
- 144 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Un albero disegnato da Marcello Mastroianni, la rabbia e l'orgoglio di Oriana Fallaci dietro le quinte, le lunghe camminate per Roma con Ennio Flaiano. Nella sua carriera Anna Maria Mori ha incrociato nomi altisonanti che hanno sconvolto culturalmente l'ultima metà del Novecento e di cui racconta con sensibilità e acume. Nessuno di loro però è riuscito a farle dimenticare le sue umili origini, la lontananza dalla città natale, gli anni di studio in collegio, la gavetta, il sogno femminista, la maternità. La penna di chi non ha mai perso la passione per il suo lavoro ci regala con Origami scorci di vita inediti da cui emerge l'intima umanità di icone come Federico Fellini, Jim Jarmusch, Mina, Eugenio Scalfari e molti altri.
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Informazioni
Print ISBN
9788806231071eBook ISBN
9788858425749Anni Sessanta
Cosa faceva, come viveva, sola, a Roma, nei primi anni Cinquanta, una ragazza di poco piú di vent’anni? Aveva in tasca una quasi-laurea in Giurisprudenza (mancavano un paio di esami, la tesi era già scritta), niente soldi e nessuna intenzione di chiederli alla famiglia, unica ricchezza e certezza, un mare di sogni sul «sol dell’avvenir». Anzi no, in tasca c’era qualcosa: una lettera della Rai che le annunciava di essere stata esclusa dai vincitori dell’ultimo (e unico) concorso per annunciatori, «ma dato il fatto che nella classifica lei risulta la prima degli esclusi, ci impegniamo a chiamarla non appena si presenti una qualsiasi possibilità, anche magari solo per qualche sostituzione». E allora?
Quella che era stata la sua insegnante di pianoforte, assunta in Rai in pianta stabile, è tassativa: «vale la pena di tentare».
Già, il pianoforte: «Ha la mano adatta allo studio del pianoforte», come se bastasse la mano. E la voglia, l’entusiasmo, la motivazione e la conseguente capacità di accanirsi sulle note e sui solfeggi? No, questi proprio non c’erano. Inutile costringere la bambina dalla mano adatta (all’epoca aveva quattro anni) a rimanere seduta davanti al pianoforte per un tempo segnato dalla sveglia lí accanto, sopra al tavolo. «Coraggio, avanti, ripeti cinque volte l’esercizio di Clementi». «Ripeti finché non ci saranno piú né errori né esitazioni». Come se bastasse, per diventare davvero una pianista, non fare errori esercitandosi sul Clementi. Magari se lo studio del pianoforte all’epoca fosse stato meno punitivo, meno penitenziale di quello che era, i risultati sarebbero stati diversi: «Mi raccomando, solo esercizi e solfeggi, solo se avrai fatto un’ora e mezzo due di esercizi (che col passare del tempo diventarono tre, anche quattro), avrai il permesso di suonare “Il piccolo montanaro” o “Il mercato persiano”». Qualche anno piú tardi arrivarono anche i «Notturni» di Chopin. Ma cambiò poco.
Successe che la mano adatta rivelò tutta la sua potenzialità solo quando arrivarono a casa, ospiti (profughe?), una madre e una figlia che studiava il pianoforte. La ragazzina, forse si chiamava Ada, era brava, suonava bene. Tra le due bambine cominciò una gara, e dalla gara, per la gara, scaturirono entusiasmo, voglia, motivazione. Le due bambine si esercitavano, insieme, nelle sonatine a quattro mani. Brave, tutte e due. Durò solo il tempo della permanenza della seconda bambina a casa della prima. Poi tutto ricominciò come prima, e solo dopo vent’anni di insistenze e discussioni familiari, il pianoforte sparí definitivamente persino dalla memoria: la bambina di allora, divenuta adulta, ascoltava sí volentieri la musica, in particolare i grandi concerti per pianoforte e orchestra – memorabile quando arrivò al Teatro Comunale di Firenze Arthur Rubinstein –, ma della sua esperienza di studio non era rimasto piú niente: non riconosceva e non riusciva a leggere neppure le note su uno spartito.
Però, per quegli strani percorsi che fa la vita, è proprio attraverso l’odiato studio del pianoforte che la nostra ragazza piena di sogni si avvicina ai microfoni della Rai: prima gli annunci, qualche pubblicità (allora la facevano gli annunciatori, leggendo), e dopo addirittura le lunghe letture del Terzo programma affrontate in un bagno di sudore emotivo, a tu per tu con quello che all’epoca veniva considerato il principe delle letture radiofoniche: un uomo alto, piuttosto bello e scostante, di origine tedesca. Il lavoro veniva assegnato di giorno in giorno: erano contratti che oggi si definirebbero interinali, e che allora si chiamavano «a cachet». Si veniva chiamati e pagati a giornata: il precariato, vale la pena forse di ricordarlo, ha una storia antica.
E precaria, alla Rai, la nostra ragazza è rimasta abbastanza a lungo: anni di camera ammobiliata con un comò ricoperto di plastica per timore di qualche danno, pasti inventati a base di due arance e «tre etti di biscotti cento lire» (all’epoca era l’offerta della Saiwa). Di tanto in tanto pensava a un’assunzione in pianta stabile. All’alto dirigente con il quale faticosamente era riuscita a conquistare un appuntamento, prova a chiederlo. E l’alto dirigente, asettico, sicuro di sé, e distante milioni di chilometri dalla sua piccola interlocutrice, le risponde: «Lei ha qualcuno, intendo qualcuno in sede politica, che mi impone la sua assunzione?» E anche qui, anche a questo proposito, forse vale ancora una volta la pena di sottolineare, magari con le parole di una canzone, che «niente è cambiato, è lo stesso di sempre»: l’Italia di oggi non è poi cosí lontana, come qualche volta si dice e si pensa, da quella degli anni Cinquanta e Sessanta.

Nel 1958 il Pil era già a + 5,3, nel ’60 si viaggiava verso l’8,3. È l’anno nel quale iniziano le proteste operaie per chiedere aumenti salariali e sussidi per la disoccupazione: nonostante la crescita del Pil gli operai hanno salari che consentono solo pasti a base di pane e mortadella. Confindustria e sindacati raggiungono un accordo sulla parità salariale uomo-donna. Viene revocata la legge che impediva alle donne l’ingresso nella pubblica amministrazione. Si affaccia sulla scena Enrico Mattei. La censura si abbatte su La dolce vita di Federico Fellini che poi vincerà la Palma d’oro a Cannes. Nelle elezioni amministrative la Dc resta sopra il quaranta per cento dei voti. L’8 novembre del 1960 viene eletto presidente degli Stati Uniti d’America John Fitzgerald Kennedy. È nel 1960 che Leonardo Sciascia scrive il suo primo romanzo, Il giorno della civetta, ed è la prima volta che la mafia entra a pieno titolo nella letteratura.
Scriveva, nel 1960, Leonardo Sciascia: «Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà».

Di tutto questo la ragazza non sapeva niente o quasi niente.
Respirava, sí, una certa aria di euforia intorno a sé. La differenza tra quell’Italia e quella di oggi sta nella speranza generale diffusa, in un’illusione che ora non c’è piú.
Cercava, la ragazza con la testa piena di sogni, di farsi largo in una schiera di mezz’uomini e ominicchi travestiti da uomini, scansandoli o ignorandoli, forte dell’insegnamento paterno: il padre era orgogliosamente e tenacemente convinto che non bisognava mai chiedere niente a nessuno. Tanto meno allo Stato: niente sussidi, pensioni, assistenza, case o posto di lavoro. Bisognava farcela da soli. E si poteva farlo: bastava volerlo. Anche quello era un sogno. Ma era anche una forza straordinaria.
Certo, se il padre anziché essere e votare liberale o al massimo repubblicano, fosse stato un po’ piú vicino alla Democrazia cristiana («Mai il mio voto alla Dc», forse perché convintamente laico, o perché, secondo la vulgata degli istriani, De Gasperi aveva ceduto l’Istria per mantenere all’Italia l’Alto Adige), magari per la ragazza sarebbe stato un po’ piú facile. Ma non era cosí, non è stato cosí e l’assunzione alla Rai non è mai arrivata.
Farcela, non fermarsi, non arrendersi. Cosí, dopo essersi guadagnata da vivere a Firenze dando lezioni private, battendo tesi a macchina un tanto al foglio (il computer era di là da venire), infilando collane un tanto al filo, a Roma, finita la lunghissima giornata di lavoro di annunciatrice lunghissima perché tutti gli straordinari venivano dati a quelli, come lei, pagati a cachet, la cui retribuzione degli straordinari era molto piú bassa di quella dei lavoratori con regolare contratto a tempo indeterminato, tornava nella stanza ammobiliata, e lí si era abituata a prendere, prima di addormentarsi, una pillola di simpamina che l’avrebbe svegliata di scatto dopo due, tre ore di sonno. Sveglia e carica di adrenalina, attaccava con un secondo lavoro: le avevano affidato la scrittura delle biografie degli attori per un settimanale a fumetti. Piú tardi avrebbe conosciuto un poeta premiato anche a Viareggio, Dante Guardamagna, finito chissà come e perché a dirigere con feroce e sadica dedizione un settimanale, «Luna Park», anche quello a fumetti, che le avrebbe chiesto di ridurre in pillole per i suoi lettori Il castello di Kafka. Non so come, ma alla fine l’impresa fu portata a termine, con soddisfazione del sadomasochista direttore, e, visto che non esisteva ancora il marketing editoriale, difficile dire altrettanto dalla parte dei lettori.
Strana gente, strani tempi: che siano stati Giorni Felici, come avrebbe detto Beckett?
La ragazza con la testa piena di sogni (e non di velleità, perché c’è differenza tra i sogni, innocenti, e le velleità, presuntuose), e l’Italia degli anni Cinquanta, Sessanta, fino ai Settanta.
Sognava la ragazza, ma sognava in quegli anni anche l’Italia, sognavano il suo cinema, la sua letteratura, le sue canzoni, anche la sua industria.

Nascono nel 1960 alcuni dei piú grandi film della storia del cinema italiano: La dolce vita di Federico Fellini, La ciociara di Vittorio De Sica, Tutti a casa di Luigi Comencini, Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, Il bell’Antonio di Mauro Bolognini, e di seguito, uno dietro l’altro, due dei piú bei film di Michelangelo Antonioni, L’avventura e La notte.
Il 1960 è anche l’anno de Il cielo in una stanza, e lo si ascolta indifferentemente dalla voce di Gino Paoli o di Mina.
In Italia nasce il governo Tambroni in odore di apertura al fascismo e ai fascisti. Non passerà neanche un anno e i sovietici, nel 1961, alzeranno a Berlino un enorme muro a dividere la parte ovest dalla parte est della città.
In Italia, il 27 febbraio, con Adriano Olivetti stroncato da un infarto, muore un bel sogno: «Dacci oggi e per il nostro futuro un’impresa che creda nel valore delle persone, delle idee, della bellezza; un’impresa che sappia coniugare al profitto la salvaguardia dell’ambiente, la tutela del territorio, lo sviluppo compatibile». E poi? E poi, niente. E cosí sia.

Non si conoscevano, non sapevano l’una dell’altro, la ragazza, il mondo in generale, e il Paese, la città in cui era andata a vivere: anche allora, come oggi, i giovani non leggevano i giornali. Viveva, come tutti, la grande paura della bomba atomica: era consapevole, piú per l’influsso delle emozioni che per informata consapevolezza, di stare dentro «l’equilibrio del terrore», la forza militare degli Stati Uniti d’America contro la forza militare dell’Unione Sovietica e viceversa. Era però una paura che non degenerava, come sarebbe successo molti anni piú tardi, nel primo decennio del nuovo millennio, in depressione e rassegnazione. Negli anni Sessanta, in Italia, circolava la paura, come del resto in tutto il mondo, di una possibile terza guerra mondiale, ma questo non toglieva il respiro vitale, l’energia. Circolava, in quei tempi, insieme alla paura, anche voglia di vivere e persino di rischiare, una capacità di combattere, che si propagava dal Paese alla ragazza e a tanti ragazzi come lei, cosí come si propagava dai ragazzi al Paese: vasi comunicanti.
«Signorina, ci sarebbe un famoso giornalista, titolare di una rubrica cultural-mondana su un importante settimanale. Avrebbe bisogno di qualcuno che lo aiuti a cercare e scrivere i vari capitoletti della sua rubrica, perché lui è stanco e forse anche un po’ annoiato. Ovviamente nessun contratto: è un fatto privato. E ovviamente la rubrica continuerebbe a essere la sua, del famoso giornalista, lei lavorerebbe nell’ombra, pagata da lui, senza diritto alla firma di quello che via via scriverà e sarà anche pubblicato».
«Signorina c’è un altro giornalista che, tra gli altri suoi lavori, ha anche il compito di dirigere e realizzare un giornaletto per i camionisti, «Mascotte»: se la sentirebbe di dargli una mano e di curare la rubrica dei lettori, ovverosia dei camionisti che scrivono e chiedono in prevalenza di donne e di sesso?»
«Signorina, vorrebbero aprire un’agenzia giornalistica a Roma, la Men, Middle East Agency, e servirebbe qualcuno che intanto si occupi degli allacci elettrici, dei contratti, di organizzare le pulizie, e contemporaneamente sia in grado di fornire giorno per giorno una serie di notizie dalla capitale italiana, e dovrebbero essere notizie riguardanti il mondo del cinema, preferibilmente indiscrezioni».
La ragazza rispondeva sempre a tutti «Grazie, sí». Lavorava il giorno, la notte, correndo sugli autobus e sui tram dalla mattina alla sera; guadagnava quel tanto che le serviva per l’affitto nella camera ammobiliata e per un cibo qualunque, bastava sfamarsi. Qualche volta era contenta, piú spesso era qualche gran pianto, la sera, la notte, da sola, disperata, e poi, la mattina dopo, riprendeva a correre.
«Vorrei fare la giornalista…»
Al settimanale femminile, la responsabile della redazione romana che cercava un aiuto soprattutto per liberarsi degli incarichi piú scomodi, risponde «Se proprio vuole, possiamo provare».
Erano gli anni nei quali andava di moda la psicoanalisi usa e getta: tutti i giornali femminili vantavano un consulente-psicoanalista titolare di una rubrica di posta delle lettrici, chiamato anche a intervenire a commento dei vari servizi e delle inchieste.
Inchiesta della settimana: «Disegnatemi un albero, e il vostro disegno sarà analizzato dallo psicoanalista».
«Signorina, deve far disegnare un albero da qualche importante o importantissimo personaggio del mondo del cinema». Il pensiero immediato fu solo di terrore, Dio mio, dove lo trovo, come faccio, da dove comincio, ma quello che disse fu solo «Sí, certo, mi attivo subito».
Qualche giorno dopo, le sei di sera. Café Doney di via Veneto, a due passi dalla stanza ammobiliata di via Sardegna che la ragazza con la testa piena di sogni divide con un’amica. Dall’esterno, attraverso le vetrate, sia pure avvolta nella penombra, a un tavolo in fondo alla seconda sala interna, una specie di apparizione: Marcello Mastroianni, insieme a un’amica e all’inseparabile sigaretta accesa.
Che faccio? Come faccio? La ragazza con la testa piena di sogni era stata una bambina che, a scuola, arrossiva fino alle lacrime ogni volta che l’insegnante, facendo l’appello, pronunciava il suo nome, e adesso, «devo, devo, devo, devo farcela, devo provarci», era chiamata a dimostrare il massimo della sfacciataggine e dell’improntitudine: «Scusi, signor Mastroianni…» E nel frattempo si siede al tavolo accanto. Lui non risponde, fa finta di non aver sentito, o forse non ha sentito per davvero. Coraggio, forza, insisti: «Signor Mastroianni, scusi…» Finalmente si volta, con aria supremamente infastidita: «Chi è lei, cosa vuole?» «Ecco…» e la ragazza gli porge una matita, un foglio bianco, e dice quasi mangiandosi le parole, soffocando dentro le sue stesse parole: «Potrebbe disegnarmi un albero?» Lui la guarda aggiungendo fastidio a fastidio, ascolta le ragioni che la ragazza adduce come spiegazione della sua richiesta quanto meno bizzarra, e poi parte in una sorta di invettiva che piú o meno suonava cosí: «Ma vada a casa, legga». E purtroppo anche: «Vada a cucinare, faccia la maglia, stia a casa, smetta, smettetela di tormentare le persone come me con domande stupide, inutili e as...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Origami
- Introduzione
- Nascere
- Dopo i bombardamenti
- 29 aprile 1945
- Anni Sessanta
- Dieci anni dopo, o forse qualcuno di piú
- Marziani a Roma
- 1968
- 1969
- Gli anni Settanta
- Repubblica
- Buongiorno, notte
- Origami
- Gli anni Ottanta
- Gli anni Novanta
- Il nuovo millennio
- Il libro
- L’autrice
- Copyright