Teresa Batista stanca di guerra
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Teresa Batista stanca di guerra

  1. 560 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Teresa Batista stanca di guerra

Informazioni su questo libro

Vita e miracoli di Teresa Batista venduta tredicenne dai parenti a un turpe orco stupratore, giustiziera del suo tiranno, prostituta capace di ridiventar vergine a ogni nuovo amore, sambista inarrivabile, irriducibile debellatrice del diavolo nero, indomita sindacalista dei bordelli, generosa animatrice di ogni rivolta contro l'ingiustizia terrena; santa, probabilmente figlia della divinità guerriera Iansã, o addirittura, Iansã stessa, eternata con divertimento e golosità inesauribili dal piú popolare narratore brasiliano.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
Print ISBN
9788806174521
eBook ISBN
9788858410073

La fanciulla che sgozzò il capitano
con il coltello per tagliare la carne secca

1.
Signoria, lei è uno scocciatore; la conta lunga e non sarò io a dubitare, ma le voglio domandare se le è già capitato di vedere un povero cristo coperto di vesciche, tutto una piaga, con il corpo in carne viva, ficcato dentro un sacco e portato al lazzaretto cosí. E mi dica un po’ se si è mai caricato sulle spalle per piú di una lega un vaioloso in travaglio d’agonia, e se lo ha trasportato fino al lazzaretto, malgrado il lezzo che impesta l’aria e il miele del pus che scorre giú per la juta. Cose da non si dire, amico.
Ci creda chi ci vuol credere, bruci a chi deve bruciare, ma, com’è vero Dio, sono state le puttane e nessun altro a liquidare il vaiolo quando, putrido e nero, si scatenò da quelle parti! Com’è vero Dio è un modo di dire, una forma d’espressione, perché questa qui è una terra abbandonata e sterile, situata in capo al mondo, e se non ci fossero state quelle disgraziate di rua do Cancro-Mole, qui non ci sarebbe rimasta neanche l’ombra di un cristiano a raccontare come era andata. Dio è pieno di messe e di cose da fare e ha tanti bei posti dove posar gli occhi, perché avrebbe dovuto occuparsi dei vaiolosi di Buquím? A occuparsene e a porvi rimedio è stata proprio la già citata Teresa Batista in combutta con Teresa-Rasoiata, Teresa-Ancheggiamento, Teresa-dei-Sette-Sospiri, Teresa-Passo-Morbido, tutti nomi ben meritati, come pure era meritato quello di Teresa di Omolú1 proposto e confermato a lei dai macumbeiros di Muricapeba non appena la peste ebbe termine e si vide la gente di ritorno a casa. Teresa ha addentato il vaiolo alla gamba, ha masticato il boccone poi l’ha sputato fuori. L’ha masticato con quei suoi denti limati e con il suo dente d’oro, dono di un dentista di Aracajú, che è una bellezza.
Cose mai viste e indimenticabili, amico. Io, Maximiano Silva chiamato Maxí o Rei das Negras, custode dell’Ufficio Sanitario di Buquím, sopravvissuto e testimonio, ancor oggi, se chiudo gli occhi, vedo Teresa, con quella bellezza unica, che solleva da terra il saccoe dentro il sacco c’era il giovane Zacarias, tutto una piaga che gemeva e pregava. Se chiudo gli occhi la vedo: eccola che se ne va curva aggiustandosi il peso sulle spalle diretta al lazzaretto. Teresa Finita-la-Paura, un altro nome che aveva, forse il primo che le hanno dato, tanto tempo fa, vuol saperlo, signoria, come e perché?
2.
Teresa Batista non aveva ancora compiuto i tredici anni, quando sua zia Filipa la vendette per millecinquecento cruzeiros, un po’ di viveri e un anello con una pietra falsa ma vistosa a Justiniano Duarte da Rosa, il capitano Justo, la cui fama di uomo ricco, gagliardo e irascibile era diffusa per tutto il sertão e anche piú in là. Dovunque il capitano approdasse con i suoi galli da lotta, il suo branco di muli, i cavalli da sella, il camion e il coltellaccio, il mazzo di banconote e i capanga2, la fama l’aveva preceduto, prima del suo cavallo baio e davanti al camion, e aveva preparato il terreno per buoni affari.
Al capitano non piaceva discutere e amava constatare il rispetto imposto dalla sua presenza. «Se la fanno addosso dalla paura» sussurrava soddisfatto a Terto-Cane, autista e pistolero, latitante della giustizia del Pernambuco. Terto tirava fuori il coltello e il cordone di tabacco, e all’intorno cresceva la paura. «È inutile discutere con il capitano, piú si discute e piú c’è da perdere, per lui la vita di un uomo non vale neanche dieci reis di melassa». Narravano storie di uccisioni e di agguati, di frodi nelle lotte di galli, di truffe nella contabilità del suo spaccio incassate a sergozzoni da Chico Mezza-Suola, di terre acquistate per un pezzo di pane sotto la minaccia del moschetto o del pugnale, di bambine stuprate nel fiore della verginità, le bambine erano il debole di Justiniano Duarte da Rosa. Quante ne aveva deflorate ormai, prima dei quindici anni? Sotto la camicia del capitano tra le pieghe del petto grasso, una collana di anelli d’oro va tintinnando sulle strade come la nacchera del serpente a sonagli: per ogni anello una bambina – e non parliamo di quelle di piú di quindici anni, quelle non contano.
3.
Justiniano Duarte da Rosa, attillato, abito bianco, stivali di cuoio, cappello panama, scese dalla cabina del camion, tese con degnazione due dita a Rosalvo e la mano intera a Filipa, tutto gentile con lei e con un gran sorriso sul suo viso rotondo.
– Come va, comare? Posso avere un bicchier d’acqua?
– Si accomodi a sedere, capitano, le farò un caffè.
Attraverso la finestra del misero salottino il capitano lancia un’occhiata cupida sulla bambina che gioca sul prato arrampicandosi sugli alberi di goiaba, saltando e correndo insieme al cagnolino bastardo. È sull’albero che addenta una goiaba, e sembra un monello con quel corpo gracile, i seni che spuntano appena sotto la camicetta di cotonina, e la breve gonna tra le lunghe cosce. Lunga e magra, ancora senza forma di donna, a tal punto che i ragazzini del vicinato, certi sfacciati pieni di malizia permanentemente a caccia di ragazzine per soddisfare gli inizi del desiderio con la rivelazione dei primi contatti, baci e carezze, a Teresa non badavano neanche – anzi con lei correvano a giocare a cangaceiros3 e alla guerra e l’accettavano persino per comandante, dato che era fin troppo agile e decisa. Alla corsa li vinceva tutti e nessuno era piú svelto di lei a salire sui rami piú alti. In lei non si era ancora risvegliata la malizia: neanche la curiosità provava di andare con la aça4 Jacira e la grassa Ceição a spiare il bagno dei ragazzi al fiume.
Gli occhi del capitano seguono la bambina che si arrampica di ramo in ramo. I suoi ampi movimenti fanno alzare il gonnellino e lasciano scorgere le mutandine sporche di terra. Gli occhi piccini di Justiniano Duarte da Rosa si strizzano ancora di piú – per meglio vedere e immaginare. Anche gli occhi smorti e stanchi di Rosalvo, occhi da cachaça generalmente fissi a terra, si animano alla vista di Teresa, e si muovono salendo lungo le gambe e lungo i fianchi. Dal focolare Filipa sbircia le occhiate di Justiniano Duarte da Rosa e quelle di suo marito: se aspetta ancora, per poco che sia, Rosalvo se la pappa lui. Delle intenzioni di suo marito riguardo alla nipote, Filipa se ne era accorta da molto tempo. Ragione di piú, e poderosa, a favore dei propositi evidenti del capitano. Tre visite in due settimane, molte chiacchiere e perdita di tempo. Quando si deciderà finalmente a mettere le carte in tavola e a parlare d’affari? Secondo Filipa, sarebbe ora di farla finita con i preliminari, il capitano ormai ha fatto bella mostra della sua ricchezza, della sua potenza, dei suoi capanga; e ha anche dato dimostrazione del suo desiderio e delle sue possibilità, perché non si decide a parlare una buona volta?
Non crederà mica di potersi portar via quel bocconcino, gratis? Se ha di queste idee, vuol dire che non conosce Filipa. Il capitano Justo sarà magari proprietario di terra, ai campi coltivati, di capi di bestiame e dello spaccio piú importante del paese, sarà a capo di jagunços, mandante di assassini, sarà perverso e violento, ma non per questo è padrone o parente di Teresa, e non è stato lui a mantenerla e vestirla per quattro anni e mezzo. Se la vuole, deve pagare.
No, non è stato lui e neanche Rosalvo, schiavo della cachaça e della pigrizia, l’indolenza in persona, un resto d’uomo, un peso sulle spalle di Filipa. Se fosse dipeso da lui, non avrebbero raccolto quell’infelice orfana di padre e di madre. Eppure adesso si lecca le labbra quando passa e segue, ingordo, il formarsi del suo corpo, lo spuntare dei seni, le prime curve dei fianchi; con la stessa ingordigia con cui segue il maiale all’ingrasso nel porcile che è nella corte. Uno straccio d’uomo, un buono a nulla, che non sa far altro che mangiare e dormire.
A mandar avanti la casa, comprar la farina, i fagioli, la carne-secca, quei quattro stracci di vestiti, e persino la cachaça per Rosalvo, è lei, Filipa, con il lavoro delle sue braccia, piantando, allevando, vendendo al mercato il sabato. Non che Teresa fosse poi costata molto, anzi era persino di aiuto nelle faccende domestiche e nei campi. Ma quello che è costata, poco o tanto che sia, per il cibo, gli abiti, l’abicí e far di conto, i quaderni di scuola, è stata zia Filipa a darle tutto, lei, la sorella di Marieta sua madre, che era morta insieme al marito in un incidente di corriera, quasi cinque anni prima. E adesso che si fanno avanti i pretendenti è giusto che sia lei, Filipa, a ricuperare e riscuotere. Forse è un po’ acerba ancora, non è ancora completa, se maturasse per altri due anni, sarebbe al punto giusto. Cosí bambina, è inutile negarlo, è un peccato consegnarla al capitano, ma sarebbe una matta, Filipa, se decidesse di aspettare o di opporsi. Aspettare per vederla a letto con Rosalvo o nei campi con un ragazzaccio qualunque? Opporsi, perché Justiniano la porti via per forza, con la violenza e gratis? In fin dei conti, Teresa compirà tredici anni tra pochi giorni. Pochi di piú ne aveva Filipa, quando Porciano le aveva fatto la festa, e per di piú nella stessa settimana le erano piombati addosso i quattro fratelli di lui, suo padre, e, come se non bastasse, era stata anche insozzata dal nonno, il vecchio Etelvino, che puzzava già di cadavere. Non era morta per questo e nemmeno era rimasta storpia. Anzi neppure il matrimonio le era venuto a mancare, con tanto di benedizione del prete. È anche vero che una vocazione per le corna uguale a quella di Rosalvo, nei dintorni non si conosceva. Cornuto e ubriacone.
È necessario che conduca avanti bene le trattative allo scopo di ottenere il massimo, ha proprio bisogno di un extra di denaro. Per andare dal dentista, per farsi bella, comprare un po’ di roba da mettersi addosso, un paio di scarpe. Col passar del tempo sta diventando una frana, gli uomini al mercato non le stanno piú intorno, quando si fermano a guardare è per calcolare l’età di Teresa.
Se vuole la bambina, il capitano deve pagar bene, questa volta non sarà come per tante altre, che si è pappate gratis. Perché quando ne scova una di suo gusto per età e bellezza, incomincia a frequentare la casa dei genitori, si mostra amico, porta un pacco di caffè in polvere, un chilo di zucchero, qualche caramella avvolta in carta blu, canditi di zucchero, parla con dolcezza, e intanto va accerchiando la piccola, un bombon, un nastro, e soprattutto promesse; è largo e generoso di promesse il capitano Justiniano Duarte da Rosa. Ma per il resto è un tirchio.
E un bel giorno, senza previo avviso, si porta via la bambina con il camion, con le buone o con le cattive, ridendo in faccia ai genitori. E chi ha il coraggio di protestare o di denunciarlo? Chi è il capo politico del posto, chi sceglie il commissario di polizia? I soldati non sono forse capanga del capitano mantenuti dallo Stato? Quanto a Sua Eccellenza il signor giudice, compra senza pagare nello spaccio del capitano e gli deve del denaro. Per forza, con la moglie e tre figli studenti che vivono tutti nella capitale, e lui lí in quel buco con una mantenuta spendacciona; e tutta questa roba con il salario di fame che guadagnano i magistrati; come fare, rispondete voi, se ne siete capaci.
Una volta c’era stata una querela presentata dal padre di una ragazzotta dal petto prosperoso, lei si chiamava Diva, lui Venceslau: Justiniano aveva fermato il camion sulla porta di quella gente, aveva fatto un cenno alla ragazzina e senza una sola parola di spiegazione se l’era portata via. Venceslau andò dal giudice e dal commissario minacciando mari e monti, parlando di uccidere e di rovinare. Il giudice promise di verificare, verificò che non erano veri né il ratto né la deflorazione, motivo per cui il commissario, che aveva promesso di agire prontamente, prontamente agí: schiaffò in galera il querelante affinché non turbasse piú la pubblica quiete con calunnie contro rispettabili cittadini e, per togliergli la voglia di far minacce e insegnargli come si rispetta la gente, ordinò che gli fosse inflitta una solenne battitura a base di coltellaccio. In cambio, quando il giorno dopo il poveraccio uscí di prigione, sulla porta trovò ad aspettarlo la figlia Diva, che il capitano gli restituiva, ancorché alquanto ammaccata; era rotta e da molto tempo, quella birba.
Filipa non ha intenzione di fare scandali o querele, non è mica matta per mettersi contro Justiniano Duarte da Rosa. Inoltre sa benissimo che un giorno o l’altro quella le sarebbe arrivata con qualcuno, sempre che non si vada a perdere prima nei boschi, sempre che non ritorni a casa pregna. Scopata e impregnata da un ragazzino qualunque, o addirittura da Rosalvo stesso, anzi senz’altro da quello svergognato vecchio cornuto di Rosalvo. E gratis.
Filipa vuole soltanto fare un affare per ottenere un guadagno anche piccolo, Teresa è l’unico capitale che le resta. Se potesse aspettare ancora qualche anno farebbe certamente un affare piú lucroso, perché la bambina sta sbocciando con forza e le donne di famiglia erano tutte bellissime, disputate, fatali. Anche Filipa, che ormai è uno straccio, conserva però ancora un barlume di vigoria, il ricordo di un movimento dell’anca, un fulgore negli occhi. Ah! se potesse aspettare; ma il capitano le ha tagliato la strada. Nulla può fare Filipa.
4.
La voce di Filipa rompe il silenzio pieno di sottintesi e di calcoli.
– Teresa! – chiama. – Vieni qua, diavolo.
La bambina inghiotte il suo pezzo di goiaba, scivola giú dall’albero, si precipita in casa di corsa, il sudore brilla sul suo volto color del rame, e l’allegria nei suoi occhi e sulle labbra:
– Mi ha chiamato zia?
– Servi il caffè.
Sempre sorridendo va a prendere il vassoio di latta. La zia la trattiene per un braccio mentre passa, la fa girare di fronte e di schiena per esibirla, facendo finta di niente:
– Che maniere sono? Non vedi che c’è una visita? Prima di tutto chiedi la benedizione al capitano.
Teresa prende quella mano grassa e sudaticcia, accosta le labbra a quelle dita cariche di anelli d’oro e brillanti, anzi ne nota uno piú bello degli altri, con una pietra verde:
– La benedizione, signor capitano.
– Dio ti benedica. – La mano tocca la testa della bambina, scende sulla spalla.
Teresa davanti a Rosalvo, un ginocchio a terra:
– La benedizione, zio.
Rosalvo sente nella gola un groppo di rabbia, che lo strozza: addio, sogno accarezzato per tanti e tanti anni, mentre la vedeva crescere, formarsi giorno per giorno, e ne presagiva la rara bellezza, la riproduzione in meglio di quello che era stata sua madre Marieta, che era uno splendore, e sua zia Filipa quando era giovane, un sogno, tanto che lui, Rosalvo, si era indotto a strapparla alla prostituzione e sposarsela. Da quanto tempo sta trattenendo l’impazienza, accumulando ansietà, facendo piani? Ed ecco che tutto se ne va a gambe all’aria, e sulla porta c’è già il camion pronto che aspetta con Terto-Cane al volante. Fin dalla prima visita del capitano, Rosalvo l’aveva indovinato. E allora, perché diavolo non ha agito, non ha forzato i tempi, anticipando l’orologio e quel maledetto calendario? Perché non è ancora arrivato il momento, perché è una bambina ancora impubere, e lui lo sa bene, Rosalvo; sono io che lo so meglio, io che la spio sul far del mattino, non è ancora arrivato il momento per lei di conoscere uomini, Filipa, e poi non si vende una nipotina, la figlia orfana di una sorella morta. Per tutti questi anni ho aspettato con pazienza, pur desiderandola, Filipa; e la casa del capitano, lo sai bene, è un inferno. La figlia di tua sorella, Filipa, quello che stai per fare è un delitto, un peccato mortale, non hai paura, tu, del castigo di Dio?
– Si sta facendo una signorina, – commenta Justiniano Duarte da Rosa, mentre con la lingua si inumidisce le grosse labbra, e gli occhi piccini gli brillano di una luce gialla.
– È già una signorina, – dichiara Filipa dando inizio ai negoziati.
Ma è falso, tu lo sai che è falso, Filipa, vecchia puttana maledetta, senza cuore, ancora non è arrivato il suo tempo di luna, non ha perso sangue, è una bambina, ed è anche tua nipote carnale. Rosalvo si tappa la bocca con una mano per non gridare. Ah! se fosse già grande, in grado di accettare un uomo, io ne avrei fatto la mia donna, ho preparato tutto, manca solo di scavare la fossa per seppellirti, Filipa miserabile, cuore snaturato, che fai mercato di tua nipote. Rosalvo abbassa la testa, piú grande della delusione e della rabbia, in lui, è la paura.
Il capitano stiracchia le corte gambe, si frega le mani una contro l’altra e domanda:
– Quanto, comare?
Teresa è sparita passando dalla cucina e ricompare nel cortile alle prese con il cane; corrono insieme, si rotolano insieme per terra. Il cane abbaia, Teresa ride, anche lei è un animale di campagna sano e innocente. Il capitano Justo si tocca la collana di vergini, i suoi occhiuzzi sono quasi chiusi:
– Dica quanto.
5.
Justiniano Duarte da Rosa tira fuori di tasca il mazzo delle banconote e incomincia a contarle pezzo per pezzo, controvoglia. Non gli piace staccarsi dal denaro, prova un dolore quasi fisico quando non gli rimane altra via d’uscita che pagare, dare o rendere.
– È solo per un riguardo verso di lei, signora, che, come ha detto, ha tirato su la ragazzina e le ha dato da mangiare e anche un’educazione. Se le sto dando un sussidio, è perché lo voglio io. Perché, se la volessi portar via a tutti i costi, chi me lo impedirebbe? – Un’occhiata di disprezzo diretta a Rosalvo; e intanto si bagnava il dito con la lingua per separare l...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Teresa Batista stanca di guerra
  3. Il debutto di Teresa Batista al cabarè di Aracajú o Il dente d’oro di Teresa Batista o Teresa Batista e il castigo dell’usuraio
  4. La fanciulla che sgozzò il capitano con il coltello per tagliare la carne secca
  5. Abc del combattimento fra Teresa Batista e il vaiolo nero
  6. La notte in cui Teresa Batista dormí con la morte
  7. La festa di nozze di Teresa Batista o Lo sciopero del canestro a Bahia o Teresa Batista scarica la morte in mare
  8. Assonanze
  9. Il libro
  10. L’autore
  11. Dello stesso autore
  12. Copyright