Gli onischi sono crostacei di terra e, a dispetto delle apparenze, sono parenti molto piú stretti di gamberetti e astici che di millepiedi o centopiedi.
Hanno il sangue blu e respirano ancora con le branchie. Queste sono attaccate a due pleopodi (letteralmente, «piedi per nuotare») sull’addome e contengono delle ramificazioni di tubi umidi che permettono all’onisco di trarre ossigeno dall’aria, per quanto sia in grado di sopravvivere beatamente in acqua anche per un’ora.
Nel mondo anglofono, l’onisco ha un ricco assortimento di soprannomi: insetto scrofa, insetto palla, insetto armadillo, conciatetti, insetto pisello, formica della nonna, Billy il fornaio e molti altri. Nemmeno in Italia se la cava male: armadillo volgare, porcellino di terra o di Sant’Antonio, e ci sono naturalmente soprannomi dialettali come ’nzerraporte (serraporta). In Olanda li chiamano pissebed (letteralmente, «fare pipí a letto»). Questo perché non urinano: il tegumento poroso permette loro di espellere i rifiuti sotto forma di vapore di ammoniaca piuttosto che di urina liquida. In rapporto alle dimensioni, producono scarti piú ricchi d’azoto di ogni altro animale.
Inoltre, il tegumento poroso significa che sono vulnerabili alla disidratazione. La tendenza a formare grandi gruppi li aiuta a tenersi umidi e a difendersi dai predatori. Rospi, topi e centopiedi vanno tutti pazzi per gli onischi. Anche le larve di mosca carnaria si insinuano dentro di loro e li mangiano dall’interno. La Dysdera crocata, un ragno, non si ciba d’altro e ha denti appositamente modificati per forarne il guscio.
Per bere, gli onischi usano il didietro. Tubicini biforcuti detti uropodi risucchiano l’acqua dall’ano. Non sono neppure molto esigenti quanto al cibo. Prediligono le piante marce, ma nei mesi di magra non disdegnano le proprie feci.
Esiste una specie neozelandese, lo Scyphax ornatus, che sopravvive soprattutto grazie alle api annegate. Le loro strane abitudini personali li rendono i benvenuti nel pattume e l’amore con cui sgranocchiano la spazzatura ha portato i musei di scienze naturali a usarli per pulire gli scheletri animali piú delicati.
Gli onischi appartengono all’ordine degli isopodi (cioè «piedi uguali»). Ce ne sono 3500 specie ed esistono da 160 milioni di anni. Trasportano i piccoli dentro una sorta di marsupio, fanno regolarmente la muta e vivono per circa due anni. Non tutti gli onischi si concentrano nelle fessure umide. L’Hemilepistus reaumuri si sceglie un compagno per tutta la vita, si orizzonta con il sole e vive in colonie organizzate di tane dove i giovani svolgono i lavori domestici. Possono percorrere molti chilometri al giorno.
È dura essere un onisco maschio. Non solo le femmine possono procreare senza accoppiarsi (partenogenesi), ma i maschi infettati da un determinato batterio si trasformano in femmine.
L’isopode gigante abissale (Bathynomus giganteus) è un mastodontico onisco acquatico che vive nelle tenebre gelide del fondo oceanico e si ingozza di balene morte. Sono bianchi, raggiungono i 70 centimetri di lunghezza e pesano quanto un astice di discrete dimensioni.
Gli onischi sono perfettamente commestibili. Nel suo pamphlet polemico Perché non mangiare gli insetti? (1885), Vincent M. Holt li considerava migliori dei gamberetti e dava la ricetta di una salsa di onisco per il pesce.
Gli onischi venivano mangiati per curare i disturbi gastrici, a mo’ di Maalox: il tegumento è di carbonato di calcio, che neutralizza gli acidi nello stomaco.
Gli oritteropi sono gli ultimi sopravvissuti di un primitivo gruppo di mammiferi stanziato in Africa sin dai tempi dei dinosauri. In origine, vennero classificati nell’ordine degli Edentata («sdentati»), insieme con formichieri e armadilli, ma non ne sono parenti neanche alla lontana: si sono evoluti su masse continentali diverse.
In realtà, gli oritteropi non hanno parenti stretti. Tra i mammiferi, sono l’unica specie a vantare un intero ordine tutto per sé, quello dei Tubulidentata o «tubulidentati»: i denti degli oritteropi sono completamente diversi da quelli di qualunque altro animale. Si tratta di venti paletti piatti in cima, costituiti da tubi esagonali e posti subito dietro la bocca. Invece che di smalto, sono ricoperti di cemento, il materiale che di norma si trova all’interno dei denti. Come i denti dei roditori, non smettono mai di crescere.
L’oritteropo ha un aspetto primitivo, frutto di una sorta di «progetto di squadra»: il muso da formichiere, le orecchie da asino, le zampe da coniglio e la coda da topo gigante. Ma non fatevi ingannare: è sopravvissuto a molte altre specie perché c’è una cosa che gli riesce da dio. È una macchina mangiatermiti. Non appena scende l’oscurità, lascia la tana, schiaffa il muso per terra e annusa a zigzag per la savana, alla ricerca di termitai in cui infiltrarsi e fare piazza pulita a suon di leccate. In una sola sera, può percorrere 50 chilometri e ingollare cinque chili di termiti. Il suo naso contiene piú ossa e recettori olfattivi di quello di qualsiasi altro mammifero. Le sue orecchie sono in grado di captare ogni minimo movimento sotterraneo e i suoi potenti artigli distruggono termitai che scalfirebbero un piccone. Gli oritteropi sono forti: possono diventare grossi come un giocatore di rugby e scavarsi una tana piú in fretta di sei uomini muniti di pale. La pelle è spessa e li protegge dai morsi delle termiti; mentre con la lingua lunga e appiccicosa ramazzano la cena, possono chiudere le narici a piacimento per impedire agli insetti di arrampicarcisi dentro.
Hanno anche instaurato un rapporto piú che vantaggioso con una pianta nota come «cetriolo dell’oritteropo», i cui frutti crescono sottoterra. Gli oritteropi li disseppelliscono e mangiano quando l’acqua scarseggia, poi sotterrano le proprie feci, ricche di semi, assicurando cosí la sopravvivenza della pianta. I boscimani Kung San del Kalahari chiamano questo frutto «sterco di oritteropo».
Gli esseri umani e le iene sono gli unici predatori che attaccano un oritteropo armato fino ai denti. A dispetto della sua natura solitaria e appartata, un oritteropo in difficoltà è un avversario formidabile, capace di squarciare con gli artigli, dar calci ed eseguire velocissimi salti mortali.
Si dà la caccia agli oritteropi per la loro carne e la pelle: la parola afrikaans con cui vengono definiti, aardvark, significa «maiale di terra»; si diceva che sapessero di maiale selvatico. Li si chiama anche «orsi delle formiche», ma il loro nome latino, Orycteropus afer, significa «zampa africana che scava». I boscimani credono che gli oritteropi abbiano dei poteri sovrannaturali, perché sono letteralmente in contatto con gli inferi.
Con ogni probabilità, se questo elusivo animale notturno è diventato famoso nel mondo anglofono è perché il termine che lo definisce è praticamente all’inizio del vocabolario. Non è il primo per un soffio. Aardvark, quarto lemma nell’Oxford English Dictionary del 1928, deve la propria inclusione al direttore James Murray, il quale non tenne in alcun conto il parere del suo assistente, secondo cui si trattava di una parola «troppo tecnica».
Nei college americani, lo slang to aardvark («oritteropare») significa avere rapporti sessuali (in pratica, intrufolarsi in posti bui con una parte lunga e sottile del corpo).
Quando George Shaw compilò la prima descrizione dell’ornitorinco (Ornithorhynchus anatinus) nel 1799, innanzitutto esaminò attentamente l’esemplare che gli avevano mandato dall’Australia in cerca di segni di cuciture. Anche cosí, molti suoi colleghi naturalisti continuarono a credere che fosse un falso: il becco di un papero cucito sul corpo di un castorino. Ci misero trent’anni ad accettarlo come mammifero: la mancanza di capezzoli rendeva un tantino difficile individuare le ghiandole mammarie sotto la pelliccia dell’addome. Ma la vera bomba non esplose che nel 1884. Un embriologo scozzese, William Hay Caldwell, scoprí finalmente la tana di un ornitorinco e diede la notiziona sconvolgente: era un mammifero, ma deponeva le uova (erano anni che gli aborigeni lo ripetevano, ma non li ascoltava nessuno). Da quel momento in poi, l’ornitorinco è diventato famoso in quanto ridicolo: uno scherzo dell’evoluzione.
Secondo un’opinione popolare nell’Ottocento e ancora diffusa in certi ambienti, l’ornitorinco sarebbe un primo, rudimentale prototipo di mammifero, successivamente abbandonato. È vero che, insieme alle quattro specie di un altro mammifero oviparo, l’echidna, appartiene all’ordine dei monotremi («con un’apertura sola»), il piú antico gruppo vivente di mammiferi. Sminuirlo come un animale primitivo, però, a metà strada fra rettili e mammiferi, ha senso quanto definire un falegname che crea i mobili da zero piú «primitivo» di chi monta gli scaffali preimballati dell’Ikea. L’ornitorinco è il perfetto esempio di una creatura che, nell’isolamento, si è adattata a sfruttare un ambiente ricco. Consideratelo la lontra australiana: un carnivoro opportunista che si ingozza di gamberi d’acqua dolce, gamberetti, pesci e girini senza praticamente dover competere con nessuno. Ha mantenuto alcuni tr...