Tecnica, medicina ed etica
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Tecnica, medicina ed etica

Prassi del principio responsabilità

  1. 288 pagine
  2. Italian
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Tecnica, medicina ed etica

Prassi del principio responsabilità

Informazioni su questo libro

Il "principio di responsabilità" esercita la sua giurisdizione tra i due estremi della condizione umana, la natalità e la mortalità. Ed è a questioni di nascita e di morte che viene qui applicata la macroetica per la civiltà tecnologica di Hans Jonas. In questi saggi il filosofo privilegia le tematiche inerenti all'ambito della bioetica medica, discutendo i problemi connessi alla sperimentazione su soggetti umani e alla manipolazione genetica, alla nuova definizione di morte e alle tecniche di fertilizzazione in vitro, al prolungamento artificiale della vita e al diritto di morire.

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Informazioni

Capitolo ottavo

Cloniamo un uomo: dall’eugenetica all’ingegneria genetica

Da qualche tempo, con l’avvento della biologia molecolare, le scienze biologiche sono entrate nello stadio in cui il potenziale della tecnologia e dell’ingegneria di tutte le altre scienze moderne inizia a diventare anche per esse attuale. Una nuova capacità bussa alla porta del regno vivente, costituzione fisica dell’uomo inclusa. Le possibilità pratiche che una simile capacità offre possono dimostrarsi tanto irresistibili quanto lo sono state quelle dei rami meno recenti della tecnica, ma questa volta faremmo bene a riflettere fin dall’inizio sulle prospettive e non farci sorprendere dal nostro potere, come è sempre accaduto finora. Il controllo biologico dell’uomo, in particolare il controllo genetico, solleva questioni etiche del tutto nuove alle quali né la pratica né il pensiero precedenti ci hanno preparato. Dal momento che è nientemeno la natura dell’uomo a ricadere nella sfera di potere degli interventi umani, la prudenza diviene il nostro primo precetto morale e un’approfondita riflessione sulla base di ipotesi il nostro primo compito. Considerare le conseguenze prima di agire non è altro che normale prudenza. In questo caso, particolare saggezza ci impone di andare oltre e di esaminare l’eventuale uso delle capacità, anche prima che esse siano pronte per essere usate. Un risultato prevedibile di tale esame potrebbe essere il consiglio di non permettere di portare a compimento alcuni generi di capacità, cioè di sospendere le linee di ricerca che conducono a esse, tenendo conto dell’estrema facilità con cui l’uomo si lascia sedurre da qualunque capacità una volta in suo possesso. E potrebbe essere anche qualcosa di piú di un semplice consiglio, se per la natura della cosa conseguire questa capacità richiede già nel corso della ricerca quelle stesse azioni (sotto forma di «esperimenti») che l’esame dimostra inammissibili nell’uso finale della capacità stessa: se, in altre parole, si può acquisire tale capacità soltanto esercitandola realmente su «materiale» autentico. A ciò si aggiunge che questo esercizio si realizza di necessità in forma di «prova ed errore» e, cioè, soltanto tramite manipolazioni imperfette e la loro lezione potremmo costruire la teoria che consente manipolazioni biologiche in prevalenza prive di errore, fatto che già da solo sarebbe sufficiente a proibire l’acquisizione di quest’arte, anche se i frutti che ci si attendono da essa una volta acquisita fossero leciti.
Interferire nella libertà della ricerca presenta i suoi problemi etici. Ma questo è niente rispetto alla gravità delle questioni etiche davanti a cui ci pone il successo che da questa ricerca ci si attende. Doversi prospettare sin dall’inizio il problema di un arresto volontario può dare la misura dell’eccezionalità dei pericoli che una ingegneria biologica, giunta a piena maturazione e autorizzata dalla società, può far incombere su di noi. Per lo meno stiamo in guardia. È necessario ricorrere alle risorse estreme della nostra ragione morale per trattare questa che è la piú delicata di tutte le questioni in un’epoca in cui la teoria etica è purtroppo piú che mai insicura di se stessa. In questa situazione, per giunta in assenza di precedenti e di fronte a uno status ancora ampiamente ipotetico del problema, la riflessione sui suoi aspetti etici che seguirà può essere solo cauta e provvisoria.
1. La novità della tecnica biologica.
Chiediamoci innanzitutto: in che senso è possibile parlare di tecnica biologica in analogia o per differenza rispetto alla restante tecnica o «ingegneria»? L’ingegnere meccanico, che costruisce i compositi artefatti strumentali per ben definiti scopi a uso dell’uomo, costituisce il caso esemplare. Il fabbricare (a cui qui ci riferiamo) per assemblaggio un tutto stabile e sistematico è bene espresso dalla parola «costruire»: costruzione di macchine, di ponti, di navi. In questo caso il progetto include la modificazione di modelli già esistenti, e cioè l’ulteriore sviluppo o lo specifico adattamento alla finalità del progetto di precedenti opere di quest’arte, cosicché, ad esempio, si può parlare per traslato di «generazioni» susseguentesi di computer, aerei di linea o armi atomiche (nel senso di un susseguirsi di perfezionamenti o di altri progressi). Lo scopo finale è sempre qualche vantaggio da parte di un utente, dunque un presunto bene per l’uomo, e fosse pure l’uccisione di uomini da parte di altri uomini.
Finora la tecnica ha avuto a che fare con materie inanimate (di solito metalli), da cui creava mezzi non umani a uso dell’uomo. La divisione era netta: l’uomo era il soggetto, la «natura» l’oggetto di dominio tecnico (il che non escludeva che l’uomo in modo mediato divenisse oggetto della sua applicazione). L’avvento della tecnica biologica che si estende, modificandoli, ai «progetti» delle specie viventi, tra cui in linea di massima anche al progetto del genere umano, segna un radicale allontanamento da questa netta divisione, una frattura di significato potenzialmente metafisico: l’uomo può essere l’oggetto diretto della propria ingegneria, e precisamente in relazione alla sua costituzione fisica ereditaria. Ma anche senza applicarla proprio all’uomo e a prescindere dalle questioni metatecniche che cosí si sollevano, la tecnologia organica è in sé diversa per significativi aspetti formali da quella meccanica.
1. Come prima differenza indichiamo la misura del «produrre», che è in gioco da entrambe le parti. Nel caso di una costruzione meccanica con materia inanimata il produrre percorre l’intero cammino dalla materia prima al prodotto finito, che è composto interamente di parti indipendenti. Sia la struttura del tutto sia ciascuna delle sue parti sono prodotte a piacimento partendo da un progetto; soltanto la materia informe esiste già. Progettazione e produzione in questo caso sono dunque totali. La tecnica biologica invece cerca di modificare strutture preesistenti, la cui realtà autonoma e la cui morfologia sempre già completa – gli organismi in questione – sono il dato a priori; il loro «progetto» (ovvero la forma, l’organizzazione) deve essere trovato, non inventato, affinché poi, in qualcuna delle sue corporizzazioni individuali, esso diventi oggetto di «perfezionamento» inventivo1. Tale perfezionamento è legato al campo d’azione di un sistema già altamente determinato di funzioni interne interscambiabili e condizionato a mantenerne la capacità vitale. Abbiamo cosí una «produzione» parziale (e molto marginale) invece che totale, la modificazione di un progetto invece che la progettazione de novo, e il risultato è un artefatto soltanto per una piccola parte della sua composizione, mentre nella sostanza rimane ancora la creazione originaria della natura.
2. Ne deriva un’importante differenza qualitativa nel rapporto tra il «fare» e il suo substrato. Nel caso della materia inanimata chi produce è l’unico agente nei confronti del materiale passivo. Nel caso degli organismi un’attività s’imbatte in un’altra attività: la tecnica biologica collabora con l’attività propria di un «materiale» attivo, con il sistema biologico che funziona secondo natura, cui si deve incorporare un nuovo elemento determinante. Glielo s’impone, ma anche glielo si consegna. La sua integrazione con la totalità degli elementi determinanti originari riguarda già il sistema stesso, che può accettare o rifiutare questo ingrediente e, anche qualora lo accetti, lo farà a modo suo. Ci si serve della sua autonomia come di un partner attivo per conseguire la modificazione desiderata. L’atto tecnico ha la forma dell’intervento, non della costruzione.
3. Ciò influisce sull’importante questione della prevedibilità. Nella normale costruzione di materie stabili e omogenee il numero delle incognite è praticamente nullo e l’ingegnere può prevedere con esattezza le proprietà del suo prodotto (altrimenti non ci affideremmo al suo ponte). Solo per questo è possibile, partendo viceversa dalle proprietà desiderate, determinare sulla base di calcoli la scelta della costruzione. Per l’«ingegnere» biologico, che deve accollarsi in certo qual modo «a scatola chiusa» l’enorme complessità degli elementi determinanti, esistenti e in parte nascosti, con la loro dinamica autonoma, il numero delle incognite nel progetto generale è invece enorme. Il «progetto» in massima parte non è dunque suo e una porzione indeterminata di esso non gli è nota. A questa X deve affidare la sua quota di partecipazione alla totalità delle cause agenti. La previsione del suo destino in questo tutto si limita perciò a un indovinare e la progettazione in massima parte a uno scommettere. L’intenzionale riprogettazione, modificazione o perfezionamento di un organismo di fatto non è niente di piú che un esperimento, e un esperimento dai tempi tanto lunghi – almeno in campo genetico – che il suo risultato finale (quando univocamente identificabile) di solito non può essere verificato dallo sperimentatore stesso.
4. Ciò a sua volta cambia del tutto il rapporto tradizionale tra semplice esperimento e azione reale. Nella normale tecnologia gli esperimenti non sono vincolanti, si effettuano con modelli sostitutivi che si possono modificare o distruggere a piacere, testare e ritestare, prima di ottenere nel processo di produzione un modello alla fine approvato: solo allora la cosa diventa vincolante. Nessuna di tali sostituzioni del «come se» al reale è concessa nella manipolazione genetica, meno che mai sull’uomo. Affinché l’esperimento sia valido deve aver luogo sull’originale stesso, sull’oggetto reale e autentico nel senso piú pieno. E ciò che qui si colloca tra l’inizio e la conclusione definitiva dell’esperimento è la vita reale di individui e forse di interi popoli. Ciò annulla la distinzione tra semplice esperimento e azione definitiva. La rassicurante separazione tra i due è scomparsa e con essa l’innocenza dell’esperimento a sé stante. L’esperimento è l’azione reale, e l’azione reale è un esperimento.
5. A ciò occorre aggiungere la caratteristica dell’irreversibilità, che distingue i processi organici da quelli meccanici. Nella costruzione meccanica tutto è reversibile. Le modificazioni strutturali della materia organica sono irreversibili. In pratica ne consegue che l’ingegneria tradizionale può correggere in ogni momento i suoi errori, allo stadio sia di progettazione sia di collaudo, sia anche in seguito; persino i prodotti finiti e già messi in commercio, ad esempio le automobili, possono essere rimandati in fabbrica per eliminare qualche loro difetto. Ciò non accade nella tecnica biologica. Le sue azioni non sono revocabili in nessuno dei suoi passi. Quando i suoi risultati si palesano è troppo tardi per correggerli. Ciò che è fatto è fatto. Non si possono rimettere in cantiere persone o ridurre a rottame intere popolazioni. In effetti che cosa si debba fare con gli inevitabili incidenti dell’intervento genetico, con gli errori, gli esseri deformi – se dobbiamo introdurre nell’equazione umana il concetto di «scarto», al quale alcune delle forme di intervento genetico prese in esame ci costringerebbero – sono questioni etiche che occorre esaminare e a cui occorre rispondere prima che si possa compiere anche solo un passo in questa direzione.
6. Il fatto che la manipolazione biologica si muoverà principalmente sul piano genetico comporta un’ulteriore distinzione rispetto alla normale tecnologia. Nelle macchine non c’è niente di paragonabile alla riproduzione e alla trasmissione ereditaria. Dal punto di vista del «produttore» è qui che sta la differenza tra relazione causale immediata e mediata con il risultato finale. Nella tecnica genetica il cammino verso la meta è mediato, passa per l’innesto del nuovo fattore causale nella catena ereditaria, che manifesterà l’effetto di tale fattore solo nel succedersi delle generazioni. «Produrre» significa qui lasciare in balía della corrente del divenire, in cui anche il produttore naviga.
7. Qui si pone perciò la questione del potere, che è cosí strettamente legato alla tecnica. Scienza e tecnica – cosí diceva la formula di Bacone – accrescono il potere dell’uomo sulla natura. Naturalmente accrescono anche – fatto non previsto dalla formula – il potere dell’uomo sull’uomo, e anche la sottomissione di alcuni uomini al potere di altri, per tacere della sottomissione di tutti ai bisogni e alle dipendenze creati dalla tecnica stessa. Ma nel complesso è giusta la tesi che collettivamente il potere dell’umanità grazie alla tecnica è cresciuto di continuo, e con tutta certezza nel rapporto con la natura extraumana2. L’imminente controllo dell’uomo sulla propria natura appare come il massimo trionfo di questo potere. In quanto dominata dalla tecnica, la natura ora, d’improvviso, include di nuovo l’uomo, che nella tecnica le si era contrapposto in veste di dominatore. Ma di chi è questo potere, e su chi e che cosa? Chiaramente è il potere dei viventi sui posteri, che sono gli oggetti inermi di decisioni prese in anticipo da chi pianifica oggi. L’altra faccia dell’odierno potere è la futura schiavitú dei vivi nei confronti dei morti. Il potere che qui agisce è del tutto unilaterale, senza che gli risponda una forza opposta nei soggetti a esso esposti, perché essi sono (presumibilmente) sue creature, e qualsiasi cosa facciano (o persino desiderino) a compierla sarà solo la legge loro imposta dal potere che presiede alla loro origine3. Cosí per lo meno vorrebbe la tesi principale della genetica creatrice. In realtà, come si notava prima, il potere, una volta esercitato, sfugge di mano e si muove per le proprie incalcolabili vie nel labirinto della traboccante complessità del vivente, che si oppone a una analisi e a una previsione puntuale. In questo senso il potere, mirato e fatale com’è, è essenzialmente cieco. Ma cieco o veggente, capace o pasticcione, che sia esso solleva l’interrogativo (da cui è esente la tecnica applicata alla materia inanimata) su che diritto abbia qualcuno di predeterminare in tal modo uomini futuri e, pur ammettendo in linea di principio un simile diritto, quale sapere lo autorizzi a esercitarlo. Due diritti sono quindi in discussione, di cui il secondo – quello di esercitare un diritto valido forse in astratto – è legato al possesso del sapere quale sua condizione necessaria. Proprio questo possesso tuttavia potrebbe portare a rifiutare l’ammissione del primo diritto insieme agli obiettivi perseguiti in forza di esso. Ma già arrogarsi un tale sapere è una prova quasi certa della sua assenza.
8. Questo ci porta all’ultimo punto di questo confronto fra tecnica biologica e tecnica tradizionale: al problema degli scopi che si vogliono perseguire. Per valutarli e sceglierli è necessario soprattutto il sapere. Nella tecnica tradizionale lo scopo – anche il piú discutibile – è sempre definito da una qualche utilità. Nessuna costruzione tecnica è il suo proprio scopo. Lo stesso vale anche per la tecnica biologica finché riguarda piante o animali: anch’essi, se si trascura la loro qualità di viventi, sono in quest’ottica cose il cui essere è subordinato alla loro utilità, il cui valore di utilità ha la facoltà e la licenza di essere accresciuto anche a spese del loro essere. Ma «utilità» significa «che serve all’uomo» e, a meno che non si ritenga che gli uomini stessi esistano per servire gli uomini, il senso di utilità di tutta la tecnica presente fino a oggi viene meno di fronte all’attacco tecnologico alla sostanza umano-biologica, alla sua ricostruzione genetica, per esempio. Quali sarebbero allora i suoi scopi? Fin dall’antichità esiste di fatto una scienza rivolta alla parte fisica dell’uomo che potrebbe dircelo: la medicina, il modello di una tecnica che ha mirato all’essere e non all’utilità del suo oggetto. Ma essa mantiene e risana, non modifica e non rinnova. Il suo scopo è la regola dettata dalla natura. Quale può essere allora lo scopo di una ingegneria che si libera da questa regola e inventa sul substrato umano? Di certo non creare l’uomo: quello esiste già. Forse creare un uomo migliore (dal punto di vista organico)? Ma quale sarebbe il metro secondo cui sarebbe migliore? Forse meglio adattato? Ma meglio adattato a che cosa? Incespichiamo in questioni aperte e del tutto metatecniche non appena ci azzardiamo a porre mano «da creatori» alla costituzione fisica dell’uomo stesso. E tutte culminano in quest’unico interrogativo: sulla base di quale modello?
2. I tipi di controllo genetico.
Dobbiamo scendere ora dal generale al particolare e dalla forma al contenuto distinguendo i vari tipi di tecnologia antropobiologica secondo i loro scopi e i loro modi di procedere. Qui ci limiteremo a considerare gli sforzi in campo genetico, ovvero le metodiche manipolazioni di materiale ereditario umano al fine di ottenere nella discendenza caratteri ereditari desiderati, o di eliminare caratteri indesiderati. Può facilmente accadere che gli obiettivi siano suggeriti dalla nuova strada aperta in quella direzione, ovvero da una nuova disponibilità di mezzi, cosí che il metodo viene prima del suo possibile scopo. (Non di rado nella tecnica, come nel resto della prassi, gli obiettivi emergono contemporaneamente alla loro raggiungibilità). Ma anche in questo caso i possibili obiettivi possono servire a classificare i metodi.
In base al loro modo di procedere le tecniche genetiche si possono suddividere in tradizionali e innovative, o anche in praticate già da tempo e sostanzialmente ancora futuribile, il che coincide, in modo abbastanza preciso, con macrobiologia e biologia molecolare. La macrobiologia ha a che fare con interi organismi, per esempio con la scelta dei partner per gli incroci o la selezione dei feti in utero; la biologia molecolare invece con i cromosomi nel nucleo della cellula e con i loro costituenti elementari, le molecole del Dna. Il loro oggetto specifico è il «gene», il singolo membro formato da molecole del Dna nella catena cromosomica che determina o contribuisce a determinare ogni singolo carattere ereditario dell’organismo. La sua modificazione, rimozione, sostituzione nel germe di un futuro organismo provoca dunque un mutamento genetico, ovvero ereditario, dell’organismo stesso. La natura talvolta provoca ciò in modo casuale e non pianificato nelle mutazioni spontanee, sottoposte alla selezione naturale; l’uomo comincia oggi a essere in grado di provocarlo in modo pianificato o anche di fissare caratteristiche già esistenti. Poiché questi fattori ereditari critici hanno la loro sede nel nucleo della cellula, da qualche tempo si può parlare di «biologia nucleare», dove si fa strada l’osservazione che, come la fisica nucleare ha dischiuso tutta una nuova dimensione della fisica e una tecnica a essa funzionale, cosí avverrà anche per la piú giovane biologia nucleare. Entrambi questi nuovi territori hanno, accanto agli esaltanti aspetti teorici, i loro inquietanti aspetti pratici. E questo accade quando ci si spinge al nocciolo delle cose.
La suddivisione delle biotecnologie in...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. TECNICA, MEDICINA ED ETICA
  3. Introduzione di Paolo Becchi
  4. Riferimenti bibliografici
  5. Prefazione
  6. I. Perché la tecnica moderna è oggetto della filosofia
  7. II. Perché la tecnica moderna è oggetto dell’etica
  8. III. Alle soglie del futuro: valori di ieri e valori per il domani
  9. IV. Scienza libera da valori e responsabilità: autocensura della ricerca?
  10. V. Libertà della ricerca e bene pubblico
  11. VI. Al servizio del progresso medico: gli esperimenti su soggetti umani
  12. VII. Arte medica e responsabilità umana
  13. VIII. Cloniamo un uomo: dall’eugenetica all’ingegneria genetica
  14. IX. Microbi, gameti e zigoti: ulteriori riflessioni sul nuovo ruolo di creatore dell’uomo
  15. X. Morte cerebrale e banca di organi umani: sulla ridefinizione pragmatica della morte
  16. XI. Tecniche di differimento della morte e il diritto di morire
  17. XII. Peso e benedizione della mortalità
  18. XIII. Diritti, diritto ed etica: come rispondono all’offerta delle piú recenti tecniche di riproduzione?
  19. XIV. Tecnica, libertà e dovere
  20. Elenco delle fonti
  21. Il libro
  22. L’autore
  23. Dello stesso autore
  24. Copyright