Tanto tempo fa un vecchio di nome Igor viveva con la moglie e il figlioletto Vladimir.
Una mattina, mentre facevano colazione, il vecchio disse alla moglie:
«I miei sogni sono diventati brutti. Troppi incubi! Penso che la mia vita stia per finire. Dovrei sistemare tutte le faccende terrene, ma ho paura di non fare in tempo. Quando ero giovane e non eravamo ancora sposati, mio padre mi aveva inviato sull’altra riva del mare a mettere trappole per le lepri. Da allora non sono mai piú tornato là. Dopo che vi avrò lasciato, manda Vladimir a vedere che fine hanno fatto le mie trappole».
Di lí a poco Igor morí. Il figlio e la vedova piansero a lungo e continuarono la loro vita da soli.
Passarono gli anni, Vladimir divenne grande, e la mamma gli fece un arco con un ramo di betulla e delle frecce di salice in modo che potesse andare a caccia per procurare il cibo. Era diventato un ragazzo bellissimo: aveva le guance rosate come il tramonto, i denti bianchi e forti, ed era anche un cacciatore abile e audace.
Una mattina, durante la colazione, la donna si ricordò di quello che le aveva raccomandato il marito:
«Tuo padre, prima di morire, mi ha chiesto di mandarti a controllare le trappole che aveva messo sull’altra riva del mare quand’era giovane. Adesso, figlio mio, è arrivata l’ora di rispettare la sua volontà».
Vladimir invitò il suo vicino Andrej ad accompagnarlo in quel lungo viaggio, e Andrej accettò.
I due andavano veloci sui loro cavalli, senza fermarsi, attraversando pianure e valicando montagne. Alla fine del nono giorno, incontrarono altri due cavalieri. Uno aveva una sella d’argento e degli stivali di pelle morbida, l’altro dei vestiti modesti e un cavallo con dei finimenti logori.
«Sono il figlio di Daniil, un ricco commerciante, e mi chiamo Pavel», disse il primo cavaliere.
«E io mi chiamo Leonid, sono il suo accompagnatore», disse l’altro.
Vladimir chiese loro dov’erano diretti.
«Andiamo sull’altra riva del mare, – rispose Pavel, – dallo zar Alessio. Voglio sposare la sua bellissima figlia Ekaterina, che vive nel palazzo protetta dal malocchio con settanta tende».
«Anche noi stiamo andando sull’altra riva del mare, – disse Vladimir, e gli raccontò della volontà del padre.
«Ma che sciocchezza! – commentò Pavel. – Anche se qualche lepre fosse rimasta nelle sue trappole, ormai sicuramente non ne è rimasto nulla!»
Nel frattempo erano arrivati al mare e cominciarono a discutere su come andare sull’altra riva.
«Bisogna lanciare una freccia in alto e un’altra in basso, e solo dopo cominciare la traversata», disse Vladimir.
«Tu non sei piú intelligente di tuo padre, – rispose Pavel. – A cosa serve lanciare delle frecce? È invece arrivato il tempo di vedere quale dei nostri cavalli è il piú forte!»
Pavel frustò il suo destriero, costringendolo a entrare nell’acqua. Il mare mosso rendeva molto difficile quella traversata, solo con molta fatica i due riuscirono ad approdare, ma le onde si erano portate via tutte le cose preziose che avevano legato alle selle dei cavalli.
Il figlio del vecchio Igor disse allora a Andrej:
«Sia nella steppa che in mare la cosa piú importante è non perdere la direzione. Bisogna saper scegliere la strada giusta».
Poi lanciò una freccia in alto, che gli indicò la strada piú corta, e un’altra freccia in basso, che gli indicò il tratto meno profondo. E cosí Vladimir insieme a Andrej attraversò il mare senza troppe difficoltà.
Sull’altra riva ritrovarono i loro nuovi amici che si asciugavano i vestiti e si lamentavano di quello che avevano perso tra le onde. Dormirono tutti e quattro sulla spiaggia e il mattino seguente si misero di nuovo in viaggio.
Finalmente videro in lontananza il maestoso palazzo dello zar Alessio.
«Questo zar ha l’occhio destro sporgente e l’occhio sinistro semichiuso», disse Vladimir.
«Come fai a dire delle cose su una persona che non hai mai visto in vita tua? – si arrabbiò Pavel. – Faresti meglio a stare zitto e a non parlar male del mio futuro suocero», e frustò il suo cavallo per arrivare al palazzo prima degli altri.
Appena saputo dell’arrivo del figlio di un ricco commerciante, lo zar lo invitò nella sua reggia.Dopo aver procurato a lui e al suo aiutante abiti puliti, li sistemò in due stanze del palazzo, mentre Vladimir e Andrej furono lasciati nel giardino, vicino alle stalle.
La sera invitò Pavel alla sua lussuosa tavola tutta decorata d’argento, lo fece sedere alla propria destra e gli fece servire le migliori pietanze.
«Dove siete diretti?» chiese al giovane.
«Proprio qui, al vostro palazzo, – rispose lui. – Ho fatto una lunga strada per chiedervi la mano di vostra figlia».
«La qualità del metallo si capisce dalla sua capacità di resistere ai colpi che riceve, una persona può dimostrare il suo valore solo se riesce a superare delle prove», rispose enigmatico lo zar.
E intanto tutti e due si erano dimenticati di Vladimir e Andrej. Solo Ekaterina aveva pensato che bisognava dar qualcosa da mangiare anche a loro. Versò una grande tazza di tè, mise su un vassoio due biscotti al miele, contò sette pezzi di zucchero e disse alla sua serva:
«Portali agli ospiti che sono in giardino», poi ci pensò su un attimo e aggiunse: «Quando glieli darai, chiedi loro: “Le onde del mare arrivano fino a riva? Si vedono degli strani segni sulla luna o sul sole? Oggi in cielo ci sono tutte le stelle della costellazione dei Sette Anziani?”»
Durante il tragitto la serva sorseggiò un po’ di tè, mangiò un pezzo di biscotto e un po’ di zucchero.
«Chi ci manda questo cibo e questo tè?» le chiese Vladimir.
«La principessa Ekaterina», rispose lei, e poi fece loro le domande che la padrona le aveva chiesto di porre.
Vladimir rispose all’istante: «Di’ a Ekaterina che non vediamo nessuna stella, che sulla faccia della luna ci sono strani segni e che il livello del mare è notevolmente diminuito».
La serva ritornò dalla padrona e riferí parola per parola la risposta dell’ospite. Ekaterina, infuriata, la sgridò:
«Perché hai bevuto dalla tazza d’oro? Perché hai assaggiato il biscotto e lo zucchero?»
La serva cominciò a piangere e la principessa concluse: «Smettila di piangere, in futuro non mangiare piú niente di quello che io mando agli ospiti!»
L’indomani lo zar si ricordò di Vladimir e Andrej, e mandò la serva a prenderli per condurli nel palazzo reale.
Vladimir si sistemò la cintura del modesto abito, e quando fu davanti al trono dello zar lo salutò con un elegante inchino, degno di un aristocratico.
«Chi sei e dove sei diretto?»
«Mi chiamo Vladimir, sono figlio del vecchio Igor, abito sull’altra riva del mare, – rispose il ragazzo, – ma sono giunto fino qui per controllare le trappole che sono state messe da mio padre».
«Ma certo, so di quelle trappole! E mi ricordo benissimo di Igor. Spesso andavamo a cacciare insieme. Una volta ci siamo scambiati la cintura, con la promessa che avremmo fatto sposare tra loro i nostri figli. E adesso sei arrivato a prenderti la sposa. Che dire, un bel trofeo ha ottenuto tuo padre con le sue trappole! Tuttavia, la qualità del metallo si capisce dalla sua capacità di resistere ai colpi che riceve, e una persona può dimostrare il suo valore solo se riesce a superare delle prove...»
Quindi lo zar si rivolse al suo primo guerriero Ruslan:
«Il terzo giorno dopo la nascita della mia amata figlia, ordinai di uccidere un bue di tre anni e farlo seccare al sole. Di’ ai cuochi di cucinare quella carne!»
Sotto il controllo di Ruslan i cuochi eseguirono le disposizioni e misero la carne cucinata su dieci grandi piatti di legno. Dopodiché posero i piatti davanti agli ospiti.
«Allora, ragazzi, – disse lo zar, – è arrivata l’ora della prova. Quindici anni fa questa carne fu seccata al sole, ed è diventata piú dura della roccia. Poiché voglio farla assaggiare a tutte le persone che si trovano nella mia reggia, ciascuno dovrebbe riceverne un pezzo dalle dimensioni di un pollice, né piú né meno. Tocca a voi tagliarla della dimensione giusta!»
Il figlio del ricco commerciante estrasse da una guaina d’oro un bellissimo pugnale finemente lavorato e decorato con pietre preziose, mentre il figlio del vecchio Igor tirò fuori dal fodero appeso alla sua cintura un semplice coltello da caccia siberiano con il manico di legno.
I due si sfidarono con gli occhi, poi si misero all’opera. Vladimir, con l’esperienza del cacciatore, lavorava con estrema precisione e velocità: tutti i pezzi erano uguali, grandi un pollice, come aveva ordinato lo zar. Pavel invece non riusciva nemmeno a infilare il suo preziosissimo coltello in quella carne stagionata.
«Al diavolo! Sei stato tu a maledire la mia lama, vediamo se con te funziona!» urlò Pavel, cercando di colpire Vladimir.
«Forse non hai ben compreso le parole dello zar, – disse Ruslan, frapponendosi tra i due. – “La qualità del metallo si capisce dalla sua capacità di resistere ai colpi che riceve, e una persona può dimostrare il suo valore solo se riesce a superare delle prove”. Nessuno ha colpa se sei cosí debole e hai in tasca un coltello decorato come un gioiellino per dame ma non affilato!» e cosí dicendo Ruslan cacciò il figlio del ricco mercante fuori dal palazzo.
Quando Vladimir finí di tagliare tutta la carne, ne portò personalmente un pezzo a ogni persona che si trovava nella reggia.
Osservato il comportamento del ragazzo, lo zar Alessio gli disse:
«La prima prova ha rivelato che sei capace di realizzare ciò che pensi e ottenere ciò che vuoi. La seconda prova sarà piú difficile. Domani all’alba andrai nella taiga dell’Ovest, troverai un enorme orso bruno, gli chiederai l’età e tornerai indietro».
Arrivata la notte, il figlio del vecchio Igor non riusciva ad addormentarsi: non faceva che rimuginare su quell’incontro con l’orso e su come avrebbe fatto a uscirne vivo.
All’improvviso sentí dei rumori dietro la porta, agitato, chiese: «Chi è?»
«Sono io, Ekaterina. Ti lascio qualcosa da mangiare per il tuo viaggio nella taiga e volevo dirti di portare con te le corna di un cervo. Quando sarai vicino alla tana dell’orso, mettitele in testa e vedrai che non ti succederà nulla».
Vladimir, rassicurato dall’intervento della principessa, si addormentò piú sereno.
All’alba montò sul suo vecchio e magro cavallo e intraprese il viaggio verso la taiga. Avvicinatosi alla tana dell’orso, si mise in testa le corna del cervo e gridò all’orso di uscire.
L’animale sporse la testa dalla sua tana e commentò stupito:
«Novantasette anni che vivo su questa terra, ed è la prima volta che vedo un bipede con le corna!»
Il giovane, esultante, rimontò a cavallo e si diresse verso il palazzo reale.
«Padre zar! – annunciò appena giunto. – Ho ...