È una piccola stanza da bagno. Alessandra raggiunge la sorella seduta sulla sponda di una vasca parzialmente incassata al muro, rivestita di piastrelle dozzinali. Il gocciolio di un rubinetto che perde scandisce il tempo.
– È andata via? Credevo te ne fossi andata anche tu…
– Ci deve essere un’altra soluzione… – dice Marinella dopo un po’.
– Non essere assurda, non ci sono soluzioni…
Stanno sedute cosí, col metronomo della goccia, fino a quando non pare maturo il momento per una rivelazione. «Ora potrei dirle quello che ho fatto, confessarle tutto», sussurra a se stessa Marinella. La sorella la guarda come se avesse percepito un istante di esitazione e la volesse incoraggiare. Ma la goccia cambia ritmo: l’attimo è fuggito.
Passano minuti lunghissimi prima che Marinella riprenda a parlare: – Senti? – chiede.
– La goccia.
– … No… no… Non quello.
– Che cosa? – Tace per ascoltare meglio… Ora le pare di sentire come il respiro di un pianeta, come il vorticare di un meteorite nel colmo untuoso dello spazio.
– Senti? – insiste quell’altra, e ad Alessandra verrebbe da confermare se non temesse di darle ragione.
Marinella si volta verso il rubinetto della vasca, gli dà una stretta, lo sgocciolio smette d’improvviso. Ma il rumore, quel suono come di pensiero trattenuto, di calabrone ronzante, di roccia siderale vagante, non sembra interrompersi affatto.
– Ecco, senti ora?
– No, mi sembra come prima, senza la goccia.
– Senti meglio… C’è qualcosa che rimane attaccato a questo posto…
Alessandra scuote la testa sconsolata.
La vicina aveva sempre pensato che ci fossero troppi rumori in quella vecchia casa con i tubi che erano cose vive e i legni che continuavano a miagolare… Qualche volta, quando si sentiva sola e assediata, le era capitato di doversi tappare le orecchie. C’erano giorni in cui la sua unica compagnia era la caldaia che fischiava o il radiatore che ronzava… Api e calabroni sembravano! Cosí le pareva di essere immersa in quell’infanzia campestre che tutti millantiamo per farci belli. In quell’età che deve essere bella per forza, per forza felice, senza pensieri. Forse per raccontarla ai nipoti, se ne arrivano. Un passato di campi in fiore le sembrava piú adatto ai tempi amarissimi che era costretta a subire. Dentro quei suoni c’era un sapore solito eppure sconosciuto. Alla sua età poteva percepirli senza sorprendersi. «Dentro queste case che siamo, – pensava, – resta il peso di ciò che abbiamo detto, ma anche di ciò che non abbiamo osato dire. Le parole di troppo e quelle mai pronunciate… Sí, è cosí». Questo era sicura di averlo imparato bene: di quanto s’impregnassero le pareti, di quanto ostinatamente assorbissero gli umori di chi le aveva abitate o le abitava. Lei dal passato aveva raccolto solo notizie di naviganti dispersi che abbandonavano messaggi in bottiglia.
«È cosí che succede, – disse a se stessa, – proprio cosí».
– Anche io ho qualcosa da dirti. Qualcosa che riguarda il fatto che io… Sono già stata qui, – dice Marinella.
– Non ricominciamo con le confidenze… Vuoi dar retta a quella lí? – Rifiutandosi di elaborare quanto la sorella le ha appena detto, Alessandra scatta in piedi e, come aveva fatto prima, comincia a misurare la stanza da bagno in lunghezza, e larghezza, a grandi passi. – Uno, due… Quasi tre… Segna, no?
– Non te l’ho detto prima perché temevo pensassi che avessi non so quale secondo fine…
– Uno… Quasi due in larghezza… Eh, piccolo… – continua con convinzione Alessandra, poi si blocca all’improvviso. – E che secondo fine potevi avere? – chiede come se colpisse a freddo.
– Appunto…
– … Se non quello di prenderti la casa?
– Ecco.
– Ecco che cosa?
– Mai abbassare la guardia con te…
– No, è che tu proprio non ce la fai a essere lineare: è tanto complicato dire che volevi prenderti la casa?
– Ma se anche fosse, mi spieghi che ti costa? Che bisogno ne hai? L’hai detto tu, no, che non sono riuscita nemmeno a farmi uno straccio di casa! E allora eccola qui uno straccio di casa che potrebbe essere mia… Un posto dove non sarei costretta ad aspettare il rinnovo del contratto. Eh? Che cosa ti cambia? Tutto questo appartamento è grande sí e no come il soggiorno di casa tua…
– Mi cambia perché non è roba tua. Mi cambia perché quello che hai tentato di fare con papà è stato cercare di rubarmi ciò che mi spetta…
– Ma tu non ne hai bisogno!
– Se la vedessi come la vedo io non ne saresti cosí sicura… Tu arrivi qui con la tua sfortuna addosso, col fatto che della tua vita non hai fatto un accidente come fosse un trofeo! Ma non è che le vite degli altri siano necessariamente migliori della tua!
– Ah ecco… E cosa ci sarebbe di tremendo nella tua vita perfetta?
– Perfetta, dici? Ma tu da quanto tempo non mi chiedi come sto? Veramente, intendo.
– Come stai? Dovrei chiederti come stai? Se tu fossi vera potrei chiedertelo, se non fosse un’offesa solo pensare che per te non sia tutto assolutamente sotto controllo…
– Tu non sai, non puoi nemmeno lontanamente immaginare quanto costi quella che tu chiami perfezione, hai sempre avuto progetti di piccolo cabotaggio, roba di poco conto…
– Ero, e sono, occupata a portarmi addosso tutti i miei fallimenti. Ti pare che possa occuparmi della sofferenza atroce che può causare avere una casa propria, una famiglia, un marito?… Si sta tanto meglio a non avere assolutamente nulla…
– Io non ci scherzerei piú di tanto perché potresti essere piú vicina alla verità di quanto pensi…
– Non scherzo, sei tu quella che sa scherzare, io tutt’al piú racconto qualche storiella divertente, che è divertente solo se me l’hai raccontata tu, ma mai come quando l’hai raccontata tu…
– Il fatto è che tu non hai niente da perdere e questo ti rende cosí ostinata, cosí affabilmente crudele.
– Ci vuole qualcosa da perdere, vuoi dire?
– Cosa ne sai di me, andiamo!
– Che hai un lavoro.
– Fatto da me, inventato da me… Cosa credi, che mio marito fosse contento? E io?
– E tu?
– E io?
– Aspetta, aspetta, lasciami provare: «Che credi, che abbia intenzione di fare la mogliettina casa e circolo? Tutta party e beneficenza? Non dovevi sposare me in quel caso»…
– Grosso modo.
– Me lo ricordo quel periodo a cercare di tirar su un’agenzia di «eventi», che voglia dire poi…
– Io quello so fare e quello ho fatto…
– Ecco, su questo, devo riconoscerlo, sei assolutamente superiore…
– … Mio marito ha un’amante. Non ti azzardare a compatirmi! Le confidenze, a differenza di quanto pensi tu, non servono per farsi compatire. Servono solo per avere qualcuno a cui pronunciare qualcosa che ci diciamo da sempre ma senza un suono, ecco: Mio marito ha un’amante… Da quanto lo so?
– Ecco sí: da quanto lo sai?
– Ha importanza?
– Non so…
– Voglio dire: cambia qualcosa sapere da quanto tempo lo so?
– Credo che possa aiutare ad analizzare la cosa…
– Ecco, analizzare, non ho mai avuto tempo per analizzare… Quella è roba tua.
– Questo non potevo proprio immaginarlo…
– Siamo nel posto giusto… In bagno, no? Noi le confidenze piú importanti ce le siamo sempre fatte in bagno…
– Ah sí, sí…
– Comunque, sarà stato un anno fa, arriva in agenzia e mi dice…
Le disse:
Sei una donna troppo intelligente per non aver capito quello che sto per dirti… Avrai notato che ultimamente sono stato un po’ distratto anche con i ragazzi e questo non deve succedere… Io credo che sia arrivato il momento di dire le cose come stanno…
Non avevo dubbi sul fatto che avresti reagito con civiltà… Non puoi immaginare come mi sento, il solo pensiero di farti del male… Comunque non vi lascerò senza mezzi… Te e i ragazzi, intendo…
Non fare cosí, ho appena detto che sei una donna straordinaria…
Non è da te dire queste cose… Sei una donna risolta… Il vittimismo non ti appartiene proprio. Io sono sicuro che al di là di tutto ciò che ci siamo detti lo sapevamo entrambi da tempo…
Preparati alla guerra allora… preparati alla guerra…
– Cosí è la guerra.
– Ma per te è meglio che stare in pace…
– Sí sí, posso garantire che avere qualcuno da odiare con tutti se stessi è qualcosa che può persino migliorare la giornata. E non occorre nemmeno impegnarsi piú di tanto: basta solo esigere quanto ci è stato sottratto. Lui mi conosce abbastanza da sapere che deve aver paura dal mattino alla sera: sudare davanti al telefono, pensare che un progetto qualunque potrebbe andargli a monte. Io lo conosco cosí bene che posso colpirlo esattamente nel punto giusto. So che lo distrugge essere tenuto nell’incertezza, nel «forse», nel «vediamo», nel «mi faccio sentire»… E lui deve sapere che quando questa tensione avrà definitivamente distrutto la sua pace, quando la sua amante capirà di avere a che fare con un uomo che non potrà mai essere suo e lo lascerà con una letterina di circostanza, io sarò a casa ad aspettarlo e gli darò il colpo di grazia riprendendomelo senza nemmeno chiedere spiegazioni… Perché mi spetta, è mio!
– E si ritorna a questa casa…
– Già, si ritorna a questa casa: è vero, io di questa casa non ne avrei bisogno, anzi non ne ho bisogno. Ma…
– Ma?
– Ma ho appena giurato a me stessa che non rinuncerò mai piú a niente.
– Perché, a che cosa avresti rinunciato nella tua vita, eh?
Alessandra aveva una marea di circostanze da citare:
Quella volta che risi per la barzelletta che non faceva ridere dello zio a tavola e lui, che aveva un po’ di stima nei miei confronti, cominciò a odiarmi.
Quella volta che mi feci convincere dalla mamma a non dirti che avevo preso il massimo dei voti, all’esame di ammissione.
Quella volta che m’impedirono di maledire nostro padre che se ne andava.
E quando decisi di sposarmi.
Quella volta che accettai di non fare quel colloquio di lavoro per mio figlio.
Marinella guarda la sorella esterrefatta: – Davvero avevi preso il massimo dei voti?
– Il massimo: ottanta domande, ottanta risposte giuste. E tu?
Marinella risponde guardando il pavimento: – Ottanta domande, trentanove risposte…
– Meno del cinquanta per cento. Eh? – Ad Alessandra piace dare una consistenza all’evidente.
– Non sembrava importante, la mamma diceva che non era importante… – tenta Marinella, facendo il gesto di alzarsi.
Alessandra la blocca con la mano: – E invece sí! – Poi, concessiva, le dà il permesso di muoversi. – Ma va bene cosí…
– No, «va bene cosí» è la tua formula per dire che non va bene affatto…
– Oh, non va bene affatto allora…
Marinella si prende qualche secondo per organizzare la respirazione: – Ti rendi conto che con te è un combattimento costante? Lo vedi anche tu, no, che è impossibile parlarti… Capisco che stai attraversando un periodo particolare…
– Eravamo d’accordo, mi pare…
– Su cosa!?
– Niente pietismi… Sai che c’è? Io non lo so nemmeno perché sono qui. Che cosa ci sono venuta a fare…
– Perché te l’ho chiesto io sei venuta… no?
– Me l’hai chiesto tu, va bene…
– È una lotta costante, te ne accorgi? Non è mai stato semplice parlare con te. Aveva un bel dire la mamma: «Parlaci, dille le cose come stanno»… «Ma le cose come stanno a lei non si possono dire, lo sai com’è fatta»… «Lo so, lo so, ma tu parlaci lo stesso»…
– Ecco, sempre a complottare.
– Oh…
– Nega l’evidenza… avanti...