Steve Carella ammiccò al primo sole del mattino, maledicendosi per non aver abbassato le tapparelle la sera prima. Poi si girò sul fianco sinistro. Il raggio di sole lo seguí implacabile, correndo sul lenzuolo con strisce nere e dorate. «Come nelle celle dell’87º distretto, – pensò Carella. – Dio Santo! Il mio letto è diventato una prigione!»
«No, non sono leale a pensare cosí», si disse subito.
«Presto sarà tutto finito… Solo, vorrei proprio che ti sbrigassi, Teddy».
Puntellandosi su un gomito si sollevò a guardare la moglie addormentata. Teddy. Si chiamava Theodora, ma lui l’aveva sempre chiamata Teddy. «La mia piccola Teddy. Come sei cambiata, amore». Ne studiò il viso incorniciato dai capelli neri che spiccavano spavaldi sul guanciale bianco. Gli occhi chiusi erano sottolineati da ciglia folte. Le labbra morbide accennavano a un leggero sorriso. La gola scendeva dolce verso la curva del seno, poi…
«Amore, sembri una montagna! – pensò Carella. – Stupenda, per la verità, ma pur sempre una montagna. Tesoro, da quanto tempo non ti stringo forte?»
«Steve, smettila, – si disse. – Piantala, perché questo genere di pensieri non fa bene a nessuno».
Guardò ancora il viso soave di Teddy.
Steve Carella, il piú scapolo fra gli ammogliati di sua conoscenza!
«Be’, il bambino dovrebbe arrivare alla fine di questo mese al massimo, – pensò. – Oh, buon Dio! Ma la fine del mese è la prossima settimana! Siamo già alla fine di giugno? Eh, sí! Come vola il tempo quando la sera non si ha altro da fare che andarsene a letto a dormire! Chissà se sarà maschio. Anche una bambina mi piacerebbe, ma mio padre scatenerebbe un putiferio e probabilmente per lui sarebbe una macchia al suo onore, e a quello dell’Italia, se il suo unico figlio maschio avesse quale primo erede una bambina!
«Quali sono i nomi che abbiamo preso in considerazione?
«Ah, già, Mark se è maschio e April se è una bambina. Il mio vecchio ha fatto il diavolo a quattro anche sui nomi, perché doveva avere in mente qualcosa come Rodolfo o Serafina.
«Oggi è il giorno del matrimonio, – gli venne in mente di colpo. – Benone! Sono il piú sconsiderato fratello maggiore del mondo! Sto qui a pensare ai miei desideri forzatamente repressi mentre la mia sorellina sta per fare il grande tuffo! Però, se la conosco soltanto un po’, la mia Angela ha la mente occupata dai propri pensieri, perciò siamo pari».
In quel momento squillò il telefono.
Carella sussultò e guardò subito Teddy pensando per un attimo che il suono l’avrebbe svegliata: poi si diede dello stupido, dal momento che lei era sordomuta e quindi immune alle piccole noie della civiltà come il telefono.
– Sto arrivando! – gridò rivolto allo squillo insistente. Buttò le lunghe gambe giú dal letto. Carella era alto, con le spalle larghe e la vita stretta, senza un grammo di grasso. A torso nudo, scalzo, si avviò verso l’apparecchio telefonico con la sua caratteristica andatura da atleta: sollevò il ricevitore, augurandosi che la chiamata non provenisse dal distretto. Sua madre avrebbe avuto una crisi se lui fosse mancato al matrimonio.
– Pronto? – disse.
– Steve?
– Sí. Chi parla?
– Sono Tommy. Ti ho svegliato?
– No, no. Ero già sveglio! – Una pausa. – Come si sente stamattina lo sposo novello?
– Io… Steve, sono preoccupato.
– Oh, no! – disse Carella. – Non starai per caso progettando di lasciare mia sorella ad aspettarti inutilmente sull’altare, vero?
– Niente del genere, Steve. Ma… senti, potresti venire un momento da me?
– Vuoi dire prima di andare in chiesa?
– No! Vorrei vederti adesso.
– Adesso? – Carella corrugò la fronte. In tutti gli anni passati nella polizia, gli era capitato di sentire un sacco di voci preoccupate o ansiose al telefono. Sulle prime aveva attribuito il particolare tono di Tommy alla normale agitazione che prende tutti la mattina del proprio matrimonio, ma adesso sentiva che c’era qualcosa di piú. – Cosa ti è successo? – domandò.
– Non voglio parlarne per telefono. Puoi venire qui?
– D’accordo, – rispose. – Il tempo di vestirmi.
– Grazie, Steve, – disse Tommy, e riappese.
Carella rimise a posto il ricevitore e per qualche minuto restò a fissare l’apparecchio con espressione pensosa. Poi entrò in bagno per lavarsi. Tornato in camera da letto, abbassò completamente la tapparella perché il sole non svegliasse Teddy. Si vestí e scrisse un biglietto, e prima di uscire si chinò ad accarezzare la moglie e ad appuntare la sua nota sul guanciale. Quando se ne andò, Teddy dormiva ancora.
Tommy Giordano viveva da solo, in una casetta di sua proprietà situata all’estrema periferia di Riverhead, a cinque chilometri circa dall’abitazione di Carella. Tommy era un veterano della guerra di Corea e mentre combatteva al di là dell’oceano gli era piombata addosso una tragedia. In un’epoca in cui ogni genitore americano con un figlio in guerra si preoccupava costantemente del pericolo rappresentato dalla giungla e dai proiettili nemici, e in cui ogni soldato si preoccupava delle cariche della cavalleria mongola accompagnate dal rullare dei tamburi e dagli squilli delle trombe, in un’epoca come quella era difficile pensare che anche la vita negli Stati Uniti presentasse i suoi rischi. Tommy aveva dovuto rendersene conto all’improvviso.
In uno squallido giorno di pioggia, il suo capitano l’aveva fatto chiamare alla tenda piantata nel fango dove alloggiava il comando. Con la maggior delicatezza possibile l’ufficiale aveva informato Tommy che entrambi i suoi genitori erano morti il giorno prima in un incidente d’auto e che lui poteva partire subito in aereo per assistere ai funerali. Tommy era figlio unico. Tornò in patria a guardare per l’ultima volta le uniche due persone che fino a quel momento avesse amato su questa terra, poi l’esercito si incaricò di riportarlo in Corea. Da allora, per tutta la durata della guerra, Tommy visse isolato e affranto. Quando fu congedato, tornò negli Stati Uniti, nella casa che gli avevano lasciato i suoi. Fino all’incontro con Angela Carella, aveva avuto un solo amico, che conosceva da molti anni.
E una sera, Tommy pianse fra le braccia di Angela, versando tutte le lacrime che aveva dovuto frenare quando vestiva l’uniforme. Dopo quello sfogo si sentí meglio. Adesso Tommy Giordano era un piacevole giovane di ventisette anni con un sorriso disarmante e spigliato.
Aprí la porta non appena Steve suonò, come se fosse stato lí dietro ad aspettare lo squillo del campanello.
– Entra, Steve, – disse. – Sono contento che tu sia venuto. Vieni avanti. Vuoi bere o mangiare qualcosa?
– Bere alle nove del mattino? – ribatté Steve.
– È cosí presto? Temo di averti svegliato, Steve. Mi dispiace. Non avrei voluto disturbarti. Come cognato comincio proprio bene!
– C’è qualcosa che non va, Tommy?
– Siediti, Steve. Vuoi una tazza di caffè? Hai fatto colazione?
– Un caffè lo prendo volentieri.
– Bene. Preparerò anche qualche toast. Senti, Steve, mi dispiace davvero di averti buttato giú dal letto.
– Non mi avrai chiamato solo per offrirmi un caffè, spero.
– No. No, c’è dell’altro. Sono un po’ preoccupato, a dir la verità. Non per me, ma per Angela. Voglio dire che non riesco a capire.
– Capire che cosa?
– Ecco, come ho detto… Senti, vuoi venire un momento in cucina? Parleremo mentre preparo il caffè e i toast. Non ti secca?
– Niente affatto.
Carella sedette al tavolo della cucina e si accese una sigaretta. Tommy cominciò a misurare il caffè da macinare.
– Non sono riuscito a dormire tutta la notte, – riprese Tommy. – Ho cominciato a pensare alla luna di miele, a quando saremo soli. Come devo comportarmi, Steve? Lo so che si tratta di tua sorella e che non dovrei fare una domanda simile proprio a te perché… Insomma, non so come fare. Io le voglio molto bene. Non vorrei ferirla o offenderla in nessuna maniera.
– Non la offenderai affatto, – rispose Steve. – Rilassati, Tommy. Ricordati soltanto che anche lei ti ama, che stai per sposarla e che vivrete insieme il resto della vostra vita.
– Senti, ti dirò la verità. Anche questo mi fa un po’ paura.
– Per carità, Tommy! – esclamò Steve. – Adamo ed Eva non avevano nessun manuale da consultare, eppure hanno fatto tutto alla perfezione!
– Già. Spero che sia cosí anche per noi. Sí, lo spero proprio. Solo vorrei sapere cosa diavolo devo dirle! – Un’espressione tragica passò sulla faccia del giovane e Carella ne fu divertito.
– Forse non avrai bisogno di dirle niente, – rispose. – Può darsi che capisca lo stesso.
– Lo spero… – Tommy poggiò la caffettiera sul gas, poi mise a tostare due fette di pane. – Ma non ti ho telefonato solo per questo. C’è qualcos’altro.
– Di che cosa si tratta?
– Be’, ti ho già detto che non ho chiuso occhio tutta la notte? Ecco: mi sono alzato piuttosto presto e sono uscito a prendere il latte. Il lattaio lascia la bottiglia fuori della porta. Prima, subito dopo il militare, andavo a prenderlo direttamente al negozio, ma adesso mi servo della consegna a domicilio. Si spende un po’ di piú ma…
– Continua, Tommy, – lo invitò Steve.
– Sí, be’, mi sono chinato a prendere il latte e ho visto una scatola per terra. Proprio vicino alla porta.
– Che tipo di scatola?
– Una scatoletta. Molto piccola. Come quelle degli orefici. Dove si mettono gli anelli, sai? Allora l’ho presa; c’e...