La storia di un tale che si abbona a un servizio di «ritagli stampa» per farsi mandare tutto ciò «che esce su di lui», e scopre che non esce mai nulla. Che non riceve mai nulla.
HENRY JAMES, Taccuini.
La sua googlata si stava assottigliando. Era parte di un fallimento piú complessivo, forse, senz’altro, ma vederlo quantificato… vederlo confermato numericamente… era crudele. Non era bello. Sam considerò le alternative: conosceva gente che su Google non c’era proprio, zero risultati, e conosceva perfino gente come Mark, Mark Grossman, che non era mai stato pubblicato, che era rimasto in silenzio, ma il cui nome faceva comparire i risultati di altri Mark Grossman, il Grossman urologo e il Grossman banchiere e i Grossman che avevano completato corse di 10 000 metri. Ma Sam si chiedeva (il pomeriggio era giovane e c’era tempo per farlo) se la condizione di Mark non fosse migliore della sua. Lui avrebbe finito la tesi, prima o poi, e quella sarebbe stata inserita in un catalogo elettronico. Ecco, Mark avrebbe finalmente detto, giunto il momento: anche io sono un Grossman.
Sam: non un Grossman. Sam: neppure allo stesso livello del vecchio Sam, del Sam dell’anno scorso, del Sam di due settimane fa. Dopo essersi dimostrato incapace di produrre la grande epopea sionista che da contratto avrebbe dovuto produrre, dopo aver smesso di scrivere qualche editoriale qua e là sulla seconda Intifada, dopo che Talia era tornata, piena di rabbia, in Israele, e Arielle si era trasferita, gelida, a New York, e lui aveva ripreso il suo impiego a tempo determinato per cominciare a ripagare l’anticipo all’editore, c’era, nel mondo, sempre meno Sam. Si era ritirato dal computer, scomparendo dentro il tendaggio pesante e scuro che divideva il suo soggiorno in due e faceva di quella patetica miniscrivania piú scaffale, con la sua massa di carte mai digerite, la sua pila di libri maltrattati, un ufficio domestico detraibile dalle tasse. Di tanto in tanto lo fotografava, quel magro conforto, quel piccolo trionfo sui padroni del suo destino. Anche la sua googlata un tempo era stato un conforto: se in quei giorni di euforia, quando aveva un contratto di pubblicazione in tasca e una ragazza dalle complesse abitudini cosmetiche in camera da letto, la sua casella postale di AOL risultava temporaneamente muta e immobile, gli bastava fare un giretto su Google per confermare a se stesso che esisteva ancora. Eccome se esisteva! Trecento e rotte pagine di Samuel Mitnick nel World Wide Web, accessibili al pubblico ovunque e in qualunque momento. Volete un po’ di Sam? Prego, servitevi. Dell’altro? Cliccate, cliccate. Perfino gli stati assolutisti, come la Cina, avevano Google, e in Cina, pensava Sam all’epoca, c’era un sacco di gente.
Ma non abbastanza, a quanto pareva, o forse i cinesi non cliccavano abbastanza… perché adesso la situazione era questa. Alla Fidelity non lo aspettavano prima delle 4, adesso mancava ancora un po’ all’una, e lui aveva bisogno di uscire di casa. La sera seguente aveva appuntamento con Katie Riesling, che teneva una rubrica di consigli sul sesso, perciò avrebbe dovuto restare lí a pulire, a ripulirsi, ma quell’appartamento non lo sopportava piú. E comunque, se Katie non si era accorta di certi segni finora, non li avrebbe visti mai. La sua macchina inaffidabile, i jeans con un buco appena sopra la caviglia. Dove se l’era fatto? Non aveva idea. Sarebbero andati a cena fuori, da Jae’s, quel posto dove la gente passando ti vedeva dalla vetrata. Sam era troppo male in arnese per uscire di casa, ma uscí lo stesso. Là fuori: niente Google; qui dentro: Google; su Google: niente Sam.
O quasi niente Sam. Ventidue. Era a ventidue risultati, e continuavano a diminuire.
Si batté sulla tasca per essere sicuro di avere le chiavi e uscí dalla porta. Sam aveva altri problemi, forse, o quantomeno ne aveva altri il mondo. Digitando POVERTÀ o MALATTIE o EPIDEMIA uscivano pagine su pagine. PALESTINA. SHARON-ARAFAT. TERRITORI OCCUPATI. RISOLUZIONE ONU 242. Mettendo le parole tra virgolette si restringeva la ricerca, e anche cosí “ISTRUZIONI PER COSTRUIRE UNA BOMBA CON CUI UCCIDERE GLI EBREI” o “INDICAZIONI PER IL VILLAGGIO PIÚ VICINO DOVE SPARARE A DEGLI ARABI” si dimostravano ricerche molto comuni, con pagine su pagine di risultati virtuali. Sam non sarebbe mai riuscito ad averne altrettanti.
Si diresse al 1369 a piedi. C’erano già abbastanza umiliazioni nella sua vita, non era il caso di arrivare in macchina a Inman Square per poi non trovare parcheggio.
La cosa fondamentale, quanto alla propria googlata, era non morire. Dopo il picco iniziale dovuto ai necrologi, ai post commemorativi sui blog («una promessa spezzata», «cosí promettente», «un talento che non è riuscito a mantenere le promesse»), sul lungo periodo era una catastrofe. Ma quale poteva essere l’opposto del morire, in termini di Google? Quale poteva essere l’anti-morte? Se lo chiedeva mentre ordinava il caffè etiope da consumare al tavolo e si sedeva nella tetraggine del Cafe 1369. Si sistemò a uno dei tavolini minuscoli e cominciò la sua ora di lavoro fissando con incredulità gli elogi tributati al libro che aveva portato con sé. Gli scrittori viventi erano i nemici di Sam, le sue nemesi. Anche Sam un tempo era stato uno scrittore vivente, anzi, meglio ancora: un futuro scrittore; c’era stata una sua foto su uno dei cataloghi della casa editrice.
La fama: la fama era l’anti-morte. Ma sembrava scivolargli da sotto le mani, sembrava ritrarsi ridacchiando, nascondersi dietro una quercia enorme e fargli le pernacchie con le mani. Aprí il quaderno. Dentro, gli appunti che dovevano condurlo alla grandezza. Anche se li rileggeva di rado, il pensiero di perdere il quaderno lo turbava. Prendiamo Emerson: dove saremmo senza i suoi taccuini? Ultimamente Sam aveva fotocopiato tutto il malloppo, per sicurezza.
Il lavoro del giorno prima consisteva in una lista:
Melissa
Jenna
Sally S.
la ragazza di Brooklyn
quell’altra ragazza di Brooklyn
e continuava su questa linea per un bel pezzo. Sam sorrise, al ricordo. Erano quasi dei versi. C’era della poesia, lí in mezzo. Un po’ volgare, certo, ma perché no? Non aveva fatto la personcina educata fin troppo a lungo? Non aveva abbassato la tavoletta del water, quando era solo in casa, solo con la sua minuscola googlata, non aveva educatamente abbassato, rialzato e poi riabbassato la tavoletta, come un idiota? E dunque si era guadagnato il diritto di fare un po’ di liste, pensava, se l’era guadagnato.
Quella di ieri non era propriamente La Lista. Quel venerabile documento si trovava in un punto precedente del quaderno. Da quando l’aveva composta, qualche settimana prima, in un momento di pura e silenziosa disperazione, Sam ne aveva realizzato anche parecchie permutazioni suggestive. Donne che aveva visto nude. Donne ebree. Donne che aveva baciato. In ordine di altezza. Di età. Di posizioni politiche.
Era profondamente influenzato, in questo lavoro classificatorio, dai revisionisti delle statistiche del baseball. Cioè quelli che si erano inventati la media di efficacia alla battuta, e poi tutta una serie di indici ancora piú elaborati. Nel far questo, la loro segreta speranza era quella di dimostrare che Ted Williams era il piú gran battitore di tutti i tempi, e ovviamente Sam gli augurava buona fortuna. Ma per quanto manipolassero i numeri, per quanto asserissero che la statistica piú significativa del baseball, l’essenza stessa di tale sport, era la media di efficacia alla battuta sommata alla media basi conquistate meno la media di battuta dei due prima e dopo di te divisa per la media di tutti i giocatori del campionato (procedure che in effetti portavano il Williams del 1946 sopra Ty Cobb, Stan Musial e Barry Bonds), non sarebbero mai riusciti, nonostante ogni immaginabile rimpasto del firmamento statistico, a spingere Williams sopra Babe Ruth. Non era proprio possibile. Analogamente, Sam riscontrò che per quanto ricalcolasse e ricalibrasse, prendesse in considerazione determinate circostanze e moltiplicasse per tre, non c’era modo di evitare il dato di fatto che, in vita sua, non aveva ricevuto abbastanza pompini.
Era anche influenzato, doveva ammetterlo, dai revisionisti dell’Olocausto. Aveva davvero, al colmo dell’eccitazione, eiaculato inutilmente sulla coscia di Lori Miller quella sera a casa di Miles Fishbach? L’aveva fatto davvero? E davvero ce l’aveva cosí moscio con Rachel Simkin da non essere neanche riuscito a penetrarla? E chi lo diceva, Rachel? Rachel era sbronza, sbronza ai limiti del subumano, tanto quanto lui. E Dave, al quale l’aveva confessato il giorno dopo? Ma Dave non era presente, e comunque le dichiarazioni dei testimoni sono costrutti culturali, sempre potenziali casi di psicosi collettiva. Sam tracciò una spessa freccia trionfante dal nome di Rachel nella lista delle semi-scopate fino al fondo della Lista vera e propria. Poi la cancellò.
Ma come gli era venuta questa fissazione per gli elenchi? Era un degenerato totale, un contabile del sesso, un pervertito dei fogli Excel? Oppure era un momento di crisi: pensava che non sarebbe mai piú riuscito a scopare con nessuno? E neppure a semi-scopare? E quindi tanto valeva stabilire i totali della carriera e mandarli alla Hall of Fame perché valutassero se inserirli o meno? E pensava davvero che non avrebbe mai piú baciato o tastato le tette di una ragazza? Perché bisognava spiegare anche quelle liste lí.
No, no, non era proprio questo, di preciso. Era piú come se la vita, la vita che aveva sempre conosciuto, avesse cominciato a dargli l’impressione di scivolargli di mano. Chi poteva dire cos’era successo, e che significato aveva? C’era stato tanto di quell’alcol di mezzo! Lui era stato vicino a diverse persone, ma mai vicino abbastanza; e si era dedicato a varie persone, ma non aveva mai dato davvero tutto, tutto se stesso. E allora si poteva trovare del conforto in quelle liste, pensava ora, quando ci pensava. Con Talia era stato carino, e con Arielle era stato affascinante, e con Lori era stato entusiasta, e con Rachel Simkin, quella volta, era stato un fallimento totale. E se di tutte queste esperienze si faceva una lista – questa era l’idea – se le si sommava, ecco che Sam ne usciva, finalmente, come un essere umano.
Sam salí sul vagone della linea rossa a Harvard Square. C’era gente che si svegliava prima di mezzogiorno, e che vantaggio ne aveva? Un buon posto a sedere sul treno delle 8,45 diretto in centro, forse. Forse riuscivano ad assicurarsi quel posto. Ma alle 3 e mezza di pomeriggio ogni posto andava bene, e ce n’erano in abbondanza. Forse era per questo che Sam faceva il turno serale alla Fidelity. Significava anche dover interagire meno con i funzionari della banca, alcuni dei quali erano suoi ex compagni di corso, alcuni dei quali erano donne a cui, nella sua vita precedente, Sam aveva chiesto di uscire. In certe parti del mondo degli impieghi precari la sua padronanza di Excel aveva ancora un certo prestigio, gli garantiva ancora l’attenzione: ma meno, sempre meno, nei resoconti quinquennali della carriera degli ex compagni di università che teneva sepolti, ma costantemente aggiornati, in fondo al cuore.
La googlata gli era stata d’aiuto, un tempo. Povera la sua googlata striminzita! Possibile che non ci fosse piú nulla da fare?
Arrivato al lavoro con cinque minuti di ritardo, Sam si infilò in bagno per mettersi i vestiti da ufficio, un paio di pantaloni beige con la piega e la cravatta, saltellando su un piede solo mentre cercava di evitare di toccare il pavimento del gabinetto con l’altro. Il water, con il suo sciacquone a infrarossi, continuava a scaricare e scaricare alle sue spalle, mentre lui saltellava.
– Tutto bene lí dentro? – chiese qualcuno quando ormai aveva quasi terminato l’operazione, facendolo inciampare e cadere contro la porta, la guancia destra a tenere momentaneamente in piedi il resto del corpo.
Quando infine Sam entrò nell’immensa sala centrale dei Servizi Creativi della Fidelity, dove mille scimmie battevano sui tasti davanti a mille presentazioni in PowerPoint, cercò di tenere la testa alta, con orgoglio. In passato si era licenziato da quel posto per scrivere la sua epopea, e quando era tornato alcuni colleghi… si erano presi gioco di lui. Ce l’avevano con la sua ambizione, e ancor piú con il suo fallimento. Il reparto Servizi Creativi della Fidelity era come la cittadina di provincia di un film americano dalla quale tutti sognano di fuggire. Era il capolinea: e tornare, alla fine del viaggio, a quel capolinea, non era certo ciò che Sam aveva programmato.
Timbrò il cartellino alla sua postazione, riponendo lo zaino nelle profondità dell’ultimo cassetto. La sua casa era un bordello tremendo, ma al lavoro aveva sistemato ogni cosa al suo posto. Gli rimaneva ancora, se ricordava bene, mezzo panino con il roastbeef nel minifrigo che l’azienda aveva fatto installare a ogni pseudoscrivania, e lo tirò fuori. Non c’erano lavori in sospeso, e quindi Sam controllò la sua posta elettronica: nulla. Poi quella interna: niente. Digitò allegro l’indirizzo Slip.com e lesse l’ultima rubrica di consigli sessuali di Katie: cosa fare se la vostra ragazza è vergine. Molto saggia, come sempre. Si erano conosciuti quando lui era ancora un promettente romanziere sionista seriamente fidanzato con Talia. Katie era una ragazza brillante e graziosa che lavorava per il «Phoenix» all’epoca in cui i settimanali alternativi erano ancora una gloriosa istituzione, e si erano incontrati a una festa piena di quei pochi giornalisti e studiosi non-accademici che si riuscivano a racimolare a Cambridge in una sera del fine settimana. Talia non c’era, per qualche motivo, ma il ragazzo di Katie sí. Era un consulente aziendale, o un avvocato, alto e molliccio, e Katie ne era visibilmente infastidita. Ecco cosa ti toccava, aveva pensato Sam all’epoca, se frequentavi i giri di Boston. Erano rimasti saltuariamente in contatto via e-mail (anche quella, un tempo, era una gloriosa istituzione) e ora, se Dio vuole, erano tutti e due single, e stavano per uscire insieme! Solo che Sam non era piú l’uomo che era all’epoca del loro primo incontro. Si diede una rapida occhiata intorno e si cercò su Google. Quindici risultati!
Sullo schermo apparve un lavoro da sbrigare: evidentemente conoscevano gli orari di Sam, sapevano quando spedirgli i fogli Excel. Questo qui era facile, di una facilità quasi offensiva, ma Sam lo affrontò con la massima flemma. Cliccò, trascinò, controllò di nuovo la posta, e infine lasciò andare l’icona del file trascinato. Diede un’occhiata al modulo di richiesta: John Laizer. Sam riconobbe il nome dai tempi del college, anche se, a parte la convinzione inspiegabile (se non in termini statistici, se non in termini statistici) che Laizer fosse un coglionazzo, non se lo ricordava affatto. Si affrettò comunque a svolgere il compito richiesto, per scongiurare l’eventualità che Laizer venisse a piazzarglisi alle spalle, facendo versi nervosi di insofferenza e sgradevoli telefonate al cellulare. Il grafico che ne risultò era un po’ bruttino, Sam doveva ammetterlo, ma le regole erano regole e lui le stava seguendo. E poi era l’unico alla Fidelity che si intendesse di Excel. Rispedí il lavoro finito e decise di avvalersi di una delle interurbane a prezzi stracciati previste nel piano telefonico dell’azienda.
– Salve, – rispose all’altro capo del filo una voce maschile volutamente annoiata. – Google.
– Salve, – disse Sam. – Posso parlare con Max Sobel, per favore?
– Chi parla, scusi?
– Mi chiamo Sam. Ma forse non mi conosce. Sono un giornalista.
– Per chi scrive?
– Per nessuno in particolare. Sono una specie di freelance.
– Ah. Be’, oggi Max non è in ufficio. Se mi lascia il suo numero, la faccio richiamare.
– No, ho proprio bisogno di parlare con lui, – disse Sam. Per quanto ne sapeva, Max poteva benissimo essere il tipo con cui stava parlando. E...