
- 416 pagine
- Italian
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Il Maestro e Margherita
Informazioni su questo libro
«Il Diavolo è il più appariscente personaggio del grande romanzo postumo di Bulgakov. Appare un mattino dinanzi a due cittadini, uno dei quali sta enumerando le prove dell'esistenza di Dio. Il neovenuto non è di questo parere... Ma c'è ben altro: era anche presente al secondo interrogatorio di Gesù da parte di Ponzio Pilato e ne dà ampia relazione in un capitolo che è forse il più stupefacente del libro... Poco dopo, il demonio si esibisce al Teatro di varietà di fronte a un pubblico enorme... Un romanzo-poema, o se volete, uno show in cui intervengono moltissimi personaggi, un libro in cui un realismo quasi crudele si fonde o si mescola col più alto dei possibili temi: quello della Passione». Eugenio Montale
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Informazioni
Print ISBN
9788806173739eBook ISBN
9788858411575Libro primo
CAPITOLO PRIMO
Non parlare mai con sconosciuti
Nell’ora di un caldo tramonto primaverile apparvero presso gli stagni Patriaršie due cittadini. Il primo – sulla quarantina, con un completo grigio estivo – era di bassa statura, scuro di capelli, ben nutrito, calvo; teneva in mano una dignitosa lobbietta, e il suo volto, rasato con cura, era adorno di un paio di occhiali smisurati con una montatura nera di corno. Il secondo – un giovanotto dalle spalle larghe, coi capelli rossicci a ciuffi disordinati e un berretto a quadri buttato sulla nuca – indossava una camicia scozzese, pantaloni bianchi spiegazzati e un paio di mocassini neri.
Il primo altri non era che Michail Aleksandrovič Berlioz, direttore di una rivista letteraria e presidente della direzione di una delle piú importanti associazioni letterarie di Mosca, chiamata con l’abbreviazione MASSOLIT1; il suo giovane accompagnatore era il poeta Ivan Nikolaevič Ponyrëv, che scriveva sotto lo pseudonimo Bezdomnyj2.
Giunti all’ombra dei tigli che cominciavano allora a verdeggiare, gli scrittori si precipitarono per prima cosa verso un chiosco dipinto a colori vivaci, che portava la scritta «Birra e bibite».
Ma conviene rilevare la prima stranezza di quella spaventosa serata di maggio. Non solo presso il chiosco, ma in tutto il viale, parallelo alla via Malaja Bronnaja, non c’era anima viva. In un’ora in cui sembrava che non si avesse piú la forza di respirare, quando il sole, che aveva arroventato Mosca, sprofondava oltre il viale Sadovoe in una secca bruma, nessuno era venuto sotto l’ombra dei tigli, nessuno sedeva su una panchina, deserto era il viale.
– Mi dia dell’acqua minerale, – disse Berlioz.
– Non ce n’è, – rispose la donna del chiosco e, chi sa perché, prese un’aria offesa.
– Ha della birra? – chiese con voce rauca Bezdomnyj.
– La devono portare stasera, – rispose la donna.
– Che cos’ha? – chiese Berlioz.
– Succo d’albicocca, ma non è fresco, – disse la donna.
– Ce lo dia lo stesso!…
Il succo formò un’abbondante schiuma gialla, e nell’aria si diffuse un odore di bottega di barbiere. Toltasi la sete, i letterati, presi da un improvviso singhiozzo, pagarono e si sedettero su una panchina facendo fronte allo stagno e voltando le spalle alla Bronnaja.
Qui successe una seconda stranezza, che riguardava il solo Berlioz. A un tratto egli smise di singhiozzare, il suo cuore diede un forte battito, per un attimo non si sentí piú, poi riprese, ma trafitto da un ago spuntato. Inoltre, Berlioz fu preso da un terrore immotivato, ma cosí potente che gli venne voglia di correre via senza voltarsi dagli stagni Patriaršie.
Si guardò in giro angosciato, non comprendendo che cosa avesse potuto spaventarlo tanto. Impallidí, si asciugò la fronte col fazzoletto, pensò: «Che cos’ho? Non mi era mai successo! Il cuore mi fa degli scherzi… Mi sono affaticato troppo… Forse è il momento di mandare al diavolo tutto quanto e di andarmi a riposare a Kislovodsk…»
A questo punto l’aria torrida gli si infittí davanti, e da essa si formò un diafano personaggio dall’aspetto assai strano. Un berretto da fantino sulla piccola testa, una giacca a quadretti striminzita, anch’essa fatta d’aria… Un personaggio alto piú di due metri, ma stretto di spalle, magro fino all’inverosimile, e dalla faccia – prego notarlo – schernevole.
La vita di Berlioz era cosí fatta che agli avvenimenti straordinari egli non era abituato a credere. Impallidendo ancora di piú, spalancò gli occhi e pensò sconcertato: «Non è possibile!…»
Ma, ahimè, era possibile, e lo spilungone, attraverso il quale passava lo sguardo, oscillava davanti a lui senza toccare la terra.
Allora il terrore s’impadroní a tal punto di Berlioz che egli chiuse gli occhi. Quando li riaprí, vide che tutto era finito, il miraggio si era dissolto, l’uomo a quadretti era sparito, e insieme l’ago spuntato gli era uscito dal cuore.
– Accidenti, che diavolo! – esclamò il direttore. – Lo sai, Ivan, c’è mancato poco che mi venisse un colpo per il caldo! Ho avuto perfino una specie di allucinazione… – tentò di ridacchiare, ma negli occhi gli ballava ancora l’inquietudine e le mani tremavano. Però a poco a poco si calmò, si sventagliò col fazzoletto, e proferendo con una certa baldanza: – Be’, allora… – riprese il discorso che era stato interrotto dal succo di albicocca.
Questo discorso, come si seppe in seguito, riguardava Gesú Cristo. Infatti, il direttore aveva commissionato al poeta, per il prossimo numero della rivista, un grande poema antireligioso. Poema che Ivan Nikolaevič aveva composto, e in brevissimo tempo, ma purtroppo senza minimamente soddisfare il direttore. Bezdomnyj aveva tratteggiato il personaggio principale del suo poema, cioè Gesú, a tinte molto fosche, eppure tutto il poema, secondo il direttore, andava rifatto di sana pianta. Ed ecco che il direttore stava tenendo una specie di conferenza su Gesú, allo scopo di sottolineare il principale errore del poeta.
È difficile dire che cosa avesse sviato Ivan Nikolaevič – se la potenza figurativa del suo ingegno o l’ignoranza totale del problema trattato; fatto sta che il suo era un Gesú del tutto vivo, un Gesú che un tempo aveva avuto una sua esistenza, anche se, a dire il vero, era un Gesú fornito di tutta una serie di attributi negativi.
Berlioz invece voleva dimostrare al poeta che l’importante non era la bontà o meno di Gesú, ma il fatto che Gesú in quanto persona non era mai esistito, e che tutti i racconti su di lui erano pure invenzioni e banalissimi miti.
Occorre notare che il direttore era un uomo di vaste letture, e con gran perizia nel suo discorso si rifaceva agli storici antichi, al celebre Filone d’Alessandria ad esempio, e a Giuseppe Flavio, uomo d’una cultura smagliante, che non avevano mai fatto la menoma menzione dell’esistenza di Gesú. Dando prova d’una robusta erudizione, Michail Aleksandrovič comunicò tra l’altro al poeta che quel passo del libro decimoquinto, nel capitolo 44, dei celebri Annali di Tacito, dove si parla della morte di Gesú, era un’interpolazione apocrifa molto posteriore.
Il poeta, per il quale tutto ciò che gli veniva comunicato era una novità assoluta, ascoltava il direttore con attenzione, fissandolo coi suoi vivaci occhi verdi e solo a tratti emetteva un singhiozzo, imprecando sommessamente contro il succo di albicocca.
– Non esiste una sola religione orientale, – diceva Berlioz, – in cui manchi, di regola, una vergine immacolata che metta al mondo un dio. E i cristiani, senza inventare nulla di nuovo, crearono cosí il loro Gesú, che in realtà non è mai esistito. È questo il punto sul quale devi insistere…
L’alta voce tenorile di Berlioz si diffondeva nel viale deserto, e a mano a mano che Michail Aleksandrovič penetrava in un labirinto in cui solo una persona coltissima può penetrare senza correre il rischio di rompersi il collo, il poeta veniva a scoprire un numero sempre maggiore di cose interessanti e utili su Osiride, dio benevolo e figlio del Cielo e della Terra, su Tammuz, dio fenicio, su Marduk, e perfino su un dio meno noto, ma terribile, Huitzilopochtli, un tempo molto venerato dagli aztechi del Messico. Ma proprio nel momento in cui Michail Aleksandrovič raccontava al poeta che gli aztechi foggiavano con pasta lievitata una figurina di Huitzilopochtli, nel viale apparve la prima persona.
In seguito – quando, a dire il vero, era ormai troppo tardi – vari uffici fecero i loro rapporti con la descrizione di quella persona. Il loro confronto non può non provocare stupore. Infatti, il primo rapporto affermava che l’uomo era di bassa statura, aveva denti d’oro e zoppicava dalla gamba destra. Il secondo, che l’uomo era di enorme statura, aveva ai denti capsule di platino e zoppicava dalla gamba sinistra. Il terzo comunicava laconicamente che l’uomo non presentava alcun contrassegno particolare. Bisogna confessare che nessuno dei rapporti aveva il minimo valore.
Anzitutto: il personaggio descritto non zoppicava da nessuna gamba, e la sua statura non era né bassa, né enorme, ma solo alta. Quanto ai denti, a sinistra aveva capsule di platino, a destra d’oro. Indossava un vestito grigio di gran prezzo, e scarpe straniere del colore del vestito. Portava un berretto grigio sulle ventitre, sotto l’ascella aveva una canna nera con un pomo nero a forma di testa di can barbone. Dimostrava una quarantina d’anni. La bocca storta. Ben rasato. Bruno. L’occhio destro nero, quello sinistro, stranamente verde. Sopracciglia nere, ma una piú alta dell’altra. In poche parole, un forestiero.
Passando vicino alla panchina su cui sedevano il direttore e il poeta, il forestiero lanciò loro un’occhiata, si fermò, e all’improvviso si sedette sulla panchina accanto, a due passi dagli amici.
«Un tedesco…», pensò Berlioz. «Un inglese… – pensò Bezdomnyj, – guarda, non ha caldo con quei guanti!»
Il forestiero intanto gettò uno sguardo alle alte case che formavano un quadrato attorno allo stagno, e diventò manifesto che vedeva quel luogo per la prima volta e ne era interessato. Soffermò lo sguardo sui piani superiori, i cui vetri riflettevano, abbaglianti, il sole frantumato che abbandonava per sempre Michail Aleksandrovič, poi guardò in giú, dove i vetri cominciavano a coprirsi del primo buio della sera, ridacchiò con condiscendenza, socchiuse gli occhi, pose le mani sul pomo della canna, e il mento sulle mani.
– Tu, Ivan, – diceva Berlioz, – hai dato un bel quadro satirico, ad esempio, della nascita di Gesú, il figlio di dio. Ma il fatto è che prima di Gesú era nata tutta una serie di figli di dio, come, diciamo, l’Adone fenicio, l’Atti frigio, il Mitra persiano. Insomma, nessuno di loro è mai nato né esistito, neppure Gesú, ed è necessario che tu, invece di raffigurare la nascita oppure, diciamo, l’arrivo dei re magi, metta in evidenza le assurde dicerie su questo evento. Se no, da quello che hai scritto, sembra che sia nato per davvero!…
In quel mentre Bezdomnyj, trattenendo il respiro, tentò di far cessare il singhiozzo che lo tormentava, perciò gli venne un singulto ancora piú tormentoso e forte, e nello stesso istante Berlioz interruppe il suo discorso perché il forestiero si era alzato all’improvviso e si era diretto verso i due scrittori. Questi lo guardarono sorpresi.
– Vogliano scusarmi, – disse egli con accento straniero ma senza storpiare le parole, – se io, pur non conoscendoli, mi permetto… ma l’argomento della loro dotta conversazione è talmente interessante che…
Qui si tolse urbanamente il berretto, e agli amici non rimase altro da fare che alzarsi e salutare.
«No, è piuttosto francese…», pensò Berlioz.
«Un polacco…», pensò Bezdomnyj.
Si deve aggiungere che sin dalle prime parole il forestiero aveva prodotto una pessima impressione sul poeta, mentre a Berlioz era andato piuttosto a genio, cioè, non che gli fosse andato a genio ma, come dire… lo aveva incuriosito.
– Posso sedermi? – chiese con urbanità; gli amici si scostarono meccanicamente, il forestiero si sedette svelto tra loro ed entrò subito nella conversazione. – Se non ho sentito male, lei stava dicendo che Gesú non è mai esistito, – disse rivolgendo verso Berlioz il suo occhio sinistro verde.
– No, ha sentito benissimo, – rispose con cortesia Berlioz, – stavo proprio dicendo quello.
– Oh, com’è interessante! – esclamò il forestiero.
«Che diavolo vuole costui?», pensò Bezdomnyj e aggrottò la fronte.
– E lei era d’accordo col suo interlocutore? – s’informò lo sconosciuto voltandosi a destra verso Bezdomnyj.
– Al cento per cento! – confermò questi, che amava esprimersi in modo metaforico e ricercato.
– Stupefacente! – esclamò l’inatteso interlocutore, e, gettata intorno un’occhiata furtiva, e smorzando la voce già bassa, disse: – Vogliano scusare la mia insistenza, ma mi sembrerebbe di aver capito che, oltre tutto, loro non credono in dio –. I suoi occhi presero un’espressione spaventata, ed egli aggiunse: – Giuro che non lo dirò a nessuno!
– Infatti, non crediamo in dio, – rispose Berlioz, sorridendo lievemente del timore del turist...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Nota introduttiva
- Il Maestro e Margherita
- Libro primo
- Libro secondo
- Epilogo
- Il libro
- L’autore
- Dello stesso autore
- Copyright