Il bosco degli urogalli
eBook - ePub

Il bosco degli urogalli

  1. 192 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il bosco degli urogalli

Informazioni su questo libro

Storie di cacciatori, di animali selvatici, di cani, di montagne in cui si respira l'anima degli spazi aperti e di paesaggi impervi solo sfiorati dalla presenza umana. Rigoni sa rendere la limpida immediatezza di ciò che ci circonda e insieme un accento di fiducia nella vita, sprigionando un sentimento altamente poetico e un genuino amore per il suo mondo alpino. Il bosco degli urogalli narra di villaggi chiusi nell'inverno con il grato fuoco delle cucine, della solitudine delle albe per i sentieri delle montagne, dei silenzi che riempiono i boschi, attraverso un linguaggio lirico e allo stesso tempo semplice che restituisce al lettore i paesaggi fraterni e familiari del «sergente Rigoni Stern».

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Il bosco degli urogalli di Mario Rigoni Stern in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Scienze biologiche e Ecologia. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
Print ISBN
9788806239237
eBook ISBN
9788858410189
Categoria
Ecologia

Vecchia America

Correva l’anno 1890 e aveva vent’anni. Era sempre vissuto nel vecchio paese dai tetti erti di scandole, le mura basse, le finestre strette e gli orti con gli steccati. Tutto intorno boschi e montagne. Una strada lo collegava con la pianura. Fino a poco tempo prima c’era solo una mulattiera con il lastricato lisciato dagli zoccoli dei muli e dalle scarpe chiodate.
Andare con le colonne dei muli era il suo mestiere. In pianura portavano, sui basti, tela di lino filata dalle donne nel lungo inverno, mastelli e altri oggetti di legno, formaggio, burro, pelli grezze e lavorate. In su saliva farina per polenta, pezze di fustagno, vino negli orci di pelle di capra, stoviglie e quanto altro poteva servire al paese.
Arrivavano fino a Padova ed oltre; il viaggio durava una settimana. Al ritorno una piccola folla attendeva vicino alla fontana della piazza e volevano sentire le novità del mondo. Di quel mondo che si fermava a Padova con i suoi commerci, l’Università, il Pedrocchi, le mattane degli studenti.
Queste cose a lui non interessavano. Voleva solo lavorare e sentirsi stanco alla sera, quando si buttava sul saccone di foglia di granoturco. Era diverso dal fratello piú vecchio. Questi si interessava dei commerci della famiglia, e, a Padova, andava al Pedrocchi a discutere con i due cugini studenti e con lo zio professore, a veder passeggiare le donne dal Canton del Gallo. Lui si interessava solo dei muli – quello orbo era il suo prediletto – del formaggio, degli stalli, dei basti e dei carichi.
D’estate, poi, restava in malga con mandriani e caciai. Visse in questo suo mondo sino a quando partí per andare alla visita di leva.
Tutti i coscritti erano in gran festa: la fisarmonica, la bandiera, canti, fazzoletti colorati sui vestiti di velluto della festa. C’erano da fare cinquanta chilometri di strada a piedi per arrivare al Distretto, ma vi erano osterie e ragazze. Anche con pochi centesimi in tasca si può essere contenti.
Naturalmente venne fatto abile ma all’estrazione levò un numero basso: trenta mesi. Venne assegnato all’artiglieria da fortezza e se ne ebbe a male, perché tutti gli altri paesani erano stati fatti abili per gli alpini. Ma era quello il volere del re. D’altronde suo nonno aveva fatto sette anni sotto Ferdinando d’Austria. Sette anni per la Boemia, l’Ungheria e la Croazia ed era stato congedato, infine, soldato scelto dell’Imperial Regio Governo di Ferdinando. Gliene raccontava di storie, quando lui era bambino, nelle sere d’inverno, al chiarore della lucerna ad olio e con il vento che urlava sul tetto.
Andò in Piemonte. Ad Alessandria della Paglia, dice ancora adesso che è per i novanta. – Trenta mesi. Ma quelli che andavano in cavalleria, – precisa, – facevano cinque anni.
Dopo un anno di istruzione – ordine chiuso, piazza d’armi, ginnastica e brusca e striglia ai cavalli – lo mandarono verso i confini della Francia. Prima a Susa poi a Cesana, Ulzio, Clavière, e, infine, sul monte Chaberton, a piú di tremila metri. E qui a scavare mulattiere e strade per i fianchi di quell’alta montagna, dove nevica anche d’estate. E a tirar su cannoni a forza di braccia. Tutta la batteria al comando del capitano: «Ohh, forzaa!» e avanti un metro. «Ohh, forzaa!» un altro metro. Per giorni e settimane, finché i cannoni furono sulla vetta nelle loro postazioni. Da dove – dice – si poteva sparare su quattro province della Francia. Ogni tanto lo passavano dalla batteria alta alla batteria bassa.
Si stava bene lassú. Ma ogni venerdí c’era da fare la marcia verso quelle frontiere. Come dice la canzone: «Al venerdí santissimo la marcia c’è da far | Sia maledetto il Chaberton | Sia maledetto il Chaberton e i monti da scalar…»
Durante una marcia il tenente vice comandante della batteria volle provare i garretti di quel soldato veneto dagli occhi azzurri e mentre tutti gli altri soldati salivano per il normale sentiero, lo invitò a seguirlo e insieme presero la montagna di petto per rocce e burroni come i camosci. Arrivarono alla batteria che gli altri non erano ancora a metà strada e il soldato dagli occhi azzurri sorrideva felice e sudato perché l’ufficiale non era riuscito a staccarlo. Il tenente lo volle suo attendente. E lustrava stivali, puliva la sciabola e la pistola, e mentre gli altri faticavano attorno ai pezzi, fumava la pipa guardando tra le valli i paesetti dispersi o, in alto, le cime scintillanti di ghiacci.
Un giorno lo chiamarono al comando di batteria. Entrò e salutò:
– Agli ordini, – disse.
Il capitano lo guardava tenendo in mano un foglio giallo.
– Soldato, – disse il capitano, – il comando carabinieri del paese comunica che vostra madre sta male. Siete mai andato in licenza?
– Signor no, – fece lui.
– Da quanto siete in servizio?
– Da ventiquattro mesi, signor comandante.
– Allora preparatevi. Sergente, – disse rivolgendosi al furiere, – prepari una licenza di cinque piú sette a nome di questo bravo soldato.
Stava sempre lí, sull’attenti, senza rendersi conto di quello che stava accadendo. Quindi il capitano si rivolse di nuovo a lui:
– Avete i soldi per il viaggio?
– Ho due lire, signor capitano.
– Bene, a un bravo soldato cinque lire le dà il suo capitano. Andate.
Lui, che era il piú giovane dei figli, giunse al paese in tempo per chiudere gli occhi alla madre. Dopo averla messa a riposare per sempre sulla collina dietro la chiesa, ripartí per la frontiera a terminare i trenta mesi di servizio per il re d’Italia.
Venne finalmente la cerimonia del congedo. Erano tutti schierati in quadrato attorno alla batteria. Il vento faceva crepitare la bandiera e portava fin lassú il suono delle campane e l’odore del fieno che essiccava nella valle.
Il capitano salutò i suoi bravi soldati e in nome del re – qui tutti scattarono sull’attenti – li ringraziò per l’onorevole servizio prestato. Sperava che serbassero buon ricordo dei loro ufficiali e che la disciplina e l’onore fossero sempre loro compagni per le strade del mondo.
Andò a salutare il suo tenente. Dovette lasciargli l’indirizzo e accettare tre lire per viatico. Salí un’ultima volta alla batteria e si soffermò un poco vicino al grande cannone da centoquarantanove. Un artigliere aveva scritto sul cemento della piazzola: «Quando io parlo la terra trema». Un tale aveva anche scritto «Questa è una vita triste». Un sergente aveva immediatamente provveduto a cancellare queste parole deprimenti, perché nessun ufficiale se ne accorgesse: ma restavano ancora le tracce di qualche lettera.
Scese con il cuore allegro per la mulattiera del monte Chaberton.
Andavano alla caserma di Alessandria della Paglia a consegnare il corredo. Cantavano: «Trenta mesi non sono trent’anni | e al ritorno faremo l’amor…» Un toscano cantò a squarciagola lo stornello: «Umberto primo, Re del Regno | quanti sospiri e pianti tu mi fai fare | Se vuoi soldati, fatteli di legno. | Se vuoi soldati, fatteli di legno | Ma il mio Morino lasciamelo stare».
Dopo sette giorni era a casa con il foglio di congedo. Era grande, con bandiere intrecciate, svolazzi, soldati, armi e una donna con il castello sulla testa che rappresentava l’Italia. E scritto in rotondo: «Il Caporale dell’Artiglieria da Fortezza…» Da mettere in cornice a ricordo dei trenta mesi.
Finito il buon tempo. Vi era tanto da lavorare: la legna per l’inverno, la malga, il fieno da falciare, i muli e i commerci con la pianura.
Ma non sempre gli affari andavano bene. La crisi poteva essere anche causata dalla mancanza di una donna che in casa sapesse far filar bene gli uomini. Anche il vecchio padre chiuse gli occhi: anche lui andò a riposare sulla collina dietro la chiesa.
A dirigere tutto era rimasto il fratello maggiore. Quello che guardava le donne dal Pedrocchi di Padova.
Nella primavera del novantacinque si fece fare il certificato di battesimo dal parroco e, assieme ad una lunga fila di paesani e a un fratello, varcò i confini con l’Austria. Salivano le valli tirandosi dietro un carrettino o spingendo una carriuola con poche cose e gli attrezzi da lavoro.
In Austria rimase un mese lavorando saltuariamente qua e là finché passò in Germania a cavar ferro dalle miniere. Qui, sempre assieme al fratello, rimase un anno. Lavoravano a cottimo ed era duro e amaro: e il sorvegliante germanico li frodava sul compenso pattuito, per farsi bello agli occhi del padrone. Esasperati, gli fecero passare un brutto guaio in fondo alla miniera e sconfinarono in Francia.
Altri due anni a far strade. – Allez! Allez! – gridava il caposquadra, – spingete la carriuola e correte fino a prendere la ruota!
Un paesano, che parlava bene il francese, venne a frodarli ben peggio del sorvegliante germanico: quando ritiravano la paga si faceva versare una percentuale da tutti perché altrimenti li avrebbe fatti licenziare. Una sera, con il consenso del padrone, presero il paesano e lo pestarono ben bene come un baccalà.
– Allez, allez, mes enfants! – incitava il sorvegliante, – ça va.
E, fattolo accompagnare al treno da due gendarmi, lo rispedirono in Italia con il foglio di via obbligatorio.
Da casa il fratello maggiore scrisse di questo tale che era rimpatriato e che molta gente andava in America. «America» suonò per loro come terra promessa. Bisognava solo passare quella che chiamavano «la Gran Pozza».
– Che facciamo, fratello? Andiamo in America?
– Sí, fratello, a casa potremo sempre tornarci un giorno. Ma se non andiamo in America ora, non ci andremo mai piú.
– Facciamo cosí: parte uno solo, poi, a seconda di come vanno le cose, partirà l’altro.
– D’accordo, fratello.
Non c’era bisogno di tante carte e documenti per girare il mondo: delle buone braccia erano il migliore passaporto. In autunno un fratello si imbarcò su un vecchio vapore francese. La primavera successiva l’altro lo seguí su una nave norvegese e, dopo quindici giorni, lo raggiunse nello stato del Michigan.
Dormivano, mangiavano, lavavano la biancheria e si rattoppavano i pantaloni in una stanza che avevano presa in affitto. Il lavoro era duro e mal pagato; dovevano, a contratto, cavare sassi per calcina e caricarli sui vagoni della ferrovia ed erano pagati per un certo numero di vagoni. Per tutta l’estate cosí, con la polvere bianca che ti entrava nell’anima e il sudore che s’attaccava tra camicia e pelle. D’inverno il lavoro si fermava per il gelo e la neve.
Nella stanza faceva freddo e non c’erano soldi per il riscaldamento, non sussidi di disoccupazione, non enti assistenziali. Bisognava arrangiarsi.
Poco lontano passava la ferrovia; a una curva, prima di entrare in aperta campagna, i treni carichi di carbone rallentavano la corsa. Un amico disse:
– Arrangiatevi. Io vi impresto il cavallo e il carro.
Quando il macchinista fece rallentare il treno, salirono sui vagoni e si misero di lena a buttar giú pezzi di carbone. Uno dei due, dopo averne buttato a sufficienza, con un balzo scese a terra. L’altro lo vide, saltò anche lui e, credendo che il fratello fosse stato visto da un guardiano o da un frenatore, si mise a correre alla disperata per la campagna. Quell’altro vedendo il fratello correre, si mise sulle sue peste.
Corsero per un pezzo sulla neve fradicia e sporca. I cani, nelle fattorie, latravano alla luna. Corsero e corsero finché sfiniti, si lasciarono cadere sulla neve. Quando riuscirono a parlare.
– Dove sono, fratello? – chiese uno.
– Non li vedo, – rispose l’altro.
– Li abbiamo persi, per nostra fortuna. Quanti erano? non ti fermavi mai.
– Eri tu che correvi sempre. Ma io non avevo visto nessuno.
– Come non hai visto nessuno? Questa è bella! Perché allora scappavi?
– Eri tu che correvi. Ho visto che, quando sono sceso dal treno, hai alzato i tacchi.
– Ma io credevo… Ma questa sí che è bella!
– Se è cosí abbiamo corso per niente e ora dobbiamo rifare tutta la strada. Speriamo che il cavallo non sia scappato.
Ritornarono sui loro passi mosci e silenziosi. Trovarono il cavallo che li aspettava paziente, caricarono il carretto e per tutto l’inverno il camino fumò alto.
La primavera successiva andarono a Chicago, sperando di trovare un lavoro piú redditizio. Lo trovarono alla compagnia del gas e tutte le sere, con una lunga pertica, giravano per il quartiere loro assegnato ad accen...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione di Paolo Cognetti
  4. Il bosco degli urogalli
  5. Di là c’è la Carnia
  6. La vigilia della caccia
  7. Una lettera dall’Australia
  8. Vecchia America
  9. Alba e Franco
  10. Le volpi sotto le stelle
  11. Incontro in Polonia
  12. Oltre i prati, tra la neve
  13. Dentro il bosco
  14. Esame di concorso
  15. A caccia con l’Australiano
  16. Chiusura di caccia
  17. Il libro
  18. L’autore
  19. Dello stesso autore
  20. Copyright