
- 200 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Fare arrabbiare una donna è pericoloso. Farne arrabbiare quattro è da pazzi. Sullo sfondo della Roma di oggi, corrotta e criminale, quattro donne diversissime tra loro decidono di ribellarsi al destino imposto da uomini malvagi e sbagliati. Per riscattare le loro vite dovranno diventare Le Vendicatrici. Sara non si ferma davanti a nulla e a nessuno per dare la caccia a chi ha distrutto la sua esistenza. Non esita ad allontanarsi dalla legalità e a trasgredire le regole. Ma presto si renderà conto che non esistono vendette pulite, vendette che non lasciano in bocca il sapore del rimorso.
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Informazioni
Quattro
A Sara era dispiaciuto abbandonare il personaggio di Sara Safka. Il cognome le piaceva, lo aveva scelto in onore della cantautrice americana Melanie Safka. L’aveva ascoltata una sera in un club di New York e aveva deciso che la sua versione di Ruby Tuesday era la migliore in assoluto.
Ora, come Sara Bartocci, aveva preso in affitto un appartamento in zona Prati dove avrebbe vissuto fino alla fine dell’operazione. Cioè, fino a quando non avrebbe distrutto la banda che aveva sequestrato e assassinato suo padre. Avrebbe preferito rimanere nella sua bella e accogliente casa sulla Collina Fleming, ma non poteva correre il rischio di essere seguita e scoperta. In quel gioco non erano ammessi errori.
Il problema adesso era come raggiungere lo scopo. In un primo momento, si era convinta che sarebbe stato semplice. Si trattava di far parlare Orfeo Baretta, l’uomo che aveva gestito i soldi del riscatto, poi andare a prendere i sequestratori. Uno per uno.
«Dovrai ammazzarli tutti, lo sai, vero? – aveva messo in chiaro Rocco durante l’ennesima discussione. – L’operazione, come la chiami tu, è illegale. Stiamo commettendo un reato dopo l’altro e non potremo mai permetterci di portare quei pezzi di merda in corte d’assise».
Lei lo aveva messo in conto fin dal giorno in cui, casualmente, aveva scoperto il primo esile indizio che l’aveva condotta ad Armando Manfellotti e poi a Baretta. Era accaduto mentre preparavano l’arresto di un pericoloso latitante. Leggendo il suo fascicolo, Sara aveva scoperto che nel 1999 era solito frequentare una bisca dalle parti di Tor Marancia.
Un appunto vergato a mano segnalava che nella sala da gioco clandestina erano circolate banconote da cinquanta e centomila lire provenienti dal sequestro D’Avossa. Sara aveva fatto un balzo sulla sedia. Nessuno l’aveva mai messa al corrente di quella scoperta, e tantomeno risultava nell’archivio informatico che lei periodicamente andava a consultare. Tramite Rocco Spina, che già allora era il suo diretto superiore, era riuscita a sapere che l’inchiesta non era andata avanti perché la bisca non poteva essere toccata, visto che il gestore era diventato un informatore prezioso.
«Priorità, sovrintendente D’Avossa, – aveva spiegato in tono rude il vicequestore che aveva seguito il caso e che aveva accettato di incontrarla. – Dopo nove anni di servizio credo che lei capisca bene il significato del termine».
Sara aveva annuito. La lotta alla criminalità organizzata obbligava a scendere a patti con i delinquenti, a rinunciare a seguire un’indagine perché un’altra era piú urgente o piú importante.
«A parte le banconote, è emerso qualche altro elemento?» aveva chiesto a voce bassa.
«Solo il nome di chi le aveva materialmente portate, – aveva spiegato il superiore. – Antonino Barone, noto usuraio. Secondo il nostro informatore, era in qualche modo collegato ai sequestratori di suo padre. E noi lo sapevamo già con certezza perché ce lo aveva confidato suo nonno, dopo che l’ostaggio non aveva fatto piú ritorno a casa. Quando il magistrato aveva disposto il sequestro dei beni, si era rivolto a diverse persone per raccogliere il denaro, e tra queste Barone, ma aveva avuto l’accortezza di prendere nota dei numeri di serie delle banconote. Cosa che ci ha permesso di individuare la bisca come uno dei tanti luoghi di riciclaggio».
«Non capisco, – aveva detto Sara. – Nonno si è fatto prestare soldi da un usuraio legato ai sequestratori?»
«Evidentemente il basista, la persona che ha fornito le informazioni utili al rapimento, era anche in grado di far arrivare a suo nonno dei “suggerimenti”».
«Questo però significa che, in qualche maniera, la banda ha sempre avuto il controllo della situazione».
«Ne siamo convinti».
Sara aveva ringraziato il vicequestore e gli aveva stretto la mano. Ma una volta fuori aveva pianto disperata tra le braccia di Rocco.
Dopo qualche tempo, aveva trovato una scusa credibile per rassegnare le dimissioni dal reparto e dedicarsi anima e corpo a dare un nome e un cognome ai componenti della banda. E a punirli. Se per la polizia era un caso di secondaria importanza, per lei era l’unica ragione di vita, e agire al di fuori della legge rappresentava il solo modo per ottenere giustizia. O vendetta. Ormai, nella sua scala di valori, i termini si sovrapponevano.
Ma ora, dopo quanto accaduto a Ennio, la sua sete di giustizia non contemplava piú la morte di nessuno. Nemmeno quella degli assassini di suo padre.
Sara era confusa. E Rocco ne aveva approfittato.
– È arrivato il momento di rinunciare e tornare a una vita normale. Ce lo meritiamo –. E di fronte al silenzio di lei, aveva trovato il coraggio per le parole che voleva pronunciare da tanto. – Voglio vivere con te e dare un senso al nostro rapporto.
Sara si era irrigidita.
– È tardi per lasciare le cose a metà. Non riuscirei mai a dimenticare.
Lui aveva sfogato la frustrazione in un gesto di stizza e se n’era andato. E lei si era ritrovata sola, seduta al tavolo della cucina con uno striminzito fascicolo che Rocco aveva raffazzonato su Orfeo Baretta. Non conteneva nulla di significativo. L’uomo era privo di macchie e sembrava condurre una vita irreprensibile. Insieme alla moglie Annamaria, gestiva tre agenzie di pratiche e certificati collocate in altrettanti quartieri della zona nord della capitale. Due figli: Sabrina, affermata pediatra, e Giuseppe, avvocato con uno studio modesto, che dava una mano ai genitori. Cinque nipotini. Una villa, belle macchine, una vita agiata senza ostentazioni: tutto in regola, insomma. La coppia era stimata e poteva contare su diverse conoscenze importanti nei posti giusti. Questura compresa.
L’unica ombra aleggiava sull’improvvisa disponibilità di capitali che aveva permesso a Baretta di aprire le agenzie e abbandonare l’attività di agente di commercio. Ma a quei tempi nessuno faceva attenzione a certi dettagli. Sembrava che Baretta avesse messo la testa a posto dopo il sequestro di suo padre, ma anche in precedenza non risultavano rapporti con ambienti criminali.
Rocco aveva suggerito la possibilità che Armando Manfellotti le avesse mentito, ma Sara era certa del contrario. E comunque il vecchio era defunto, e la pista di Baretta andava seguita fino in fondo perché non ve ne erano altre a disposizione.
Sara aveva aperto la cartellina e ricominciato a leggere le informazioni. Orfeo era nato nel marzo del 1953. La moglie, nel mese di novembre di due anni dopo. Erano convolati a nozze nel 1980. Sara si era soffermata su quest’ultima informazione. «Stanno insieme da oltre trent’anni, – aveva pensato. – Una storia d’amore che quantomeno ha retto agli anni e alla stanchezza».
E la verità era emersa in tutta la sua evidenza. Aveva allungato la mano verso la foto della donna e la voce era scivolata tra le labbra. Dura come pietra.
– Tu hai sempre saputo tutto, vero, Annamaria?
La mattina seguente aveva raggiunto Rocco alla piscina. Lo aveva guardato nuotare provando un desiderio cocente. Lui era fatto per l’amore e per la guerra, come un eroe dell’antichità. Per un attimo aveva fantasticato su un amplesso nello spogliatoio, ma non era venuta per quello. Il piacere non c’entrava nulla con quanto aveva da dire.
Rocco era uscito con i capelli ancora bagnati.
– Mi arrangio, – aveva esordito Sara.
– Che significa? Non capisco.
– Baretta lo inchiodo da sola.
Lui aveva scosso la testa, incredulo.
– Ti ricordo che dietro quel bastardo c’è una banda di criminali.
– Lo so. Se mi troverò in difficoltà sarai il primo a saperlo.
Spina aveva controllato a stento l’ira. Per sfogarsi aveva picchiettato l’indice sulla testa di Sara.
– Che cazzo ci hai qui dentro? Vuoi farti ammazzare?
– No. E non voglio che nessuno muoia.
– E cosa farai? Inviterai gli assassini di tuo padre a bere un tè in pasticceria?
– Non essere stupido.
– Sei tu a esserlo. Hai perso il controllo della situazione.
Lei lo aveva fissato. In quel momento avrebbe avuto bisogno di buttarsi fra le sue braccia. Invece aveva dovuto accontentarsi di accarezzargli il viso prima di allontanarsi.
Ora Sara si trovava nella sala d’attesa dell’agenzia Baretta & Bonci. Aveva preso un appuntamento con la signora Annamaria un paio di giorni prima.
«Per una pratica di smaltimento rifiuti», aveva spiegato alla segretaria.
C’era un viavai continuo. Alla coppia gli affari andavano bene. Da una stanza uscí Baretta. Il cuore di Sara smise di battere per un secondo. Era diverso dalle foto del fascicolo. Di media statura, il fisico insignificante, il volto largo dalle rughe evidenti agli angoli della bocca e degli occhi. Si passò la mano sul cranio lucido e scambiò un paio di battute con un cliente. Sara scoprí che all’uomo piaceva ridere e lo trovò insopportabile. Baretta scomparve dietro una porta e lei tornò a...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Le Vendicatrici. Sara
- Uno
- Due
- Tre
- Quattro
- Cinque
- Sei
- Sette
- Fonti delle canzoni citate nel testo
- Il libro
- Gli autori
- Degli stessi autori
- Copyright