La neve che cadeva su Egertorget appariva giallastra sotto i riflettori della Scientifica che illuminavano la scena del crimine.
Harry e Halvorsen erano fermi davanti alla birreria 3 Brødre e osservavano i curiosi e i giornalisti che si accalcavano contro le recinzioni della polizia. Harry si tolse la sigaretta di bocca e diede un colpo di tosse cavernoso e umido.
– Un sacco di giornalisti, – disse.
– Sono arrivati in fretta, – commentò Halvorsen. – Del resto, siamo proprio a due passi dalle redazioni.
– Una notizia che farà vendere! Un omicidio subito prima di Natale, nella via piú famosa della Norvegia. La vittima, nota a tutti, è il ragazzo che stava di fianco alla marmitta dell’Esercito della Salvezza mentre suonava una band. Cosa possono chiedere di piú?
– Un’intervista con il celebre investigatore Harry Hole?
– Per il momento restiamo qui, – disse Harry. – Sappiamo quando è avvenuto l’omicidio?
– Poco dopo le sette.
Guardò l’orologio. È circa un’ora fa. Perché nessuno mi ha chiamato prima?
– Non ne ho idea. Il capo mi ha chiamato che mancava poco alle sette e mezzo. Pensavo fossi già qui…
– Quindi mi hai telefonato di tua iniziativa?
– Be’, sei tu l’ispettore, in fondo.
– In fondo, – borbottò Harry gettando il mozzicone, che sprofondò sotto il bianco manto poroso fino a scomparire.
– Tra breve tutti i reperti tecnici saranno sepolti sotto mezzo metro di neve, – disse Halvorsen. – Come al solito.
– Non ci saranno reperti tecnici, – disse Harry.
Videro Beate venire verso di loro con i capelli biondi imbiancati di fiocchi. Teneva tra le dita un sacchettino di plastica con un bossolo vuoto.
– Sbagliato, – disse Halvorsen con un sorriso trionfante.
– Nove millimetri, – disse lei con una smorfia. – La munizione piú comune che ci sia. E non abbiamo altro.
– Dimentica quello che abbiamo o non abbiamo, – ribatté Harry. – Qual è stata la tua prima impressione? Non riflettere, rispondi a caldo.
Beate sorrise. Era quello l’Harry che conosceva. Prima l’intuito, poi i fatti. Perché anche l’intuito è un fatto, fotografa tutte le informazioni fornite dalla scena del crimine che il cervello non riesce a elaborare all’istante.
– Non è che ti posso dire molto. Egertorget è la piazza piú trafficata di Oslo, quindi abbiamo una scena del crimine molto inquinata anche se siamo arrivati venti minuti dopo il delitto. Comunque sembrerebbe il lavoro di un professionista. Ora il medico sta esaminando la vittima. Pare sia stata colpita da un solo proiettile. Dritto in fronte. Un professionista. Sí, ho questa impressione.
– Qui ci basiamo sulle impressioni, ispettore?
Tutti e tre si girarono verso la voce dietro di loro. Era Gunnar Hagen. Indossava una giacca militare verde e un berretto di lana nero, e aveva un sorriso appena accennato agli angoli della bocca.
– Le proviamo tutte, capo, – rispose Harry. – Come mai qui?
– Non è dove è avvenuto l’omicidio?
– Per cosí dire, sí.
– Mi sembra di capire che Bjarne Møller preferisse stare in ufficio. Io invece sono convinto che un capo debba stare sul campo. Hanno sparato piú di un colpo? Halvorsen?
Halvorsen trasalí.
– Non sembrerebbe, stando ai testimoni con cui abbiamo parlato.
Hagen mosse le dita dentro i guanti. – Abbiamo un identikit?
– È stato un uomo –. Lo sguardo di Halvorsen si spostò da Hagen a Harry. – Per ora non sappiamo altro. La gente stava guardando la band e tutto è successo molto in fretta.
Hagen tirò su col naso. – Con una folla del genere ci sarà stato pur qualcuno che ha visto bene l’uomo che ha sparato!
– Probabile, – rispose Halvorsen. – Ma non sappiamo ancora dove fosse l’assassino.
– Capisco –. Di nuovo quel sorriso ironico.
– Era proprio davanti alla vittima, – precisò Harry. – Distante al massimo due metri.
– Prego? – Hagen e gli altri due si girarono verso di lui.
– Il nostro killer sapeva che se vuoi uccidere qualcuno con un’arma di piccolo calibro, gli devi sparare alla testa, – spiegò Harry. – Dato che ha usato un solo proiettile, era sicuro del risultato. Ergo, doveva essere cosí vicino alla vittima da poter vedere il foro nella fronte ed essere sicuro di non aver fallito. Se esaminate gli abiti, dovreste trovare dei residui di polvere da sparo, il che proverebbe quello che sto dicendo. Due metri al massimo.
– Uno e mezzo, – precisò Beate. – La maggior parte delle pistole scarica i bossoli sulla destra, ma non molto lontano. Questo è stato trovato calpestato nella neve a centoquarantasei centimetri dal cadavere. E ci sono fili di lana bruciacchiati sulla manica del cappotto della vittima.
Harry guardò Beate. Non apprezzava soltanto la sua innata capacità di ricordarsi i volti delle persone, ma anche la sua intelligenza, il suo zelo e la stupida convinzione che aveva anche lui, quella di svolgere un lavoro importante.
Hagen batté le scarpe sulla neve. – Brava, Lønn. Ma chi mai potrebbe aver avuto interesse a far fuori un ufficiale dell’Esercito della Salvezza?
– Non era un ufficiale,– rispose Halvorsen, – ma un soldato semplice. Gli ufficiali sono assunti, mentre i soldati sono volontari o lavorano a contratto –. Aprí il blocchetto degli appunti. – Robert Karlsen. Ventinove anni. Single, senza figli.
– Ma non senza nemici, a quanto sembra, – aggiunse Hagen. – Tu cosa ne pensi, Lønn?
Beate, nel rispondere, non si rivolse a Hagen, ma a Harry: – Forse non volevano colpire lui come persona.
– Dici sul serio? – Hagen sorrise. – E chi altri, allora?
– Magari l’Esercito della Salvezza.
– Cosa te lo fa pensare?
Beate alzò le spalle.
– Opinioni controverse,– suggerí Halvorsen. – Omosessualità. Sacerdozio femminile. Aborto. Forse un fanatico…
– Preso nota,– concluse Hagen. – Mostratemi il cadavere.
Beate e Halvorsen lanciarono un’occhiata interrogativa a Harry, che fece un cenno di assenso a Beate.
– Cavoli, – esclamò Halvorsen quando Hagen e Beate se ne furono andati. – Si direbbe proprio che il capo abbia deciso di guidare le indagini…
Harry si tormentava il mento, immerso nei suoi pensieri, mentre osservava i nastri della polizia al di là dei quali i flash dei fotografi illuminavano l’oscurità invernale. – Un professionista, – disse.
– Come, scusa?
– Beate pensa che l’assassinio sia opera di un professionista. Dunque partiamo da lí. Qual è la prima cosa che fa un professionista dopo l’omicidio?
– Fugge?
– Non necessariamente. Ma di certo si libera di tutto ciò che può collegarlo all’omicidio.
– L’arma del delitto.
– Esatto. Voglio che siano controllati tutti i contenitori, cassonetti, bidoni e cortili nel raggio di cinque isolati da Egertorget. Adesso. Chiedi rinforzi, se necessario.
– Okay.
– E fatti mandare tutte le registrazioni delle telecamere di sorveglianza dei negozi in zona subito prima e subito dopo le 19.
– Chiedo a Skarre di occuparsene.
– E un’altra cosa. Il «Dagbladet» segue l’organizzazione dei concerti e scrive articoli sugli eventi. Controlla se un loro fotografo ha scattato immagini del pubblico.
– Giusto. Non ci avevo pensato.
– Poi mandale a Beate e dille di dare un’occhiata. E domani mattina, per le 10, voglio tutti gli investigatori in sala riunioni nella zona rossa. Li contatti tu?
– Sí.
– Dove sono Li e Li?
– Stanno interrogando i testimoni in centrale. Un paio di ragazze che erano proprio di fianco all’assassino quando ha sparato.
– Okay. Chiedi a Ola di procurarsi una lista dei familiari e degli amici della vittima. Cominceremo da lí per capire se qualcuno aveva un movente.
– Mi sembrava avessi detto che si tratta del lavoro di un professionista, o no?
– Dobbiamo valutare tutte le ipotesi, Halvorsen. E partire da quelle piú ovvie. Di regola, i familiari e gli amici sono facilmente rintracciabili. E otto omicidi su dieci sono commessi…
– … da qualcuno che conosce la vittima, – concluse Halvorsen sospirando.
Furono interrotti da una voce che chiamava Harry Hole. Si voltarono in tempo per vedere i giornalisti che si precipitavano verso di loro.
– Inizia lo show, – disse Harry. – Mandali da Hagen. Io faccio un salto in centrale.
Dopo aver fatto il check-in del bagaglio al banco della compagnia aerea, si diresse verso i controlli di sicurezza. Si sentiva al settimo cielo. Aveva svolto l’ultimo lavoro. Era talmente di buon umore che si azzardò a fare uno scherzo. Quando estrasse la busta blu per mostrare il biglietto, la donna della Securitas fece segno di no con la testa.
– Cellulare? – gli chiese in norvegese.
– No. – Mise la busta sul ripiano tra lo scanner a raggi X e il metal detector; mentre si sfilava il cappotto in lana di cammello, si accorse che aveva ancora il fazzoletto rosso attorno al collo; se lo tolse e lo mise in tasca, sistemò il cappotto nel contenitore che gli porse il funzionario e passò attraverso il metal detector osservato attentamente da altri due addetti alla sicurezza. Contando anche l’uomo della Securitas che controllava con aria distratta il cappotto sullo schermo e quello alla fine del nastro trasportatore, erano cinque gli addetti incaricati di badare che lui non avesse con sé nulla che potesse essere utilizzato come arma a bordo dell’aereo. Una volta superato il metal detector, si rimise il cappotto e tornò a riprendere il biglietto sul ripiano. Nessuno lo fermò e lui proseguí oltre le guardie. Sarebbe stato davvero un gioco da ragazzi introdurre illegalmente un coltello nascondendolo nella busta. Arrivò nella grande hall delle ...