
- 160 pagine
- Italian
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Exit West
Informazioni su questo libro
Nadia e Saeed vogliono tenere in vita il loro amore giovane e fragile mentre la guerra civile divora strade, case, persone. Si narra, però, che esistano porte misteriose che conducono dall'altra parte del mondo, verso una nuova speranza...Mohsin Hamid ha scritto un romanzo tenero e spietato, capace di dare un senso a questi tempi di disorientamento e follia con la potenza visionaria della grande letteratura. Exit West è un libro venuto dal futuro per dirci che nessuna porta può piú essere chiusa.
«In una città traboccante di rifugiati ma ancora perlopiú in pace, o almeno non del tutto in guerra, un giovane uomo incontrò una giovane donna in un'aula scolastica e non le parlò». Saeed è timido e un po' goffo con le ragazze: cosí, per quanto sia attratto dalla sensuale e indipendente Nadia, ci metterà qualche giorno per trovare il coraggio di rivolgerle la parola. Ma la guerra che sta distruggendo la loro città, strada dopo strada, vita dopo vita, accelera il loro cauto avvicinarsi e, all'infiammarsi degli scontri, Nadia e Saeed si scopriranno innamorati. Quando tra posti di blocco, rastrellamenti, lanci di mortai, sparatorie, la morte appare l'unico orizzonte possibile, inizia a girare una strana voce: esistono delle porte misteriose che se attraversate, pagando e a rischio della vita, trasportano istantaneamente da un'altra parte. Inizia cosí il viaggio di Nadia e Saeed, il loro tentativo di sopravvivere in un mondo che li vuole morti, di restare umani in un tempo che li vuole ridurre a problema da risolvere, di restare uniti quando ogni cosa viene strappata via. Con la stessa naturalezza dello zoom di una mappa computerizzata, Mohsin Hamid sa farci vedere il quadro globale dei cambiamenti planetari che stiamo vivendo e allo stesso tempo stringere sul dettaglio sfuggente e delicato delle vite degli uomini per raccontare la fragile tenerezza di un amore giovane. In un certo senso Hamid ha ripetuto per l'oggi quello che i classici dell'Ottocento, ad esempio Guerra e pace, hanno sempre fatto: raccontare l'universale della Storia attraverso il particolare dei destini individuali, riportare ciò che è frammentario, l'esperienza del singolo, alla compiuta totalità dell'umano. Hamid ha scritto un romanzo di attualità sconvolgente, capace di dare un senso a questi tempi di disorientamento e follia con la potenza visionaria della grande letteratura. Con Exit West, Mohsin Hamid ha scritto il suo capolavoro.
«In una città traboccante di rifugiati ma ancora perlopiú in pace, o almeno non del tutto in guerra, un giovane uomo incontrò una giovane donna in un'aula scolastica e non le parlò». Saeed è timido e un po' goffo con le ragazze: cosí, per quanto sia attratto dalla sensuale e indipendente Nadia, ci metterà qualche giorno per trovare il coraggio di rivolgerle la parola. Ma la guerra che sta distruggendo la loro città, strada dopo strada, vita dopo vita, accelera il loro cauto avvicinarsi e, all'infiammarsi degli scontri, Nadia e Saeed si scopriranno innamorati. Quando tra posti di blocco, rastrellamenti, lanci di mortai, sparatorie, la morte appare l'unico orizzonte possibile, inizia a girare una strana voce: esistono delle porte misteriose che se attraversate, pagando e a rischio della vita, trasportano istantaneamente da un'altra parte. Inizia cosí il viaggio di Nadia e Saeed, il loro tentativo di sopravvivere in un mondo che li vuole morti, di restare umani in un tempo che li vuole ridurre a problema da risolvere, di restare uniti quando ogni cosa viene strappata via. Con la stessa naturalezza dello zoom di una mappa computerizzata, Mohsin Hamid sa farci vedere il quadro globale dei cambiamenti planetari che stiamo vivendo e allo stesso tempo stringere sul dettaglio sfuggente e delicato delle vite degli uomini per raccontare la fragile tenerezza di un amore giovane. In un certo senso Hamid ha ripetuto per l'oggi quello che i classici dell'Ottocento, ad esempio Guerra e pace, hanno sempre fatto: raccontare l'universale della Storia attraverso il particolare dei destini individuali, riportare ciò che è frammentario, l'esperienza del singolo, alla compiuta totalità dell'umano. Hamid ha scritto un romanzo di attualità sconvolgente, capace di dare un senso a questi tempi di disorientamento e follia con la potenza visionaria della grande letteratura. Con Exit West, Mohsin Hamid ha scritto il suo capolavoro.
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Informazioni
Otto
La complessità della rete elettrica londinese era tale che qualche sprazzo di luminosità notturna persisteva anche nella zona di Saeed e Nadia, nelle proprietà ai margini del quartiere, vicino alle transenne e ai posti di blocco delle forze armate governative, e in sacche sparse che per qualche motivo erano difficili da disconnettere, e in alcuni rari edifici dove dei migranti ingegnosi si erano allacciati abusivamente a una linea dell’alta tensione ancora attiva, rischiando di morire fulminati e in alcuni casi restandoci secchi per davvero. Quasi ovunque però, intorno a Saeed e Nadia, era buio.
Quand’erano a Mykonos non c’era molta luce, ma la corrente arrivava ovunque ci fossero fili elettrici. Nella città da dov’erano fuggiti, quando la corrente era andata via, era andata via per tutti. A Londra invece c’erano ancora zone luminose come sempre, piú luminose di qualunque altro luogo Saeed e Nadia avessero mai visto, e il bagliore si alzava fino al cielo e veniva riflesso dalle nuvole, perciò le aree buie della città sembravano ancora piú buie, di un buio pregno di significato, un po’ come nell’oceano le zone piú scure sono dovute a un brusco inabissarsi del fondale e non a una minore illuminazione dall’alto.
Dalla Londra buia, Saeed e Nadia si domandavano come fosse la vita nella Londra luminosa dove, immaginavano, la gente cenava in ristoranti di lusso e si spostava su lucidi taxi neri, o quantomeno andava a lavorare in un ufficio o un negozio, ed era libera di spostarsi come le pareva. Nella Londra buia, la spazzatura si accumulava senza che nessuno la raccogliesse, e le stazioni della metropolitana erano chiuse. I treni però continuavano a passare, saltavano le fermate vicine a Saeed e Nadia ma li si sentiva rombare sotto i piedi, una frequenza bassa e potente, quasi subsonica, come un tuono, o lo scoppio di una grande bomba in lontananza.
Di notte, nell’oscurità, mentre i droni, gli elicotteri e i palloni spia si aggiravano a intermittenza nel cielo, ogni tanto scoppiava una rissa, e c’erano anche omicidi, stupri e aggressioni. Alcuni nella Londra buia davano la colpa a provocatori nativisti. Altri davano la colpa ad altri migranti, e cominciavano a spostarsi, come carte ridistribuite dopo che un mazzo è stato mescolato, riaggregandosi con quelli come loro, il simile col simile, o meglio l’apparentemente simile con l’apparentemente simile, tutti quelli con lo stesso cuore, tutti quelli della stessa squadra, tutti i sudanesi, tutti gli honduregni.
Saeed e Nadia non si spostarono, ma la loro casa cominciò lo stesso a cambiare. Fin dall’inizio i nigeriani erano stati il piú numeroso fra i tanti gruppi di residenti, ma ora di tanto in tanto una famiglia non nigeriana se ne andava da qualche altra parte, e quasi sempre il suo posto veniva preso da altri nigeriani, e cosí la loro casa cominciò a essere considerata una casa nigeriana, come anche i due edifici limitrofi. I nigeriani piú anziani fra gli abitanti di quelle tre case si riunivano nel giardino della proprietà alla destra di quella di Saeed e Nadia, in quello che chiamavano il consiglio. Vi partecipavano sia uomini sia donne, ma l’unica persona palesemente non nigeriana a parteciparvi era Nadia.
La prima volta che c’era andata gli altri erano rimasti stupiti, non solo per la sua etnia, ma anche per la sua giovane età. C’era stato un istante di silenzio, ma poi una donna anziana col turbante, che abitava con la figlia e i nipoti nella camera sopra quella di Saeed e Nadia, e che lei piú d’una volta aveva aiutato a salire le scale, essendo quella donna di postura regale ma anche di taglia abbondante, quella donna le fece cenno di andarsi a mettere accanto a lei, accanto alla sedia da giardino su cui era seduta. Questo parve risolvere la questione, e nessuno le fece domande o le chiese di andarsene.
All’inizio Nadia non riusciva a cogliere molto di quel che veniva detto, solo spizzichi e bocconi, ma col tempo cominciò a capire sempre di piú, e capí anche che in realtà i nigeriani non erano tutti nigeriani, alcuni erano mezzi nigeriani, o venivano da paesi che confinavano con la Nigeria, da famiglie che vivevano su entrambi i lati di una frontiera, e poi che forse non esisteva una cosa come i nigeriani, o comunque che non c’era niente che tutti i nigeriani avessero in comune, perché i diversi nigeriani fra loro parlavano lingue diverse, e appartenevano a religioni diverse. In quel gruppo, quand’erano tutti insieme, conversavano in una lingua che si basava sull’inglese, ma non solo sull’inglese, e in ogni caso alcuni conoscevano l’inglese meglio di altri. E parlavano anche diverse varianti dell’inglese, diversi inglesi, perciò, quando esprimeva una sua idea o opinione davanti a loro, Nadia non doveva aver paura che non la comprendessero, perché il suo inglese era come il loro, uno dei tanti.
Le attività del consiglio erano molto terra terra: si decideva riguardo all’attribuzione delle stanze, ad accuse di furto o a comportamenti scorretti, e anche ai rapporti con le altre case lungo la strada. Le discussioni erano spesso prolisse e farraginose, perciò non si trattava di assemblee particolarmente elettrizzanti. Eppure Nadia non vedeva l’ora di andarci. Per lei rappresentavano qualcosa di nuovo, la nascita di qualcosa di nuovo, e poi trovava quelle persone al contempo somiglianti e non somiglianti a quelle che aveva conosciuto nella sua città, al contempo familiari e non familiari, le trovava interessanti, e trovava gratificante il fatto che la accettassero, o quantomeno la tollerassero, lo considerava un successo.
Fra i nigeriani piú giovani Nadia acquisí uno status particolare, forse perché la vedevano in compagnia dei loro anziani, o forse per la sua tunica nera, e cosí i piú giovani fra gli uomini e le donne e i piú grandi fra i bambini e le bambine, quelli che erano sempre pronti a lanciare frecciatine agli altri abitanti della casa, di rado avevano qualcosa da dire a lei, o su di lei, perlomeno in sua presenza. Andava e veniva indisturbata attraverso quelle stanze e quei corridoi affollati, indisturbata da tutti eccetto da una donna della sua età dalla parlantina facile, una donna con una giacca di cuoio e un dente scheggiato, che stava in una posa da pistolero, le anche protese, cintura slacciata e mani sui fianchi, e non risparmiava a nessuno le sue sferzate verbali, i suoi commenti che continuavano a seguirti anche dopo che eri passato oltre.
Saeed invece era piú a disagio. Essendo un giovane uomo, di tanto in tanto gli altri giovani uomini lo stuzzicavano per metterlo alla prova, come sempre accade, e lui lo trovava sconcertante. Non perché non gli fosse mai capitato nel suo paese, gli era capitato, ma perché lí in quella casa lui era l’unico del suo paese, mentre quelli che lo provocavano erano di un altro paese, ed erano molti di piú, mentre lui era solo. Questo muoveva qualcosa di primordiale, di tribale, provocando tensione, e una paura repressa. Non sapeva mai se e quando poteva abbassare la guardia, e di conseguenza, quand’era fuori dalla sua stanza ma dentro la casa, non era quasi mai del tutto tranquillo.
Una volta, mentre era solo, essendo arrivato a casa quando Nadia si trovava a una riunione del consiglio, trovò nel corridoio la donna con la giacca di cuoio che bloccava il passaggio con la sua solita aria smargiassa, la schiena contro una parete e un piede piantato sull’altra. Saeed non lo ammetteva volentieri, ma era intimidito da lei, dalla sua veemenza, dalla rapidità e imprevedibilità delle sue parole, parole che spesso non capiva, ma che facevano ridere gli altri. Si fermò e attese che si spostasse lasciandogli lo spazio per passare. Ma lei non si spostava, e allora lui disse scusami, e lei disse di cosa ti devo scusare, e disse anche altro, ma lui capí solo quella frase. Era arrabbiato che lei facesse quei giochetti con lui, e anche allarmato, e pensò di andarsene e tornare piú tardi. Ma in quel momento si accorse che alle sue spalle c’era un uomo, un nigeriano dall’aria da duro. Saeed aveva sentito dire che quell’uomo aveva una pistola, anche se non gliela vedeva addosso, ma nella Londra buia molti migranti avevano cominciato a portarsi dietro coltelli e altre armi, dal momento che si trovavano in stato d’assedio e in qualunque momento avrebbero potuto essere attaccati dalle forze governative, e in alcuni casi erano già abituati a portare armi, avendole portate nel luogo da dove venivano, e quindi continuavano a portarle, com’era, sospettava lui, il caso di quell’uomo.
Saeed avrebbe voluto scappare, ma non aveva dove scappare, e cercò di celare il suo panico, ma poi la donna spostò il piede dal muro e adesso c’era lo spazio per passare, e allora lui si infilò in mezzo, sfregando col suo corpo contro quello di lei, e sentendosene svirilizzato, e quando fu solo nella camera sua e di Nadia, si sedette sul letto col cuore che batteva all’impazzata, e avrebbe voluto urlare e accoccolarsi in un angolo, ma naturalmente non fece né l’una né l’altra cosa.
Dietro l’angolo, in Vicarage Gate, c’era una casa nota per essere abitata da persone provenienti dal suo paese. Saeed cominciò a trascorrervi sempre piú tempo, attratto dalle lingue e dagli accenti familiari e dal profumo familiare del cibo. Un pomeriggio si trovò lí all’ora della preghiera, e andò a pregare insieme ai suoi compatrioti nel giardino sul retro, sotto un cielo blu di un blu sconvolgente, come il cielo di un altro mondo, privo della polvere che velava l’aria della città dove lui aveva trascorso tutta la vita, e affacciato sullo spazio cosmico da una latitudine piú alta, un diverso punto di vista sulla rotazione terrestre, piú vicino al polo che all’equatore, e quindi rivolto al vuoto da un’angolazione diversa, un’angolazione piú blu, e mentre pregava Saeed sentí che pregare lí era diverso, nel giardino di quella casa, con quegli uomini. Si sentiva parte di qualcosa, non solo qualcosa di spirituale, ma qualcosa di umano, parte di un gruppo, e per un secondo atrocemente doloroso pensò a suo padre, poi un uomo barbuto con due chiazze bianche nel nero ai due lati del mento, chiazze come quelle di un grosso felino o di un lupo, gli mise un braccio sulle spalle e disse fratello vuoi un tè.
Quel giorno Saeed in quella casa si sentí accolto, e pensò di chiedere all’uomo con le chiazze bianche nella barba se lí c’era posto per lui e Nadia, che, disse, era sua moglie. L’uomo rispose che per un fratello e una sorella c’era sempre posto, ma purtroppo non avrebbero avuto una stanza tutta per loro, Saeed avrebbe dovuto dormire con lui e gli altri uomini sul pavimento del soggiorno, sempre che per lui non fosse un problema dormire per terra, mentre Nadia sarebbe stata di sopra con le donne. Sfortunatamente, perfino lui e sua moglie avevano dovuto separarsi, e loro in quella casa erano fra i primi arrivati, ma quello era l’unico modo civile per farci stare cosí tanta gente, com’erano riusciti a fare e com’era giusto fare.
Quando Saeed le diede quella bella notizia, Nadia non la accolse affatto come una bella notizia.
– Perché dovremmo spostarci? – disse.
– Per stare con la nostra gente, – rispose lui.
– E perché quella sarebbe la nostra gente?
– Vengono dal nostro paese.
– Da quello che prima era il nostro paese.
– Sí, – disse Saeed, cercando di non sembrare esasperato.
– Da lí ce ne siamo andati.
– Questo non significa che dobbiamo troncare ogni legame.
– Loro non sono come me.
– Non li conosci neanche.
– Non ne ho bisogno –. Fece un lungo, teso sospiro. – Qui abbiamo una camera nostra, – disse in tono piú dolce. – Solo per noi due. È un grande lusso. Perché dovremmo rinunciarci per dormire divisi? In mezzo a decine di estranei?
A questo Saeed non aveva risposta. In seguito, ripensandoci, in effetti gli parve strano aver proposto di rinunciare alla loro camera da letto per due spazi separati, con una barriera in mezzo, come quando vivevano a casa dei suoi genitori, un periodo di cui adesso aveva nostalgia, nonostante tutto, per quello che lui aveva provato per lei, e lei per lui, quello che avevano provato l’uno per l’altra. Non insistette, ma quella notte, quando nel letto lei avvicinò il viso al suo, cosí vicino che lui sentiva il suo fiato che gli solleticava le labbra, non riuscí a trovare l’entusiasmo necessario per coprire la minuscola distanza necessaria per baciarla.
Ogni giorno il cielo era solcato dai caccia, che col loro stridore ricordavano agli abitanti della Londra buia la superiorità tecnica dei loro avversari, le forze governative e nativiste. Ai confini della loro zona, ogni tanto Saeed e Nadia adocchiavano carri armati e autoblindo e un assortimento di radar e antenne, e robot che camminavano a due o quattro zampe come animali, portando carichi per i soldati o simulando il disinnesco di un esplosivo o preparandosi a qualche altro misterioso compito. Quei robot, per quanto poco numerosi, e i droni nel cielo erano ancor piú spaventosi dei caccia e dei carri armati, perché lasciavano immaginare un’efficienza inarrestabile, un potere disumano, ed evocavano il genere di terrore che prova un mammifero di piccola taglia di fronte a un predatore di ordine del tutto diverso, ad esempio un roditore davanti a un serpente.
Alle riunioni del consiglio, Nadia ascoltava gli anziani che discutevano di cosa fare quando alla fine l’operazione sarebbe cominciata. Tutti concordavano sul fatto che la cosa piú importante era tenere a bada l’impetuosità dei giovani, perché la resistenza armata avrebbe con ogni probabilità portato a una carneficina, e di sicuro la nonviolenza era la loro arma piú preziosa, perché avrebbe svergognato i loro avversari costringendoli a comportarsi in modo civile. Tutti concordavano tranne Nadia, che non sapeva cosa pensare, poiché aveva visto cosa succedeva a chi si arrendeva, quando la città dove abitava si era arresa ai miliziani, e riteneva che i giovani con le loro pistole e i loro coltelli e i loro pugni e i loro denti avessero il diritto di farne uso, e che a volte la ferocia dei deboli era l’unica cosa che ti difendeva dalla prepotenza dei forti. Ma c’era della saggezza anche in quel che dicevano gli anziani, perciò non sapeva cosa pensare.
Anche Saeed non sapeva cosa pensare. Ma nella vicina casa dei suoi compatrioti l’uomo con le chiazze bianche nella barba parlava di martirio, non come l’esito piú desiderabile, ma come un possibile sbocco del sentiero che le persone rette non potevano non seguire, e sosteneva la necessità che i migranti si coalizzassero in base ai loro principî religiosi, ignorando qualunque divisione di razza, lingua o nazione, perché quelle divisioni non contavano piú in un mondo pieno di porte, e adesso l’unica divisione che contava era quella fra chi perseguiva il diritto al passaggio e chi lo voleva negare, e in un mondo come quello la religione dei giusti doveva schierarsi dalla parte di chi perseguiva il diritto al passaggio. Saeed era combattuto perché quelle parole lo toccavano, gli davano forza, e non erano le parole barbare dei miliziani della sua città, i miliziani per colpa dei quali sua madre era morta, e forse ormai anche suo padre, ma al tempo stesso i raduni degli uomini attratti dalle parole dell’uomo con le chiazze bianche nella barba a volte gli ricordavano i miliziani, e quando ci pensava, sentiva dentro di sé qualcosa di rancido, come se stesse marcendo da dentro.
Nella casa dei suoi compatrioti c’erano armi da fuoco, e ogni giorno ne arrivavano di nuove attraverso le porte. Saeed accettò una pistola ma non un fucile, perché la pistola poteva nasconderla, e in cuor suo non avrebbe saputo dire se l’aveva presa per difendersi dai nativisti oppure dai nigeriani, i suoi vicini. Quella sera mentre si svestiva non ne parlò, ma non fece neanche in modo di tenerla nascosta a Nadia, e pensava che vedendola lei si sarebbe indispettita, o comunque avrebbe avuto da ridire, perché sapeva cos’aveva deciso il consiglio. Ma non fu cosí.
Invece lo osservò, e lui guardò lei, e vide la sua forma animale, l’estraneità del suo viso e del suo corpo, e lei vide l’estraneità di quelli di lui, e quando Saeed allungò una mano Nadia andò da lui, andò da lui ma allo stesso tempo si ritrasse, e in quel loro coito ci fu un’eccitante violenza reciproca, qualcosa di sorprendente e quasi doloroso.
Solo quando Nadia si fu addormentata, mentre lui era ancora sveglio nel chiaro di luna che filtrava attraverso e intorno alle persiane, Saeed prese coscienza del fatto che non aveva la minima idea di come si usava e si manteneva in buono stato una pistola, a parte il fatto che premendo il grilletto avrebbe dovuto sparare. Capí di aver fatto una cosa assurda, e che il giorno dopo avrebbe dovuto restituirla.
Nella Londra buia esisteva un fiorente traffico di elettricità, gestito da chi viveva nelle sacche in cui la corrente c’era ancora, perciò di tanto in tanto Saeed e Nadia riuscivano a ricaricare i telefoni e, se si avvicinavano ai margini della loro zona, prendevano un segnale forte e cosí, come molti altri, si tenevano in contatto col mondo a quella maniera, e una volta, mentre era seduta sugli scalini di un edificio a leggere le notizie al telefono davanti a un contingente di soldati e a un carro armato, le sembrò di vedere online una fotografia di lei stessa seduta sugli scalini di un edificio a leggere le notizie al telefono davanti a un contingente di soldati e a un carro armato, e restò sbalordita, e si chiese com’era possibile, com’era possibile che lei fosse al tempo stesso la persona che leggeva la notizia e la persona nella notizia, e come aveva fatto il giornale a pubblicare quella sua immagine istantaneamente, e alzò gli occhi in cerca di un fotografo, e provò la bizzarra sensazione che il tempo le si ripiegasse tutt’attorno, come se si trova...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Exit west
- Uno
- Due
- Tre
- Quattro
- Cinque
- Sei
- Sette
- Otto
- Nove
- Dieci
- Undici
- Dodici
- Il libro
- L’autore
- Dello stesso autore
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