
- 328 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Le Tigri di Mompracem
Informazioni su questo libro
È con queste parole che ha inizio uno dei romanzi piú celebri e avvincenti di Emilio Salgari. Capo delle Tigri di Mompracem, una banda di pirati ribelli che lottano contro le potenze britanniche e olandesi, è Sandokan, la «Tigre della Malesia», il principe-pirata spodestato dagli inglesi che hanno sterminato tutta la sua famiglia. Affascinato dai racconti del fido Yanez su una meravigliosa fanciulla dai «capelli biondi come l'oro, gli occhi piú azzurri del mare, le carni bianche come l'alabastro», Sandokan decide di salpare verso la desertica isola di Labuan, dove, per vedere almeno una volta la bella Marianna, si imbatterà in ogni sorta di pericoli e avventure.
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Informazioni
Le Tigri di Mompracem
I.
I pirati di Mompracem
La notte del 20 dicembre 18491 un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem2, isola selvaggia, di fama sinistra, covo di formidabili pirati3, situata nel mare della Malesia, a poche centinaia di miglia dalle coste occidentali del Borneo.
Pel cielo, spinte da un vento irresistibile, correvano come cavalli sbrigliati, e mescolandosi confusamente, nere masse di vapori, le quali, di quando in quando, lasciavano cadere sulle cupe foreste dell’isola furiosi acquazzoni; sul mare, pure sollevato dal vento, s’urtavano disordinatamente e s’infrangevano furiosamente enormi ondate, confondendo i loro muggiti cogli scoppi ora brevi e secchi e ora interminabili, delle folgori.
Né dalle capanne allineate in fondo alla baia dell’isola, né sulle fortificazioni che le difendevano, né sui numerosi navigli ancorati al di là delle scogliere, né sotto i boschi, né sulla tumultuosa superficie del mare, si scorgeva alcun lume; chi però, venendo da oriente, avesse guardato in alto, avrebbe scorto sulla cima di un’altissima rupe, tagliata a picco sul mare, brillare due punti luminosi, due finestre vivamente illuminate.
Chi mai vegliava in quell’ora e con simile bufera, nell’isola dei sanguinari pirati? Tra un labirinto di trincee sfondate, di terrapieni cadenti, di stecconati divelti, di gabbioni sventrati presso i quali scorgevansi ancora armi infrante e ossa umane, una vasta e solida capanna s’innalzava, adorna sulla cima di una grande bandiera rossa4 con nel mezzo una testa di tigre.
Una stanza di quell’abitazione è illuminata, le pareti sono coperte di pesanti tessuti rossi, di velluti e di broccati di gran pregio, ma qua e là sgualciti, strappati e macchiati, e il pavimento scompare sotto un alto strato di tappeti di Persia, sfolgoranti d’oro, ma anche questi lacerati e imbrattati. Nel mezzo sta un tavolo d’ebano intarsiato di madreperla e adorno di fregi d’argento, carico di bottiglie e di bicchieri del piú puro cristallo; negli angoli si rizzano grandi scaffali in parte rovinati, zeppi di vasi riboccanti di braccialetti d’oro, di orecchini, di anelli, di medaglioni, di preziosi arredi sacri contorti o schiacciati, di perle provenienti senza dubbio dalle famose peschiere di Ceylan, di smeraldi, di rubini e di diamanti5 che scintillano come tanti soli sotto i riflessi di una lampada dorata sospesa al soffitto.
In un canto sta un divano turco colle frangie qua e là strappate; in un altro un armonium di ebano colla tastiera sfregiata e all’ingiro in una confusione indescrivibile stanno sparsi tappeti arrotolati, splendide vesti, quadri dovuti forse a celebri pennelli, lampade rovesciate, bottiglie ritte o capovolte, bicchieri interi o infranti e poi carabine indiane rabescate, tromboni di Spagna, sciabole, scimitarre, accette, pugnali, pistole.
In quella stanza cosí stranamente arredata un uomo sta seduto su una poltrona zoppicante: è di statura alta, slanciata, dalla muscolatura potente, dai lineamenti energici, maschi, fieri e d’una bellezza strana.
Lunghi capelli gli cadono sugli omeri: una barba nerissima gli incornicia il volto leggiermente abbronzato.
Ha la fronte ampia, ombreggiata da due stupende sopracciglia dall’ardita arcata, una bocca piccola che mostra dei denti acuminati come quelli delle fiere e scintillanti come perle; due occhi nerissimi, d’un fulgore che affascina, che brucia, che fa chinare qualsiasi altro sguardo.
Era seduto da alcuni minuti, collo sguardo fisso sulla lampada, colle mani chiuse nervosamente attorno alla ricca scimitarra, che gli pendeva da una larga fascia di seta rossa, stretta attorno a una casacca di velluto azzurro a fregi d’oro.
Uno scroscio formidabile che scosse la gran capanna fino alle fondamenta, lo strappò bruscamente da quella immobilità. Si gettò indietro i lunghi e inanellati capelli, si assicurò sul capo il turbante6 adorno di uno splendido diamante grosso quanto una noce, e si alzò di scatto, gettando all’intorno uno sguardo nel quale leggevasi un non so che di tetro e di minaccioso.
– È mezzanotte, – mormorò egli. – Mezzanotte e non è ancora tornato!
Vuotò lentamente un bicchiere pieno di un liquido color dell’ambra, poi aprí la porta, s’inoltrò con passo fermo fra le trincee che difendevano la capanna e si fermò sull’orlo della gran rupe, alla cui base ruggiva furiosamente il mare. Stette là alcuni minuti colle braccia incrociate, fermo come la rupe che lo reggeva, aspirando con voluttà i tremendi soffi della tempesta e spingendo lo sguardo sullo sconvolto mare, poi si ritirò lentamente, rientrò nella capanna e si arrestò dinanzi all’armonium. – Quale contrasto! – esclamò. – Al di fuori l’uragano e qua io! Quale il piú tremendo?
Fece scorrere le dita sulla tastiera traendo dei suoni rapidissimi e che avevano qualche cosa di strano, di selvaggio e che poi rallentò finché si spensero fra gli scrosci delle folgori e i fischi del vento.
Ad un tratto volse vivamente il capo verso la porta lasciata semiaperta. Stette un momento in ascolto, curvo innanzi, cogli orecchi tesi, poi uscí rapidamente, spingendosi fino sull’orlo della rupe.
Al rapido chiarore di un lampo vide un piccolo legno, colle vele quasi ammainate, entrare nella baia e confondersi in mezzo ai navigli ancorati.
Il nostro uomo accostò alle labbra un fischietto d’oro e mandò tre note stridenti; un fischio acuto vi rispose un momento dopo.
– È lui, – mormorò con viva emozione. – Era tempo!
Cinque minuti dopo un essere umano avvolto in un ampio mantello grondante d’acqua, si presentava dinanzi alla capanna.
– Yanez! – esclamò l’uomo dal turbante, gettandogli le braccia al collo. – Sandokan7! – esclamò il nuovo venuto, con un accento straniero marcatissimo. – Brrr! Che notte d’inferno, fratellino mio.
– Vieni!
Attraversarono rapidamente le trincee ed entrarono nella stanza illuminata, chiudendo la porta.
Sandokan riempí due bicchieri8 e porgendone uno allo straniero che si era sbarazzato del mantello e della carabina che portava ad armacollo, gli disse, con accento quasi affettuoso:
– Bevi, mio buon Yanez.
– Alla tua salute, Sandokan.
– Alla tua.
Vuotarono i bicchieri e si assisero dinanzi al tavolo.
Il nuovo arrivato era un uomo sui trentatre o trentaquattro anni, cioè un po’ piú anziano del compagno. Era di media statura, robustissimo, dalla pelle bianchissima, i lineamenti regolari, gli occhi grigi, astuti, le labbra beffarde, e sottili, indizio di una ferrea volontà. A prima vista si capiva che era un europeo non solo, ma che doveva appartenere a qualche razza meridionale.
– Ebbene, Yanez, – chiese Sandokan, con una certa emozione, – hai veduta la fanciulla dai capelli d’oro?
– No, ma so quanto volevi sapere.
– Non sei andato a Labuan9?
– Sí, ma capirai che su quelle coste guardate dagli incrociatori inglesi, riesce difficile lo sbarco a gente della nostra specie.
– Parlami di questa fanciulla. Chi è?
– Ti dirò che è una creatura meravigliosamente bella, tanto bella da essere capace di stregare il piú formidabile pirata.
– Ah! – esclamò Sandokan.
– Mi dissero che ha i capelli biondi come l’oro, gli occhi piú azzurri del mare, le carni bianche come l’alabastro. So che Alamba, uno dei nostri piú feroci pirati, la vide una sera passeggiare sotto i boschi dell’isola e che fu tanto colpito da quella bellezza, da fermare la sua nave per meglio contemplarla, a rischio di farsi massacrare dagli incrociatori inglesi.
– Ma a chi appartiene?
– Da alcuni si dice che sia figlia di un colono, da altri di un lord, da altri ancora che sia nientemeno che parente del governatore di Labuan.
– Strana creatura, – mormorò Sandokan, comprimendosi colle mani la fronte.
– E cosí?... – chiese Yanez.
Il pirata non rispose. Si era bruscamente alzato in preda a una viva emozione e si era portato dinanzi all’armonium, facendo scorrere le dita sui tasti.
Yanez si limitò a sorridere e staccata da un chiodo una vecchia mandola, si mise a pizzicare le corde, dicendo:
– Sta bene! Facciamo un po’ di musica.
Aveva però appena cominciato a suonare un’arietta portoghese, allorquando vide Sandokan avvicinarsi bruscamente al tavolo, puntandovi sopra le mani con tale violenza, da farlo piegare.
Non era piú lo stesso uomo di prima: la sua fronte era burrascosamente aggrottata, i suoi occhi mandavano cupi lampi, le sue labbra, ritiratesi, mostravano i denti convulsivamente stretti, le sue membra fremevano. In quel momento egli era il formidabile capo dei feroci pirati di Mompracem, era l’uomo che da dieci anni insanguinava le coste della Malesia, l’uomo che per ogni dove aveva dato terribili battaglie, l’uomo la cui straordinaria audacia, e il suo indomito coraggio gli avevano valso il nomignolo di Tigre della Malesia.
– Yanez! – esclamò egli con un tono di voce, che piú nulla aveva d’umano. – Cosa fanno gl’inglesi a Labuan?
– Si fortificano, – rispose tranquillamente l’europeo.
– Forse che tramano qualche cosa contro di me?
– Lo credo.
– Ah! Tu lo credi? Che osino alzare un dito contro la mia Mompracem! Di’ a loro che si provino a sfidare i pirati nei loro covi! La Tigre li distruggerà fino all’ultimo e berrà tutto il loro sangue. Dimmi, che cosa dicono di me?
– Che è ora di finirla con un pirata cosí audace.
– E m...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Le Tigri di Mompracem
- Un mondo dove tutto è fiero di Michele Mari
- Introduzione di Ann Lawson Lucas
- Nota al testo
- Cronologia
- Edizioni
- Bibliografia scelta
- Le Tigri di Mompracem
- Il libro
- L’autore
- Dello stesso autore
- Copyright