
- 112 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Il bassotto e la Regina
Informazioni su questo libro
Platone è un bassotto canterino e un po' poeta, con il coraggio di una tigre. La Regina è un'orgogliosa levriera afghana dagli occhi obliqui. Sembrerebbe un amore impossibile. Ma nelle favole - e forse non solo - niente è impossibile, perché in fondo «l'aspetto è solo un caso, è l'anima il destino». Melania Mazzucco ci appassiona e ci commuove col piú classico dei generi, regalandoci una favola intensa e luminosa sul potere dei sogni impossibili e sulla magia che a volte la vita regala. «Era sinuosa, aggraziata, col musino appuntito e il pelo folto come un tappeto di lana. Era il cane piú elegante che avessi mai visto e capii subito che avrebbe spezzato il cuore del bassotto».
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Informazioni
Il bassotto e la Regina
Vi voglio raccontare la storia di un mio amico. Aveva il muso a punta, le zampe corte e la coda a pennello. Folte sopracciglia sugli occhi neri e un mantello di pelo duro a foderargli la schiena. Era sempre spettinato, come se avesse preso un colpo di vento. Aveva la barba, anche se era molto giovane. Usciva di casa tre volte al giorno: al mattino presto, nel tardo pomeriggio e la sera prima di andare a dormire. Non sapeva che si può vivere in un altro modo. Era un cane da salotto. Quelli come lui sono nati per fare compagnia agli uomini, come i peluche ai bambini. Hanno paura di restare soli, del buio e della notte. Tutto il resto del tempo lo passava scorrazzando per l’appartamento, seduto dietro la porta ad aspettare che il suo padrone rientrasse, oppure affacciato alla ringhiera del balcone, a guardare giú in strada. Guardava il semaforo, la vetrina del ristorante cinese, il chiosco dei giornali, i piccioni che becchettavano le briciole sul marciapiede e il gatto del macellaio, che presidiava la soglia del negozio. Guardava anche i lampioni, e quando si accendevano uggiolava di tristezza. Se vedeva passare un cane, lo salutava, lanciando un richiamo festoso, ma quello teneva il muso a terra per annusare gli odori lasciati dagli altri sulle gomme delle macchine e non si accorgeva di lui. A dirla tutta, era solo come un cane.
Quando il suo padrone lo aveva comprato si chiamava Gongolo, come il nano della favola di Biancaneve, ma quel nome non gli piaceva, e lo aveva ribattezzato Platone. In omaggio a un greco vissuto qualche millennio fa, un aristocratico, un pensatore che aveva immaginato il mondo e l’aveva raccontato con parole da poeta. Il suo padrone era appassionato di filosofia e diceva che Platone è la coscienza dell’universo. Il mio amico era felicissimo del suo nome strano e se ne vantava parecchio con tutti i cani che incontrava – che si chiamavano semplicemente Truciolo, Lilli o Pallina. Essere piccolo non è una colpa e nemmeno un destino, e lui pensava di non essere un bassotto come tutti gli altri, anche se non sapeva perché.
Quando il bassotto e il padrone uscivano insieme, la gente si voltava a guardarli. Perché erano buffi. Platone minuscolo che non gli arrivava ai polpacci, l’altro alto come una giraffa, magro come una foglia. Platone, allegro di carattere, salutava tutti. Il padrone – che si chiamava Yuri – distratto, con la musica nelle orecchie e gli occhiali perennemente appannati. Platone tirava il guinzaglio, correva, voleva andare al parco. Ma Yuri era sempre di fretta, lo portava al primo lampione, faceva il giro dell’isolato, e buona notte.

Non vorrei mettere Yuri in cattiva luce. Amava il suo cane piú di ogni cosa al mondo. Lo aveva cresciuto come una madre, perché glielo avevano regalato per premio quando era ancora al liceo. Altri ragazzi preferiscono la microcar o il motorino, Yuri invece aveva voluto il cucciolo. Lo teneva sulle ginocchia quando studiava, gli ripeteva le lezioni, lo faceva dormire sul suo cuscino, gli parlava di tutto, gli confessava i suoi sogni. Da quando era andato a vivere da solo, però, e seguiva i corsi all’università, aveva poco tempo per lui. E Platone soffriva la sua assenza. La sera, Yuri accendeva il computer, si metteva davanti alla webcam e parlava con la sorella che era andata a studiare in America. Mentre parlavano, il bassotto era accoccolato sulle sue ginocchia e Yuri gli carezzava la schiena. Le orecchie drizzate, ascoltava le voci, e partecipava alla conversazione, anche se i due ragazzi non lo stavano mai a sentire.
Una sera di dicembre, al supermercato, il padrone incontrò una ragazza. Dovete sapere che fu proprio il bassotto a farli conoscere, perché Yuri era entrato a comprare il latte, e lo aveva legato all’ingresso. Cominciò a piovere e la ragazza bionda, vedendo quel cagnetto solo e infreddolito sotto la pioggia, gli si era avvicinata e lo aveva riparato col suo ombrello. Grazie, signorina, disse il bassotto. Era un cane di buona famiglia, e aveva ricevuto un’educazione come si deve. La ragazza bionda non capí e non disse niente: si vergognava a farsi vedere mentre parlava con un cane. Però le dispiaceva andarsene, perché si era messo a piovere forte. Rimase immobile, con l’ombrello aperto a riparare il bassotto dalla pioggia, finché Yuri non uscí dal supermercato. Per ringraziarla, lui si offrí di aiutarla con le buste della spesa e le chiese se abitava da quelle parti, perché non l’aveva mai vista. La ragazza bionda rispose che era appena arrivata – ma non disse né dove abitava né da dove veniva. Anche se lei non glielo aveva chiesto, Yuri disse che invece abitava in quel palazzo rosa, all’angolo della strada, e che anche lui era arrivato da poco, cioè da quando si era iscritto all’università. Studiava filosofia. Filosofia? chiese la ragazza bionda. E perché? Il bassotto, geloso dei sorrisi che Yuri faceva a una sconosciuta, cominciò a zampettare, tirando il guinzaglio, e Yuri tirava a sua volta dalla parte opposta. Se usciamo insieme, una sera, disse Yuri, magari te lo spiego. La ragazza bionda rise perché, per trattenere il bassotto, Yuri era incespicato, e adesso lui e Platone erano tutti e due col sedere zuppo in una pozzanghera.
Dovete sapere che Yuri – alto alto, magro come un fiammifero, coi capelli lunghi sempre spettinati e gli occhiali – era di quelli che le ragazze trovano simpatico, e la terza volta che escono insieme gli dicono che preferiscono restare amici. Cosí Yuri si innamorava e non si dichiarava mai, per paura di rovinare tutto. Le ragazze gli raccontavano le loro pene di cuore, e quando lui tornava a casa diceva al bassotto che sarebbero rimasti sempre insieme, e sarebbero invecchiati l’uno accanto all’altro, soli, tutti e due, perché al mondo nessuno capiva la loro anima. Platone sentiva la tristezza nella sua voce e per consolarlo gli leccava le mani e gli diceva di non disperare. Ma Yuri non capiva i discorsi del cane. Mica tutti conoscono le lingue, come me.
Yuri uscí tre volte con la ragazza bionda che disse di chiamarsi Ada, anche se forse non era vero, e Platone pianse – perché fino ad allora il padrone non lo aveva mai lasciato solo di sera. I bassotti non capiscono quanto si può essere liberi quando si è soli. Rimaneva sveglio finché Yuri non rientrava. Ada non gli disse che preferiva restare sua amica, e Yuri si innamorò di quella misteriosa ragazza bionda, di cui non sapeva nulla, come non si era mai innamorato in vita sua. Il cuore gli galoppava nel petto, e doveva sempre ripetere il nome di lei, per calmarsi. Di notte la sognava, e il sogno era cosí bello e cosí vero che a volte afferrava il bassotto, come se volesse abbracciarlo, e si svegliavano tutti e due terrorizzati. Cosa sognava il bassotto invece non lo so perché non me lo ha mai detto.
Quando arrivarono le vacanze di Natale, Ada gli disse che non si sarebbero visti per un po’, perché doveva partire. Yuri insisteva per sapere dove andava, ma lei non voleva dirglielo, e alla fine buttò là che andava in crociera con gli amici. Yuri rimase molto sorpreso, perché non immaginava che Ada avesse i soldi per una crociera con gli amici. Anzi, siccome aveva avuto l’impressione che lei guadagnasse molto poco, per non offenderla – costringendola a spendere soldi inutilmente – quando erano usciti insieme non erano mai andati al ristorante o al cinema e si erano limitati a camminare per ore, uno accanto all’altra, tanto che rientrava a casa stanco morto. Yuri comunque le chiese come si chiamava la nave, e Ada disse: Prince. Allora Yuri andò in un’agenzia di viaggi e disse che voleva iscriversi alla crociera sulla nave Prince.
Il bassotto protestava brontolando, perché era molto abitudinario, e quella era l’ora della passeggiata – l’ora dei lampioni, delle gomme e degli incontri sul marciapiede con gli altri cani. L’agente di viaggi gli spiegò che la crociera sulla nave Prince era la piú costosa del Natale, e Yuri disse: va bene lo stesso. Firmò il contratto senza neanche leggerlo e saldò con la carta di credito che gli aveva dato sua madre per pagarsi gli studi. Già stava per alzarsi quando si ricordò di chiedere se poteva portare un cane di piccola taglia. Ma sulla nave non c’era posto per i cani. È molto piccolo, insisté Yuri, prendendo Platone in braccio, lo vede, è un bassotto. Entra in una borsa, è abituato a stare con la gente, non dà fastidio a nessuno. È vero, abbaiò Platone, sono un cane di mondo, amo la compagnia. Niente cani, rispose l’agente di viaggi, seccamente, è una crociera molto esclusiva.
Yuri cercò di piazzare Platone dalla madre, ma la madre raggiungeva la sorella in America, impossibile far fare dodici ore d’aereo al bassotto. E poi era furiosa perché Yuri al venti del mese aveva già speso tutti i soldi e non le aveva neanche detto perché. Allora Yuri cercò di piazzare il bassotto dal padre, che però doveva già pensare ai casi suoi, avendo una nuova moglie, due bambini e la suocera in carrozzella cui badare. Chiese aiuto anche al suo migliore amico, ma quello a Natale andava a fare snowboard, e non poteva certo portare Platone sulle Alpi. Yuri stava per partire, e non sapeva dove mettere il bassotto. Ti voglio bene, gli diceva, quando la sera navigavano davanti al computer, ma ad Ada di piú. Sarà la mia ragazza, o nessuna sarà la mia ragazza. Alla fine lasciò le chiavi di casa al portiere, lo pagò per portare fuori il cane tre volte al giorno e dargli da mangiare, e partí.
La notte di Natale il bassotto se ne rimase sul balcone, a guardare le macchine giú in strada e a salutare con abbaio festoso i rari cani che passavano. È inutile che ti consumi la voce, gli dissi, non vogliono fare amicizia, ognuno pensa ai fatti suoi. Lui alzò il muso verso di me, sorpreso. Dovete sapere che sono verde, e quando mi nascondo tra le foglie della magnolia non mi si vede subito. Dovete anche sapere che volo, e mi muovo continuamente, perciò non è facile capire dove mi trovo. Alla fine mi individuò, e rimase pietrificato. I pappagalli li aveva sempre visti in gabbia. Minuscoli, tristi, prigionieri. Io invece sono nata libera.
Buonasera, signora, disse quando si fu ripreso dallo stupore. Ma come parli? gli risi in faccia, non sono vecchia e non sono la tua padrona: dammi del tu. Ma le auguro ugualmente buona sera, in fondo è Natale, per Yuri e per tutti gli uomini è una sera speciale, anche se non so perché. Troppe cose non sai, giovanotto, gli dissi, un po’ sprezzante, perché a quel tempo non lo conoscevo bene, e non pensavo che un bassotto avesse il cuore di una farfalla e il coraggio di una tigre. Lasci che mi presenti, mi chiamo Platone, come un filosofo greco che era un po’ lo Spirito dell’Universo. Lo so, dissi, io so tutto.
Com’è che la capisco, signora? mi interruppe a un tratto. Era un cane riflessivo e intelligente. Cane e padrone a forza di stare insieme si assomigliano. Se Platone avesse potuto dare gli esami all’università, si sarebbe laureato pure lui.
Ho girato il mondo, risposi con noncuranza, parlo molte lingue. E la lingua dei cani è facile. E qual è la piú difficile? mi chiese il bassotto, incuriosito. Quella degli uomini? Lui li ascoltava da quando era nato, ormai la loro lingua era la sua. Prima aveva imparato a distinguere i nomi, gli ordini, le frasi semplici. Infine tutto, perfino il lessico della filosofia. Ma le parole, quelle non riusciva a dirle. Le parole sono come la musica. La comprendi, ti trafigge il cuore, ma se non conosci l’armonia non potrai mai riprodurla. E il bassotto avrebbe tanto voluto poter dire le parole degli uomini.
La piú difficile è la lingua dei topi – lo delusi –, i topi diffidano dei forestieri e parlano un gergo cifrato. Platone mi chiedeva della lingua dei passeri, dei gabbiani e delle zanzare, perché aveva l’impressione che tutti quegli uccelli e quegli insetti intorno a lui volessero dirgli qualcosa, e sapessero cose che lui non sapeva. Ma io non volevo raccontargli i miei segreti. Domattina alzati prima che l’ultima stella tramonti, bassotto, lo avvisai, una novità ti aspetta. Bella o brutta? mi chiese allarmato. Era un cane abitudinario, aveva paura dei cambiamenti. Vedrai, gli dissi, e volai via.
La Regina fu scaricata dal camion all’alba. A quell’ora, il giorno di Natale, per strada non c’era nessuno. E cosí doveva essere. Perché la Regina entrò di contrabbando – come tutti i suoi sventurati compagni di viaggio. Il Tatuato aveva preso in affitto la cantina nel palazzo di Platone da qualche mese, ma non si faceva mai vedere perché ci andava solo col buio, dopo la chiusura della portineria, e solo quando là sotto aveva ospiti. Era un giovane tozzo, col cranio rasato, muscoloso come un sollevatore di pesi, con le braccia ricoperte di tatuaggi che rappresentavano leoni, aquile e pantere, tanto che quando gesticolava quello zoo pareva animarsi. Era un tipo sospetto, per capirlo bastava spiare i suoi traffici notturni: ma gli uomini non sono curiosi come me, e preferiscono farsi gli affari loro.
Tre energumeni scesero dal camion e scaricarono sul marciapiede decine di scatole di ...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Il bassotto e la Regina
- Il libro
- L’autrice
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