È spiazzante, ma soprattutto è utile, tornare nei luoghi in cui siamo stati felici un tempo. Ti accorgi che tutto è cambiato e provi quel sentimento dolceamaro tipico della delusione. Lo so, ci viene insegnato che la delusione è un sentimento pesante, inservibile, e invece no, al contrario, è un ottimo strumento di misura, perlomeno ci indica la distanza tra quello che siamo stati e quello che siamo, tra i sogni e la realtà. E poi la delusione è anche un buon segno: ci segnala che il presente non ci basta.
Che pensieri poetici, eh? Mica immaginavo che fra poco sarebbe cominciato l’inferno.
Vado in panificio passando per una delle stradine di Bojano – Bojano è un piccolo paese nel basso Molise, vicino a Bocca della Selva, una località a 1450 metri slm dove ho casa da quarant’anni e dove, appunto, vado da quarant’anni in vacanza, una località molto frequentata negli anni Ottanta, mentre ora non c’è nessuno, solo faggi, nemmeno i pastori, nemmeno arrivano i giornali, e quindi per me è perfetto, in quei giorni non faccio niente –, passo per questa stradina, dicevo, e mi accorgo, sí, che è cambiata, sí, che tutto è diverso, eppure riesco a individuare il punto esatto dove ho dato il mio primo bacio. C’è ancora la pietra.
All’epoca – sarà stato il pleistocene – c’ero arrivato in motorino con Carmela e non mi ricordo nemmeno per quali assurdi giri. Andavamo a un concerto – un gruppo di jazz fusion di Napoli – stretti stretti sul mio motorino truccato, e c’eravamo persi, era notte, quel buio fitto che solo la montagna può offrire, potrei giurare di aver sentito un lupo, e l’eccitazione, la lingua bloccata, la gola secca… ci baciammo.
I piú bei baci sono quelli dati per spavento, placano, rilassano, avvolgono, e chissà se sono stato fortunato o sfortunato a essere incorso da subito in questo strano accidente, una sorta di imprinting.
Fatto sta che in macchina avevo preso una scorciatoia e per caso ero finito lí, vicino alla pietra del mio primo bacio con Carmela.
E dire che ero andato a Bojano solo per fare la spesa. E dire che Carmela non la vedo da tanti anni.
Tutto era placido, in quel panificio, a Bojano, 8000 abitanti scarsi, dove c’è anche il castagno piú antico d’Italia. E mentre aspetto il mio turno ripenso a quando mi chiamò Mauro Gioia, febbraio del 2007, per propormi lo spettacolo:
«Ho letto un tuo libro che parla del Molise».
«Sí?»
«Sí, lo conosco bene il Molise».
«Davvero?»
«Avevo un casa lí, a Bocca della Selva».
«Ma che dici? Anche io, dove?»
«Di fronte al rifugio, sai quella casa con il tetto spiovente?»
«E certo che sí, ma quando ci venivi?»
«D’estate, negli anni Ottanta, poi l’ho venduta».
«Noo, ma scusa, com’è che non ci siamo mai visti? Con chi stavi?»
«Mah, ho avuto una storia con Carmela».
«Con Carmela?»
«Carmela, sí».
«Carmela Fiorito?»
«Sí sí, oh, una Carmela c’era a Bocca della Selva, mi sembra».
«Ma come Carmela Fiorito? Ma quando?»
«E quando? E chi si ricorda? L’anno dei mondiali…»
«Ma che cazzo, Mauro, all’epoca stava con me».
«Ma che con te, stava con me».
«Ti dico che stava con me».
«Nooo…»
«Sí. Ecco perché ogni tanto spariva, non la vedevo per ore intere, sono quattro case Bocca della Selva».
«No, con me spariva, a volte intere giornate, ah quindi stava con te?»
«Fantastica, Carmela».
«Non bellissima, però».
«E no, però era dolce, inquieta, e poi le ragazze belle volevano la dichiarazione, ti è mai capitato?»
«Uuuh, non me ne parlare, dichiarazioni lunghissime».
«Una volta con una, due ore di dichiarazione e alla fine sai che mi ha detto?»
«No. Cioè, ti ha detto no».
«Esatto: no. Carmela non era cosí».
«Carmela ti disse di no?»
«No no, ci baciammo senza parlare, spettacolare…»
«Infatti, anche con me, guarda, il bacio piú veloce della mia storia».
«Ma l’hai piú vista?»
«Come no, – mi disse Mauro, – recentemente, ha due bambini».
«Wow… Senti: e questo spettacolo?»
Mica mi sorpresi piú di tanto. Che vuoi fare? Quando ci baciammo, seduti sulla pietra, Carmela – che mi piaceva tanto perché aveva le sopracciglia alte e cosí il suo viso mi pareva lungo e bello, non finiva mai – insomma mi disse:
«Però c’ho il ragazzo a Napoli, si chiama Massimo».
Che sceneggiata che feci. Come, il ragazzo? Allora ritiro il bacio. Non voglio dividerti con un altro. Adesso che facciamo? Lei si mise a piangere: non lo so, non lo so. Che casino, io sono innamorata di te. Anche io di te.
Eravamo solo spaventati, in realtà, perciò uno si buttò nelle braccia dell’altra. Lei mi promise che avrebbe lasciato Massimo per me. E io la baciai ancora e, incredibile, erano anni che mi preoccupavo di come si fa a dare un bacio, ascoltavo le spiegazioni degli amici piú grandi, i trucchi, le tecniche, e che ansia, e invece, la verità: lo spavento rende i baci facili facili, come se avessi dato baci da sempre.
Poi Carmela lasciò Massimo, non a settembre ma a dicembre, però si mise con Stefano.
Che sceneggiata che feci. Lei si innamorò di lui, piangeva per lui, io piangevo per lei, però, quando ci vedevamo, che ne so, eravamo sempre cosí spaventati che ci baciavamo, piangevamo e ci spaventavamo, questa forza imponderabile che chiamavamo amore ci tormentava e si spegneva solo quando uno si buttava nelle braccia dell’altra. Che pace.
Poi Carmela lasciò Stefano e si mise con Riccardo, un cazzone, che dire, con lui tutti i giorni della settimana, a me i fine settimana invernali.
Soffrivo, ma il fatto è che insieme sciavamo benissimo, e nonostante lei, in controluce, non fosse proprio una silhouette, era capace di scivolare sulla pista con leggerezza, cosí lei apriva e io le andavo dietro, e chissà, questo inseguimento ci teneva uniti. E poi parlavamo, e ci scrivevamo un sacco di lettere.
Però sotto sotto la odiavo. Perché preferiva a me Massimo, Stefano, Riccardo – e forse anche Mauro Gioia –, e tra una discesa e un’altra cominciai a provocarla.
Era cattolica e io giú con le ragioni degli atei. Studiavo interi trattati, leggevo tutte le note al Vecchio e Nuovo Testamento per convincerla che non era nel giusto.
«Gesú era sposato!»
«Ma che dici?»
«Aveva anche dei fratelli».
«Vabbè, e anche se fosse?»
«Anche se fosse? Come tieni insieme la morale cristiana e i dogmi di purezza se Gesú stava sempre in mezzo alle donne, andava di festa in festa…»
«Ma mica c’è sottrazione nell’amore».
«Come fai a dire una cosa del genere? Cioè, stai con me e con Riccardo…»
«Lascia stare Riccardo».
«E chi te lo tocca, quello».
«Allora sai che c’è? – mi diceva prendendosi il lusso di una pausa e alzando ancora di piú le sopracciglia. – Tra voi due, se devo scegliere, scelgo lui».
«Ma che stai dicendo? Sei una stronza, io ti amo».
«Anche io ti amo, ma perché fai tutte queste storie allora? Dài rilassati, va tutto bene».
«E comunque Gesú era sposato».
Naturalmente se fosse stata atea, io sarei diventato cattolico. Lei era borghese? Con i suoi fidanzati passeggiava il sabato per via Petrarca a Napoli? E io allora ascoltavo Guccini e le riempivo la testa di osterie fuori porta ed eskimi.
Per un certo periodo, i contrasti verbali, le liti ci arrossavano viso e tempie, diventavamo paonazzi, spaventosi.Continuavamo finché faceva buio, qualche volta la prendevo di forza, la buttavo per terra, cercavo di baciarla e lei mi diceva:
«Non sento proprio niente, stronzo!»
Allora mi fermavo, ansimante. Adombrato. E lei mi veniva vicino. «Vaffanculo», mi diceva, poi al buio mi dava un bacio.
I contrasti verbali e le liti, oltre ad arrossarci il viso, procuravano in noi quella che poi definivamo, nelle lettere che ci scrivevamo, passione. Dopo le liti la pace, dopo l’odio l’amore. A ondate.
Anno dopo anno, discussione dopo discussione, questa modalità era diventata l’unica modalità.
Eravamo due amanti, di quelli che si telefonano e uno dice all’altra: come facevi a sapere che ti volevo sentire, ora, proprio ora. Di quelli che proclamano: è stato il destino cinico e baro a separarci.
E quando ci ritrovavamo, portavamo i nostri corpi stanchi in un letto, e il buio candidamente ci avvolgeva.
Ma continuavo a essere geloso.
Una mattina d’estate feci una follia, presi la macchina, avevo solo il foglio rosa e da Caserta andai da lei, senza preavviso. La chiamai che ero sotto casa sua, da una cabina telefonica.
«Ma sei pazzo?»
Le piaceva molto dire: sei pazzo. Per rimproverarmi, e tuttavia, da allora, ho capito che quando una donna dice sei pazzo, non vede l’ora di fare pazzie.
C’era il portiere. «Un pettegolo», mi ripeteva ansiosamente. E soprattutto il suo ragazzo abitava lí vicino. Eravamo a rischio pettegolezzi.
«Ci scoprono. Aspetta un attimo, fammi organizzare».
Che in effetti, sotto sotto, era quello che volevo: i gelosi corteggiano bene le proprie fragilità.
Scavalcai un muretto e aggirai il portiere. Entrai da una finestra dell’androne, cosí mi trovai sulla rampa. Salii e bussai.
«Sei pazzo, può venire qualcuno».
E mi buttò sul primo divano, quello dello studio del padre.
«Facciamo presto, dài».
Ma sul piú bello bussarono alla porta.
Mi alzai di scatto, ero nudo, e successe:
«Aaah!»
Un dolore micidiale, mi si bloccò la schiena, classico colpo della strega.
«Che situazione», disse lei.
Insomma, eravamo nello studio del padre, che non c’era e sarebbe tornato nel pomeriggio, la mamma era al mare, il portiere non bussava mai perché citofonava, due piú due: il ragazzo. Cercai di muovermi, ma che vuoi muoverti!
La posizione era leggermente equivoca: nudo, a quattro zampe, con le mie mutande in bocca, un dolore insopportabile. Carmela corse ad aprire. Appunto, il suo ragazzo. Giusto per la cronaca: sí, un cazzone, ma alto 1.90, patito per lo sport, muscoloso.
Carmela lo accolse con voce calma. Rumori vari – che si stavano baciando? Poi lei disse:
«Mio padre è nello studio».
«Lo saluto».
«No, guarda, poverino, sta bloccato con la schiena, meglio di no».
«Ah, ci vuole l’antinfiammatorio».
«Ecco, infatti, stavo scendendo apposta».
Ero sempre a quattro zampe, nudo e con le mutande in bocca, in uno studio arredato con tipico gusto borghese napoletano, comò Luigi XVI e librerie enormi e inutili, con volumi dell’Enciclopedia Treccani comprata a rate, tanti ninnoli sparsi per la stanza e poi foto, foto che ritraevano parentame che si perdeva nell’Ottocento, e io che mi sentivo un coglione, voglio dire: giocavo a basket, correvo e scavalcavo muretti, e ora…
Carmela disse alzando la voce:
«Papà, noi scendiamo in farmacia».
Io mi mossi per provare ad alzarmi: un dolore…
«Ahhhh».
Oddio, pensai, e ora?
«Poverino».
...