Ed ha quasi un travaglio, finché dà il risultato e indica la vallata del Metauro, tra Urbino, Urbania e Fermignano: là esisterebbero le condizioni ambientali favorevoli, che vanno dal clima alla gentilezza degli uomini, al numero sufficiente di disoccupati giovani e con buone caratteristiche di intelligenza, attitudini, scolarità ecc. I disoccupati da interessare all’impresa sono 347, in età dai 18 ai 28 anni. Di ognuno di questi la macchina ha dato un profilo: età, peso, scolarità, malattie, altezza ecc.
Con queste 347 cartelle Annibale parte, insieme alla famiglia alla scoperta del luogo e degli uomini. Si sistema a Urbino e muovendosi nel territorio incontra e scopre, giorno per giorno, i 347 individui.
Appena essi hanno dichiarato uno dei loro dati, giacché Annibale non ha i nomi, egli è già in grado di ricostruire tutti gli altri e citarli allo stesso interessato: quanto pesa, quanto è alto, le scuole fatte, le malattie avute, quanto sono alti i suoi genitori ecc.
Finché, preso contatto con tutti i 347, illustra la sua idea, singolarmente o a gruppi, di costruire insieme a loro un’industria per la costruzione di calcolatori elettronici.
A ciascuno di essi versa in contanti la somma di cinque milioni e per questo fa arrivare camion e rimorchi sigillati guidati dal ladro. Con i cinque milioni ognuno deve istruirsi, viaggiare, soddisfare le esigenze che lo turbano, pagare i vecchi debiti, togliersi anche i desideri inappagati, prepararsi cioè a lavorare con tranquillità e coscienza nella fabbrica da impiantare: dopo un anno Annibale tornerà a iniziare i lavori. Nel frattempo egli studierà i progetti della fabbrica, che poi verrà discussa anche nella sua architettura, insieme a quelli che vi entreranno a lavorare.
Annibale sa già che dei 347 interpellati si ripresenteranno l’anno dopo soltanto 222. Non sa quali sono questi 222, perché dalla macchina non ha avuto i nomi.
Quando si ripresenta all’appuntamento presso un caffè di Urbino nel campo mercatale ha fatto preparare 222 seggiole ed un rinfresco per 222. Ma all’ora indicata arrivano solo 22 persone. Annibale aspetta insieme alla moglie, al figlio e al ladro. Aspetta ma alla fine le persone sono solo 22: gli altri sono spariti, ciascuno con i suoi cinque milioni: hanno comprato un podere o una casa o sono emigrati, o si sono trasferiti verso la marina, oppure accontentati e nascosti. Hanno dimostrato l’avidità, lo scarso spirito di iniziativa, l’egoismo, l’incertezza, la furberia di tanti.
I 22 che si sono presentati sono giovani e fiduciosi. Annibale è sgomentato ed ha paura quando capisce che non arriveranno altri; è spaventato ed abbattuto non soltanto per l’ingratitudine umana, ma anche perché la sua macchina, sulla quale egli ha puntato tutto e nella quale crede con tutta la fiducia e proprio in senso morale, ha dato un risultato inesatto.
Allora consegna ai 22 altri denari, lasciando sospeso ogni rapporto con loro. Se non tornerà, godranno di quei soldi.
Egli parte e si ripresenta davanti al prototipo della macchina come ad una sfida. Imposta di nuovo l’operazione, minuziosamente, punto per punto, rimettendo dentro tutto: venti, correnti, umidità, nozioni geografiche, storiche ecc. Mentre la macchina lavora corre in giro a guardare intorno, ogni parte, attento, ogni particolare, segue il flusso dei meccanismi, correndo anche nella rimessa intorno alla macchina nel giardino. Finché si accorge che una fila di formiche avanza in ordine e cammina, come evidentemente aveva già fatto l’altra volta, attraverso un percorso naturale, abitudinario, e ormai storico, su uno dei fili piú delicati che sono esposti sul fianco della macchina oltre la rimess...