I giorni di scuola di Gesù
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I giorni di scuola di Gesù

  1. 224 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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I giorni di scuola di Gesù

Informazioni su questo libro

«Varcare l'oceano su una barca lava via ogni ricordo e tu cominci una vita tutta nuova. È cosí. Non c'è passato. Non c'è storia. La barca attracca al molo e noi scendiamo giú per la passerella e ci troviamo immersi nel qui e ora. Comincia il tempo». Un uomo si prende cura di un bambino. Anche se non è suo figlio, Simón è come un padre per il piccolo David. Insieme a Inés e al cane Bolívar hanno dato vita alla famiglia che abbiamo conosciuto ne L'infanzia di Ges ú. Ma David sta crescendo e deve andare a scuola: sarà proprio lí che scoprirà di cosa è capace un adulto. «Forse, sembra dirci Coetzee, ci potrà salvare solo una creatura che ricomincia daccapo a farsi le domande ultime che noi adulti abbiamo scordato».
Franco Marcoaldi, «D - La Repubblica delle donne» L'insolita famiglia formata da David, bambino impenetrabile e sfuggente che si interroga sulla realtà come un filosofo, Simón e Inés, che hanno scelto di crescerlo, è costretta a vivere nascosta in una fattoria. I due genitori si ritrovano di fronte al dilemma dell'educazione di David, che ormai ha sei anni ed è insaziabile di risposte, sempre pronto a mettere in dubbio ogni cosa. Dopo un primo, fallimentare, tentativo di lezioni private in cui David continua a provocare e a rifiutare l'insegnante, Simón e Inés studiano l'offerta di scuole private in città. Tre anziane sorelle propongono loro, per generosità, di pagare la retta di David. Alla fine è lui a scegliere un'accademia di danza, irresistibilmente attratto dal gelido carisma della direttrice e insegnante, la señora Arroyo, Ana Magdalena. Affascinato da questa donna enigmatica, David si allontana sempre piú dalla famiglia. Ma la situazione cambia improvvisamente con l'omicidio di Ana Magdalena, che dà il via a un processo dalle conseguenze tanto drammatiche quanto paradossali: a dichiararsi colpevole è Dmitri, il laido custode del museo al piano inferiore dell'Accademia. Ma è stato davvero lui? E perché cerca cosí ossessivamente la condanna del tribunale? Ma soprattutto: qual è il ruolo del piccolo David in questo complicato gioco di specchi? I giorni di scuola di Gesú è un romanzo di idee e sentimenti che diventano la carne e il sangue di una storia appassionante grazie al talento assoluto di J. M. Coetzee. Il Nobel sudafricano ha saputo mostrare, con una scrittura precisissima, l'infinita profondità nascosta nei dettagli delle nostre vite: uno sguardo spiazzante e saggio come quello di un bambino.

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2017
Print ISBN
9788806233969
eBook ISBN
9788858426081

Capitolo tredicesimo

La missione dei tribunali a Estrella è il recupero, la riabilitazione e la redenzione (recuperación, rehabilitación y salvación) dei delinquenti: questo lo ha appreso dai compagni di lavoro, i fattorini in bicicletta. Ne consegue che ci sono due tipi di processo: quello lungo, in cui l’imputato contesta l’accusa e il giudice deve determinarne la colpevolezza o l’innocenza; e quello breve, in cui l’imputato ammette la sua colpa e il compito della corte è definire la pena, la riparazione.
Dmitri fin dal primo momento ha ammesso la sua colpa. Ha firmato non una, ma tre confessioni, una piú ampia dell’altra, in cui riferisce in dettaglio come ha violentato e poi strangolato Ana Magdalena Arroyo. Gli è stata data ogni opportunità per minimizzare la sua responsabilità (Forse aveva bevuto, la notte fatale? O la vittima è deceduta per disgrazia nel corso di un gioco erotico?), ma le ha rifiutate tutte. Quello che ha fatto è ingiustificabile, dice, imperdonabile. Non sta a lui decidere, gli rispondono gli inquirenti, se ciò che ha fatto è perdonabile o imperdonabile, quello che deve dire è perché ha fatto quello che ha fatto. È lí che la terza confessione si arresta bruscamente. – L’imputato ha rifiutato di cooperare ulteriormente, – riportano gli inquirenti. – L’imputato ha cominciato a usare un linguaggio volgare e violento.
Il procedimento è fissato per l’ultimo giorno del mese, quando Dmitri comparirà davanti al giudice e a due periti per la sentenza.
Due giorni prima del processo un paio di agenti in divisa bussano alla porta dell’appartamento dove ha preso una stanza in affitto e consegnano un messaggio a Simón: Dmitri ha chiesto di vederlo.
– Me? – dice. – Perché dovrebbe volermi vedere? Mi conosce a malapena.
– Non ne abbiamo idea, – dicono gli agenti. – Per favore venga con noi.
Lo portano alle celle di sicurezza. Sono le sei di sera; c’è il cambio del turno, e stanno per distribuire la cena ai detenuti. Lui deve aspettare un bel po’ prima di essere accompagnato in una stanza senz’aria, con un aspirapolvere in un angolo e due sedie spaiate, dove Dmitri, capelli tagliati di fresco, pantaloni kaki perfettamente stirati, camicia kaki e sandali, molto piú in forma del Dmitri guardiano del museo, lo attende.
– Come va, Simón? – lo saluta Dmitri. – Come sta la bella Inés, e il tuo bambino? Penso spesso a lui. Gli volevo bene, lo sai. Volevo bene a tutti i piccoli ballerini dell’Accademia. E loro volevano bene a me. Ma ora è finito, è tutto finito.
Lui, Simón, è già abbastanza irritato di essere stato convocato per quella visita; ed essere accolto da quel blabla sentimentale lo fa infuriare. – Compravi il loro affetto con le caramelle, – gli dice. – Che vuoi da me?
– Sei arrabbiato e lo capisco. Ho fatto una cosa terribile. Ho portato il dolore in molti cuori. Quel che ho fatto è ingiustificabile, ingiustificabile. Fai bene a voltarmi le spalle.
– Che vuoi, Dmitri? Perché sono qui?
– Sei qui, Simón, perché mi fido di te. Ho pensato a tutte le mie conoscenze, e tu sei quello di cui piú mi fido. Perché mi fido di te? Non perché ti conosco bene, non ti conosco bene, proprio come tu non conosci bene me. Ma mi fido di te. Tu sei un uomo affidabile, un uomo degno di fiducia. Chiunque lo può vedere. E sei discreto. Io stesso non sono discreto, ma ammiro la discrezione negli altri. Se mi toccasse un’altra vita sceglierei di essere un uomo discreto, degno di fiducia. Ma questa è la vita che ho, la vita che mi è stata assegnata. Sono, ahimè, quello che sono.
– Arriva al punto, Dmitri. Perché sono qui?
– Se vai giú nei magazzini del museo, e in fondo alle scale guardi a destra, vedrai tre schedari grigi contro il muro. Gli schedari sono chiusi a chiave. Avevo la chiave, ma qui me l’hanno sequestrata. Tuttavia, sono facili da forzare. Basta inserire un cacciavite nella fessura sopra la serratura e dargli un colpo secco. La striscia di metallo che chiude i cassetti cederà. Vedrai quando ci provi. È facile.
– Nell’ultimo cassetto del mobile di mezzo – l’ultimo cassetto del mobile di mezzo – c’è una cartella del tipo che usano gli scolari. Piena di carte. Voglio che le bruci. Bruciale tutte, senza guardarle. Lo farai? Posso fidarmi?
– Vuoi che io vada al museo a forzare uno schedario e rubare documenti e distruggerli. Quali altri crimini vuoi che commetta al tuo posto, perché non puoi commetterli tu da dietro le sbarre?
– Fidati di me, Simón. Io mi fido di te, devi fidarti di me. Quella cartella non ha nulla a che fare con il museo. È mia. Contiene beni personali. Tra pochi giorni sarò condannato, e chissà quale sarà la sentenza. Con ogni probabilità, non vedrò piú Estrella, non varcherò piú le porte del museo. In quella che chiamavo la mia città sarò dimenticato, consegnato all’oblio. E va bene cosí, è giusto, buono e giusto. Non voglio essere ricordato. Non voglio rimanere impresso nella memoria popolare solo perché i giornali sono riusciti a mettere le mani sui miei beni piú privati. Capisci?
– Capisco, ma non approvo. Non farò quel che mi chiedi. Invece farò questo: andrò dal direttore del museo e dirò: «Dmitri, che lavorava qui, mi dice che ci sono suoi beni privati, documenti e cosí via. Mi ha chiesto di recuperarli e restituirli a lui in carcere. Ho il permesso di farlo?» Se il direttore è d’accordo, ti porto quelle carte e le potrai eliminare come ti pare. Solo questo farò per te, nulla di illegale.
– No, Simón, no, no, no! Non puoi portarle qui, è troppo rischioso! Nessuno deve vedere quelle carte, nemmeno tu!
– L’ultima cosa al mondo che voglio è vedere queste tue cosiddette carte private. Sono sicuro che sono solo porcherie.
– Sí! Proprio cosí! Porcherie! Che è il motivo per cui vanno distrutte! Cosí che ci sia meno porcheria in giro per il mondo!
– No. Io mi rifiuto. Trova qualcun altro.
– Non c’è nessun altro, Simón, non mi fido di nessuno. Se non mi aiuti tu, non lo farà nessuno. Sarà solo una questione di tempo prima che qualcuno le trovi, e le venda ai giornali. Poi scoppierà di nuovo lo scandalo, e riaprirà tutte le vecchie ferite. Non devi lasciare che questo accada, Simón. Pensa ai bambini che mi volevano bene e che hanno illuminato i miei giorni. Pensa al tuo bambino.
– Già, lo scandalo. La verità è che non vuoi che si scopra la tua raccolta di immagini sconce, perché vuoi che la gente pensi bene di te. Vuoi che pensino a te come a un uomo mosso dalla passione, non come a un criminale con una predilezione per la pornografia. Ora vado –. Bussa alla porta, che si apre immediatamente. – Buona notte, Dmitri.
– Buona notte, Simón. Senza rancore, spero.
Arriva il giorno del processo. Il crime passionnel al museo è l’argomento di conversazione di tutta Estrella, come ha scoperto nei suoi giri in bicicletta. Anche se arriva al tribunale con un buon anticipo, c’è già una ressa di persone alle porte. Si fa strada nel foyer, dove trova un grande cartello stampato: «Cambiamento della sede del processo. L’udienza prevista per le 8,30 è stata riprogrammata. Si terrà alle ore 9,30 presso il Teatro Solar».
Il Teatro Solar è il piú grande di Estrella. Sulla strada per il teatro comincia a parlare con un uomo che ha con sé una bambina, non molto piú grande di David.
– Va al processo? – dice l’uomo.
Lui annuisce.
– Un gran giorno, – dice l’uomo. La bambina, vestita di bianco con un nastro rosso tra i capelli, gli fa un sorriso.
– Sua figlia? – chiede.
– La maggiore, – risponde l’uomo.
Si guarda intorno e vede molti altri bambini tra la folla che si accalca intorno al teatro.
– Pensa sia una buona idea portarla? – domanda. – Non è un po’ troppo piccola per questo genere di cose?
– Una buona idea? Dipende, – dice l’uomo. – Se c’è una quantità di disquisizioni giuridiche e lei si annoia forse la dovrò riportare a casa. Ma spero non la facciano tanto lunga e vengano subito al punto.
– Ho un figlio piú o meno della stessa età, – dice. – Devo dire che non avrei mai pensato di portarlo con me.
– Beh, – dice l’uomo, – suppongo ci siano diversi punti di vista. Per come la vedo io, un evento come questo può essere educativo, far capire ai giovani quanto possa essere pericoloso farsi affascinare dagli insegnanti.
– L’uomo sotto processo non è mai stato, per quanto ne so, un insegnante, – risponde lui seccamente. Poi, arrivati all’ingresso del teatro, padre e figlia vengono inghiottiti dalla folla.
La platea è già piena, ma trova un posto in balconata con vista sul palco dove è stato sistemato un lungo banco coperto di panno verde, presumibilmente per i giudici.
Le nove e mezzo arrivano, e poi passano. La sala è sempre piú calda e soffocante. La gente che continua ad affluire spinge da dietro, fino a che lui non si ritrova stretto contro la ringhiera. Sotto, molti si sono seduti nei corridoi. Un giovane intraprendente fa su e giú e vende bottiglie d’acqua.
Poi c’è un trambusto. Le luci sul palco si accendono. Scortato da un agente in uniforme, appare Dmitri con la catena alle caviglie. Accecato, si ferma a guardare il pubblico. L’agente lo mette a sedere in un piccolo spazio delimitato da una corda.
Silenzio. Dalle quinte emergono i tre giudici, o meglio il presidente e i suoi due periti con le toghe rosse. Come un’onda, la folla si alza in piedi. Il teatro a occhio e croce potrà contenere duecento persone; ma ce n’è almeno il doppio.
La folla si sistema. Il giudice dice qualcosa di impercettibile. L’agente di guardia a Dmitri balza avanti e regola il microfono.
– Lei è il detenuto noto come Dmitri? – chiede il giudice e fa cenno all’agente, che mette un altro microfono davanti all’imputato.
– Sí, Vostro Onore.
– Ed è accusato di aver violentato e ucciso tale Ana Magdalena Arroyo il cinque marzo di quest’anno.
Non è una domanda, ma una dichiarazione. Tuttavia Dmitri risponde: – La violenza e l’omicidio sono avvenuti nella notte del quattro marzo, Vostro Onore. Ho già sottolineato questo errore nel verbale. Il quattro marzo è stato l’ultimo giorno di Ana Magdalena su questa terra. Un giorno terribile, terribile per me, ma ancora piú terribile per lei.
– E lei si è dichiarato colpevole di entrambi i capi d’accusa.
– Tre volte. Ho confessato tre volte. Sono colpevole, Vostro Onore. Mi condanni.
– Calma. Prima di essere condannato avrà il diritto di rivolgersi alla corte, un diritto cui spero farà ricorso. In primo luogo avrà l’opportunità di discolparsi, poi la possibilità di chiedere la riduzione della pena. Capisce il significato di questi termini? Discolpa, riduzione della pena?
– Capisco perfettamente i termini, Vostro Onore, ma non hanno alcuna rilevanza nel mio caso. Non mi discolpo. Sono colpevole. Mi giudichi. Mi condanni. Mi colpisca con tutto il peso della legge. Non fiaterò, lo prometto.
La folla sottostante rumoreggia. – Giudicatelo! – grida qualcuno. – Taci! – risponde un altro grido. Mormorii, fischi smorzati.
Il giudice dà un’occhiata interrogativa ai suoi colleghi, prima uno, poi l’altro. Batte il martelletto una, due, tre volte. Il mormorio cessa, cala il silenzio.
– Mi rivolgo a tutti voi che vi siete dati la pena di venire qui oggi per veder fare giustizia, – dice. – Mi corre l’obbligo di ricordarvi che la giustizia non si fa in fretta, né per acclamazione, e certamente non mettendo da parte i protocolli di legge –. Si volta verso Dmitri. – La discolpa. Lei dice che non può o non vuole discolparsi. Perché no? Perché, dice, la sua colpa è innegabile. E io le chiedo chi è lei per contrastare questo procedimento e decidere della questione in esame presso la corte, che è appunto la questione della sua colpa?
La sua colpa:...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. I giorni di scuola di Gesú
  4. Capitolo primo
  5. Capitolo secondo
  6. Capitolo terzo
  7. Capitolo quarto
  8. Capitolo quinto
  9. Capitolo sesto
  10. Capitolo settimo
  11. Capitolo ottavo
  12. Capitolo nono
  13. Capitolo decimo
  14. Capitolo undicesimo
  15. Capitolo dodicesimo
  16. Capitolo tredicesimo
  17. Capitolo quattordicesimo
  18. Capitolo quindicesimo
  19. Capitolo sedicesimo
  20. Capitolo diciassettesimo
  21. Capitolo diciottesimo
  22. Capitolo diciannovesimo
  23. Capitolo ventesimo
  24. Capitolo ventunesimo
  25. Capitolo ventiduesimo
  26. Capitolo ventitreesimo
  27. Il libro
  28. L’autore
  29. Dello stesso autore
  30. Copyright