Il giorno seguente inizia puntuale, e altri ne iniziano, durante i quali Giulio continua a essere in incognito ma è costretto a uscire strisciando lungo i muri e con addosso un orribile piumino giallo acquistato al mercato di piazza Madama. La sua speranza, abbastanza sensata, è che se anche qualcuno dovesse vederlo per strada, penserebbe: «Sembra proprio Giulio De Marchi ma non può essere lui, con quel piumino giallo». Un po’ come Non è Francesca col vestito rosso, se ricordate bene. D’altra parte, per mettere il suggello al suo piano Recupero Vita, uscire era indispensabile e quindi lo ha fatto, approfittandone anche per fare un po’ di spesa, dopo tre giorni in cui si cibava solo di quello che aveva in casa, e cioè spaghetti e olio. Neanche il parmigiano.
Per sua fortuna, però, sua mamma, come molte altre dame del circondario, è tutta presa dalla faccenda Cerrato-Accorsi, ovvero dalla scomparsa di entrambi contemporaneamente. In particolare, all’atelier Simoni fioccano le domande sull’assenza di Marianna.
– Si è suicidata? – chiede pensandosi spiritosa Titti Tolmello, vicedirettrice del Museo del Lume Artigianale Piemontese.
– Ma come! – ridacchia acida Fedora Cruciani, segretaria del presidente della grande banca cittadina, – proprio adesso che sta per fare un matrimonio da FAVOLA con quel simpatico ragazzo gay…
– Io ho ricominciato a chiamarli ricchioni, – annuncia indomita Clotilde Castelli, una donna sempre piú amareggiata. Da quando Sting le ha scostato la sedia per farla accomodare, alla famosa cena Mondadori, e poi ha parlato per tutta la sera col direttore del Conservatorio che gli stava seduto accanto, ignorandola con estrema cortesia, Clotilde non crede piú nella propria femminilità, e prova solo abiti a sacco. Marida non aveva una collezione di abiti a sacco, ma ne ha prontamente messa in lavorazione una, a prezzi esorbitanti, apposta per lei.
– Ti ammiro! – approva Titti, che sta cercando di entrare in un vestito 42 pur portando la 46. È una delle attività in cui consuma la maggior parte delle energie che non dedica al Lume Piemontese, cioè parecchie. – Non ho mai capito, in effetti, perché si facciano chiamare gay. Cos’avranno da stare tanto allegri, poi? Ah ah ah!
– Ah ah ah! – fanno eco, felici, Fedora e Clotilde. Marida le osserva, e aggiunge mentalmente trecentocinquanta euro al prezzo dei vestiti che si stanno provando. Ne ricaverà circa mille euro da versare alla Fondazione per L’Adozione Indiscriminata.
– Forse sono allegri perché non corrono il rischio di sposare donne come voi, – commenta, con un gran sorriso.
Le tre non sanno bene come prenderla, ma i vestiti che stanno provando sono cosí belli che decidono di non correre rischi e si esibiscono in un ulteriore «Ah ah ah!».
– E comunque, purtroppo per lui, il ricchione in questione non sposerà Marianna. Il matrimonio è stato annullato.
E mai vi dirò perché, ramarri che non siete altro, pensa Marida, notando con soddisfazione che Titti Tolmello, questa volta, non ce la fa, e dopo aver strappato tre cuciture al punto vita, deve deporre l’incantevole tubino lavanda taglia 42.
– Sono contenta! Almeno una è sistemata, ed è tutto merito di Gianmaria, che vi ha fatto conoscere Accorsi!
Consolata Pettinengo e Maria Cristina Cerrato stanno esaminando con un certo distaccato interesse delle fragole impilate sui banchi del mercato di piazza Carlina. Non fanno veramente la spesa: a quella di casa Pettinengo ci pensa la cuoca, e a quella di casa Cerrato Eleonora, ma come tante signore della zona trovano piacevole aggirarsi fra i banchi con uno shopper di tela, e fingere di occuparsi della conduzione domestica. Dopo aver palpeggiato una fragola e aver saggiato con l’indice la spina di un carciofo, Maria Cristina sospira con moderata soddisfazione:
– Davvero! Un uomo tanto a posto! Sono in Inghilterra, adesso. Al Lake District… cosí poetico… ci sono stata con Gianandrea… sai… Coleridge…
Consolata non sa chi sia Coleridge, e non le sembra importante saperlo. Sta per commentare che Marianna è fortunata a essere in Inghilterra proprio in questo periodo, ha visto che da Harrods ci sono delle offerte favolose, quando Maria Cristina risospira, questa volta con un certo pathos.
– Eh sí. Mi sono tolta un bel peso dal cuore. Ma la povera Eleonora…
– La povera Eleonora? – chiede speranzosa Consolata. Avesse anche lei una storiaccia truce! Possibilmente con uno di questi calciatori che vanno per la maggiore, quelli dell’Est con i capelli rasati. Un serbo, magari. I serbi, a Consolata, fanno una paura boia.
– Ehh… lo sai… aveva fatto un pensiero su Giulio Balbis… e anche lui… sembrava… invece… abbiamo saputo che… – Maria Cristina lascia abilmente la frase in sospeso, e Consolata coglie il testimone con destrezza.
– Non dirmi niente, guarda. Non dirmi niente! Un tale choc. Non ci potevo credere. La MIA tata! Una nigeriana che pare abbia stretti legami con la camorra del posto. Adriana dice che quelli della camorra nigeriana sono terribili, rapiscono le ragazze dell’Isis… o forse sono quelli dell’Isis che rapiscono le ragazze della camorra nigeriana. Comunque, Adriana dice che a capo di tutto ci sono i mafiosi ucraini e…
– Consolata –. Per una volta in vita sua Maria Cristina è ferma, quasi prepotente. – Lascia perdere mafia e camorra. Il punto è che Giulio si porterà quella ragazza a Lecce! Convivono!
– Ma lo soooo! Dovresti vedere Adriana in che stato è. Uno straccio. Rudi non sa piú cosa fare per tirarla su. Ha prenotato un resort a Bali per Pasqua, ma secondo me…
E Consolata riscuote la testa, come per dire: cosa vuoi che possa fare un resort a Bali, quando tuo figlio sta per mettersi con una nigeriana collegata alla camorra nigeriana?
– Certo che quella ragazza… non perché sia di colore, figurati!…
– Oh, ma certo! Io per prima l’avevo presa come tata per Clara Sofia, no? Però che fosse una tale meschina, avida, falsa ipocrita bugiarda…
– … ma anche lui, però, scusa Consolata, anche lui… te l’ha messa in casa!
– Eh già! E ha illuso tua figlia… e intanto, guarda, scommetto che in Nigeria si sono pure sposati.
– Oh, facile. Un matrimonio nigeriano. Magari da noi non è valido, però…
– Come si sposano in Nigeria? Sono cristiani?
– Mah… bisogna ancora vedere se non sono… cosi –. Maria Cristina fissa il vuoto, cercando di ricordarsi come si chiama quella religione che ti infili le ossa nel naso e fai i riti pestando piedi e tamburi al villaggio.
– Intendi dire animisti?
Bingo per Consolata, che di recente ha trovato questa parola nella «Settimana Enigmistica».
– Eh, animisti.
Segue un attimo di silenzio, durante il quale le cugine si spostano verso il banco delle tovaglie.
– È ancora a casa tua?
– Certo. I suoi quindici giorni se li fa tutti, e guai se sgarra. Lui deve tornare a Torino per le vacanze di Pasqua, ma non è ancora arrivato. Verrà a prenderla la settimana prossima. E se la porti pure via, che non la sopporto piú.
– E molto presto non la sopporterà piú neanche lui, vedrai… rimpiangerà Eleonora, oh se la rimpiangerà… Che poi lei adesso… – Maria Cristina non sa se confidarsi o no. Si rende conto che tra confidarsi con Consolata e pubblicare un annuncio a pagamento su «La Stampa» c’è pochissima differenza, però ha tanto bisogno di dividere le sue pene materne.
– Eleonora cosa? – Consolata, avida, lascia cadere la tovaglia rotonda diametro 110 a papaveri e fiordalisi e si sporge verso Maria Cristina. Calciatore serbo?
– Frequenta un maestro di ballo! – esala la madre, e china gli occhi.
Consolata ride… capirai… un maestro di ballo ci sta. Non avrà neanche la cresta, casomai tanto gel. – E dài… sarà solo per distrarsi… noi lo facevamo coi maestri di tennis…
– Ma i maestri di tennis di solito erano di buona famiglia!
– E quando mai! Il mio era figlio di un pescivendolo di Porta Palazzo! Te lo ricordi? Roberto! Due spalle…
Maria Cristina annuisce, ma non si sente affatto meglio.
E arriva finalmente il momento in cui l’ultima firma è stata posta, e Giulio può telefonare a Eleonora. – Hai voglia di venire qui da me? Non posso uscire.
– Perché?
– Perché non posso farmi vedere in giro e devo parlarti di una cosa. È importante.
– Per chi?
– Ah, ti amo anche per questo, perché fai sempre le domande giuste.
– Che brutto motivo.
– Anche, ho detto.
Stanno zitti un attimo. Lui si rende conto di averle detto «ti amo» in modo veramente scarso, lei si rende conto che lui le ha detto «ti amo».
Quando arriva nella mansarda di via Belfiore angolo via Berthollet, Eleonora pensa di aver recuperato sufficiente padronanza di sé. Quindi è con un certo stupore che invece appena entrata si avventa su Giulio, che a sua volta si avventa su di lei, e lo bacia fino a rovesciarsi come una maglietta in lavatrice.
– Va bene, – dice lui. – Va bene, ma aspetta. Prima ti devo dire una cosa.
– Non mi interessa.
– Ti interessa. Aspetta. Ho venduto la mia casa a Uzzone. Ho trentamila euro.
Eleonora si mette a due metri da lui, prende un biscotto vecchio da un piatto di biscotti vecchi, e commenta:
– Non è molto, per una casa.
– Per quella, è piú che abbastanza. È poco piú che una rovina, e comunque è a Uzzone.
– Cioè?
– Alta Langa. Vicino a Cortemilia. Spersa nel bosco. Ma, e qui sta il suo unico valore commerciale, ai margini del Borgo degli Artisti.
– Non so cosa sia.
– È un agglomerato di case ristrutturate in cui passano le vacanze o anche vivono stabilmente scrittori, artisti, c’è una fotografa… un oboista… e ci va pure Giancarlo Fonzarelli.
– Lo scrittore?
– Eh. Lui. Ci va ospite degli amici, ma una casa sua non ce l’ha e la vorrebbe da matti. Sono anni che mi chiede di vendergli la mia, ma io gli ho sempre detto di no.
– Perché? Vuoi diventare un artista e vivere a Uzzone?
– No, ma pensavo che un giorno avrei avuto una moglie, e dei bambini, e d’estate li...