Di carne e di nulla
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Di carne e di nulla

  1. 256 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Il saggio letterario e il reportage hanno segnato, in un contrappunto continuo con le opere narrative, la carriera di David Foster Wallace. Questo corposo volume raccoglie tutta la sua non-fiction inedita, dalle riflessioni sull'arte e il suo ruolo nel mondo di fine millennio, a considerazioni sul cinema e note di costume. E include due importanti interviste, nonché un'esilarante conversazione con il grande regista Gus Van Sant. Un'altra occasione per confrontarsi con il talento ineguagliabile di DFW, e per conoscere nuovi dettagli del suo modo di intendere la letteratura e di ridisegnarne i confini. *** «È spaventoso. Perché a me sembra cristallino che, se dimentichiamo come morire, finiremo col dimenticare come vivere».

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Interviste

Bookworm 11/4/96

MICHAEL SILVERBLATT Ciao, qui è Michael Silverblatt, benvenuti a Bookworm. L’ospite di oggi è David Foster Wallace, autore di Infinite Jest, appena uscito da Little, Brown. È anche autore di un libro di racconti, La ragazza dai capelli strani, da poco pubblicato in edizione tascabile, e di un libro antecedente dal titolo La scopa del sistema, che presto sarà o tornerà in libreria.
Non so bene come parlare di questo libro, perciò dovrai farmi un po’ da guida. Ma mi è venuta in mente una cosa che magari non sta in piedi, e cioè che il libro è scritto in frattali.
DAVID FOSTER WALLACE Spiegati meglio.
MS Ho pensato che il materiale è presentato in modo da permettere a un argomento di essere introdotto in piccolo, dopodiché si apre un ventaglio di tematiche, di altri argomenti, e poi eccolo ripresentarsi in una nuova forma che include gli altri argomenti, anche loro in piccolo, e poi ripresentarsi ancora come se quello che viene raccontato fosse… non sono molto ferrato in questa scienza, ma è solo che… mi sono detto che i frattali dovevano essere cosí.
DFW È… me l’avevano detto che sei un lettore in gamba. È una cosa che c’è, a livello strutturale. In effetti è strutturato come una cosa che si chiama triangolo di Sierpinski, che è un tipo molto primitivo di frattale piramidale, anche se a essere strutturata come un triangolo di Sierpinski era la prima… era la bozza che ho consegnato a Michael nel ’94 e che ha subito alcuni «tagli provvidenziali», secondo me, e mi sa che ne è venuto fuori un triangolo di Sierpinski un po’ sbilenco. Ma è interessante, è uno dei modi strutturali in cui dovrebbe piú o meno comporsi.
MS «Michael» è Michael Pietsch, editor della Little, Brown. Cos’è un triangolo di Sierpinski?
DFW Sarebbe quasi imp… Dovrei fartelo vedere. È una specie di disegno creato se non sbaglio da un certo Sierpinski – un bel po’ prima che comparissero i frattali e tutte le tecnologie di cui i frattali sono un’utilissima metafora. Ma fondamentalmente sembra una piramide che si è fatta un acido…
MS (ride).
DFW … con interconnessioni tra alcune parti che visivamente lasciano sbalorditi, e poi hanno spiegazioni matematiche interessanti.
MS Quel poco che so sui frattali l’ho letto in un saggio di Hugh Kenner che è saltato su dicendo: – Ma questo l’ha fatto Pound –. Cercava di far capire che i modi in cui i materiali si organizzano nella poesia e altrove non hanno nulla di sofisticato, che gli schemi del disordine sono molto piú belli di quelli dell’ordine, e altrettanto rintracciabili. Quando dai a un libro una struttura cosí, vuoi che venga rintracciata?
DFW La domanda è molto insidiosa, perché lo so che quand’ero uno scrittore alle prime armi facevo un’infinità di giochetti strutturali che, a ripensarci, erano per lo piú fra me e me; me ne infischiavo abbastanza. In effetti non… cioè, Infinite Jest cerca di fare tantissime cose tutte assieme e per me cambia poco se qualcuno… cioè, mi aspetterei che le strutture a frattali stimolassero l’interesse di un matematico, di un logico o di un chimico. Per me… cioè, la motivazione, mi pare, era molto piú legata al fatto che tanta della vita pre-millennio in America è costituita da quantità enormi di quelle che sembrano informazioni sparate a getto continuo, e la vera avventura intellettuale sta nel trovare modi di collegarle fra loro e schemi e significati piú ampi, che sostanzialmente è compito della narrazione, ma strutturalmente parlando è un po’ diverso. E siccome i frattali sono piú un tipo di… oddio… siccome il suo caos è piú superficiale, come fossero l’ossatura o la bellezza, un sovrappiú, che sarebbe un modo piú interessante di strutturare la cosa. Cioè… okay, sto parlando un po’ a vanvera, ma so che per fare una cosa cosí lunga, l’aspetto strutturale mi compete eccome, perché è un po’ come i ramponi sul fianco della montagna. È un modo per non perdere l’orientamento, per non distrarmi e arrivare fino alla fine. Non credo che imporrei al lettore strutture strane come avrei fatto, che so, dieci anni fa. È chiaro?
MS Come no, ma volevo spiegare meglio, almeno a me stesso, che l’organizzazione del materiale, a prescindere dal fatto che qualcuno salti su dicendo: «frattali» o che non sappia nemmeno cosa sono, i frattali, a me è sembrata necessaria e molto bella perché stiamo entrando in un mondo che ha bisogno di essere reso strano prima di diventare familiare. Perciò mi sembra che in questo libro, che contiene sia la banalità sia la straordinarietà di vari tipi di esperienza oltre alla banalità dell’esperienza straordinaria, che…
DFW E alla straordinarietà dell’esperienza banale.
MS Già… che un modo andava trovato, e mi entusiasmava che fosse strutturale, che il libro trovasse un modo di organizzarsi capace di farti sapere… Sai, sono analogie che poi ricorrono in tutto il libro. Quando è uscito Ulisse, la gente parlava delle sue strutture musicali. Quando uscivano i libri di Dos Passos, la gente parlava di montaggio cinematografico.
DFW Mm-mh.
MS In questi ultimi anni sembra difficilissimo trovare un modo nuovo di strutturare un libro. Io so solo che Barth lavora con le spirali logaritmiche…
DFW Uh-huh.
MS … per affrontare il disvelarsi dei ricordi e vedere le cose da una nuova prospettiva in fasi successive.
DFW Tieni presente, però, che quando parlano con chi ha scritto per davvero la cosa, si sentono tutti esperti con le soluzioni in tasca. Per quanto mi riguarda so solo che non è che mi metto lí e dico: – Allora, vediamo: cosa… come faccio a trovare una sineddoche strutturale adatta a quest’esperienza seduta stante? – Si tratta piú di capire se sa di vero o no. E so che è in assoluto la prima cosa per la quale ho rimediato un anticipo, perché non avevo il becco di un quattrino e volevo finirla. E Michael Pietsch, l’editor, ha detto – se non sbaglio aveva le prime quattrocento pagine – e ha detto che gli sembrava un pezzo di vetro caduto da un’altezza vertiginosa. È stata la prima volta che qualcuno ha concettualizzato quella che per me era solo una certa rappresentazione strutturale di come agiva il mondo sulle mie terminazioni nervose, cioè come una caterva di frammenti disparati, che però contenevano al loro interno, non sempre cosí platealmente, collegamenti interessantissimi. E non si capiva se i collegamenti fossero la mia immaginazione, o se fossero folli, o reali, e quali fossero importanti e quali no. Perciò voglio dire che molta della struttura che c’è dentro è piú o meno decisa là per là a seconda di cosa mi sembrava vero e cosa no. E molta della… non è che mi sono messo lí e ho detto: – Ora faccio una struttura frattale, – o roba del genere…
MS Mm-mh.
DFW Non mi considero quel tipo di scrittore.
MS Niente schemi, allora? O gli schemi sono emersi mano a mano che procedevi?
DFW Ahh… be’, avevo… cioè, c’è un poster del triangolo di Sierpinski che ho da quando ero piccolo e mi piace per il semplice fatto che è bello. Solo che è molto strano: non sono… c’è… secondo me scrivere è una grande miscela di… c’è un sacco di adulterazione e c’è un sacco diciamo cosí di idiozia. E tantissimo è viscerale e «questo sa di vero / questo non sa di vero; questo ha il sapore giusto / questo no», ed è solo quando arrivi piú o meno a metà che secondo me cominci a veder emergere il barlume di una struttura. Poi, certo, il grande incubo è che la struttura la vedi solo tu mentre per gli altri è un gran casino.
MS La cosa che mi ha entusiasmato del libro è che dopo circa duecento pagine mi è sembrato che andasse di bene in meglio. Ha cominciato a piacermi sempre piú e non vedevo l’ora di rileggerlo daccapo e provavo una specie di, non so, tenerezza nei confronti del libro, nei confronti dei personaggi e del narratore, per lo sforzo immane convogliato nella scrittura. Non sembrava una difficoltà fine a sé stessa; sembrava una difficoltà enorme spesa perché era necessario dire qualcosa di importante su quanto sia diventato difficile essere umani, e che non ci fossero altri modi per dirlo.
DFW Quasi quasi ti chiedo di adottarmi.
MS (ride).
DFW Perché, sí, è questo il grande incubo quando fai una cosa lunga e difficile, hai il terrore che venga presa come gratuitamente ostica e difficile, che sia, tipo, un esercizio avanguardistico fine a sé stesso. E avendo fatto qualcosa del genere, credo, agli inizi della carriera, mi spaventava non poco: e la fregatura – (ne avrei, sai, di cose da dire sul piagnisteo di tanta narrativa d’avanguardia e di tanta narrativa seria e sulla defezione dei lettori e, sai com’è, prendersela solo con la Tv in un certo senso è una cazzata) – [è] che secondo me un mucchio di avanguardia ha dimenticato che ha anche il compito di convincere il lettore con le lusinghe a fare volentieri uno sforzo. E nel fare una cosa cosí le paure erano tante e una era: – Oh, no, verrà fuori di una lunghezza o di una difficoltà gratuite –. E, non so, sono contento che tu l’abbia detto perché, sí, non ho mai sfacchinato tanto su qualcosa in vita mia e niente di quello che c’è dentro è lasciato al caso e alcuni lettori e recensori già lo considerano un pastrocchio buttato lí a casaccio e io non posso far altro che alzare le spalle.
MS Be’, a me sembra che se hai avuto la sfortuna di non incontrare – se non sai guardare una medusa e vedere quant’è miracolosamente complicata – non so perché, ma si direbbe che la gente guardi, che so, un computer e dica: – Be’, è un computer, non so come funziona, ma funziona… – hai presente, – … il lavoro scemo lo faccio fare a lui –. Allo stesso modo non sanno guardare la prosa, una cosa fatta dall’uomo o una cosa naturale, e vedere che la sua bellezza sta nel risolvere la complessità in una specie di organismo… di ordine.
DFW E la colpa forse è in parte di una specie di cultura della lettura, ma in parte è che la narrativa ha un compito molto strano e complicato. Perché il suo compito sta in parte nell’insegnare al lettore, nel comunicare con il lettore, nello stabilire un qualche rapporto con il lettore laddove il lettore è disposto, a livello neurologico, a compiere uno sforzo per guardare la medusa con l’attenzione necessaria a vedere quant’è bella. E questo presup… è difficilissimo parlare di uno sforzo simile e fa proprio paura perché non sai con certezza se l’hai fatto o meno. Ed è quello che ti dà una specie di stretta al cuore quando senti qualcuno dire: – Questa cosa mi piace davvero; non mi è sembrata gratuita, – perché è proprio questo che ti auguri mentre la fai.
MS Be’…
DFW È chiaro?
MS Certo.
DFW Okay.
MS Doppiamente, perché, mi spiego meglio: ho conosciuto John Barth quando La casa dell’allegria era appena uscito. Studiavo a Buffalo; Chimera stava per vedere le stampe. Ci sono stati, tra la pubblicazione di La casa dell’allegria e Chimera, molti, moltissimi anni di confusione e indecisione e in una certa misura, anche se niente influenzerà mai la mia vita come essermi trovato in presenza di quell’uomo, credo che sotto vari aspetti lui abbia preso la piega sbagliata, capisci?, e che ora vediamo due cose: un moto di stizza, la sensazione che la piega sia sbagliata di una sfumatura, che possa essere corretta. E ti sembra quasi di veder scrivere e riscrivere i libri nel tentativo non proprio di aggiustarli, ma di scoprire dove hanno sbagliato. E l’altra è la strana peculiarità, e si trova anche in questi – nei tuoi libri – che lui abbia risolto alcuni problemi della vita come secondo lui la vita non poteva essere risolta. È diventato felice, si è sottomesso alla moglie e ama sinceramente una persona. E questa sembra una cosa difficile da conciliare con una narrativa che ha preso le mosse da una tendenza nichilista.
DFW Mh. Sí, una delle cose… i titoli non me li ricordo… ma di recente sono usciti alcuni pezzi brevi, uno su «Harper» e tre su «Conjunctions», ed è molto interessante osservare questo fenomeno. Hai ragione, nell’aria si sente il disagio di essere felici, il disagio di come scriverne, una specie di «arte dei cuoricini» e cose che negli anni Sessanta sarebbero sembrate volgari, scontate e sentimentali, viste attraverso il filtro che lui ha costruito con tanta accortezza. Mentre parlavi… quello che mi diverte è che la cosa che lui torna indietro e riscrive per me è la cosa viva. Cioè, ci sono parti de La casa dell’allegria che mi vedono in tutto e per tutto con lui, ed è a cominciare da Chimera che secondo me lui diventa una specie di «Clan...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Di carne e di nulla
  3. Di nuovo fuoco e fiamme
  4. L’importanza (per cosí dire) seminale di Terminator 2
  5. La natura del divertimento
  6. Non pervenuti: cinque romanzi americani spaventosamente sottovalutati > 1960
  7. La retorica e il melodramma matematico
  8. The Best of The Prose Poem
  9. Notazioni su ventiquattro parole
  10. Futuri narrativi e i Vistosamente Giovani
  11. Pan Cogito
  12. Il plenum vuoto: Wittgenstein’s Mistress di David Markson
  13. Decisorizzazione 2007 – un resoconto particolare
  14. Borges sul lettino
  15. Chiedo soltanto
  16. Interviste
  17. Nota
  18. Elenco dei saggi in volume
  19. Il libro
  20. L’autore
  21. Dello stesso autore
  22. Copyright