Affacciato alla finestra della suite Anna Magnani, al quarto piano dell’albergo La Chiocciola, nei dépliant «piccola oasi di charme alle spalle di Campo de’ Fiori», per il volgo costoso scannatoio dell’élite capitolina, l’onorevole Pericle Malgradi, campione della cristianità, spalancò la vestaglia di seta nera con il disegno del Fujiyama coperto di neve – kimono, si chiama kimono, gli aveva spiegato il Samurai, ma era uno fissato, quello –, estrasse il considerevole affare della cui leggendaria erezione menava urbi et orbi vanto e si accinse a benedire con la sua acquerugiola giallognola tetti e passanti dell’immortale città eterna.
– Sabrina! – latrò, senza voltarsi verso la sua preferita, abbandonata poc’anzi a giacersi sul king-size bed con l’altra, la lituana. – Sabrina, tu che sei romana, ’a canusci dda poesia del Belli… com’è ca faceva? Io so’ il re… io so’ io e voi nun sète un cazzo…
Ma la minzione, la sublime minzione postcoitale, che goduria, che piacere! Potevi dirigere il getto e orientarlo ad annaffio, a fontanella, a schizzo ripetuto e multiplo, ovvero a filo a piombo, a gocciolina ina-ina, o scaricare d’un colpo solo una cascata impetuosa, schiumosa, su quei miserabili che lavoravano di notte.
– Sabrina, guarda! Ne ho preso uno proprio sulla pelata! Uh, sí, bello, guarda, guarda in cielo, pigliatela coi gabbiani e le cornacchie… io sto sopra e tu stai sotto… hai capito, ora, come funziona la vita? Sabri’? Sabrinaaa… E vieni a vedere, no, mannaja ’a Maronna d’a muntagna, con quello che vi pago, a te e alla slava, me la volete dare un poco di soddisfazione?
Ma niente. Lo zoccolume doveva essersi appisolato. E certo. Le aveva sfiancate, quelle due. Mica scherzi: stiamo parlando di Pericle Malgradi! Ma ci avrebbe pensato lui a dargli la sveglia, alle «professioniste».
L’onorevole pescò nel tascone del kimono il Patek Philippe Annual Calendar 4937G, baciò con tenerezza e legittimo orgoglio paterno l’immaginetta delle figlie che s’era fatto incastonare all’interno della cassa, fece scattare il meccanismo – e vallo a trovare un altro che può permettersi come blister un drago da cinquantamila euro – e afferrò un paio di compresse di Listra.
– Listra, Sabri’, hai capito, e no quella roba da puvirazzi che usano l’altri, Chalis, Viagra… che poi ti ritrovi la testa in fiamme e le budella sottosopra. Chista è roba speciale, bambina mia, roba di prima scelta, preparata con le sue sante mani da mio fratello Temistocle. Una volta o l’altra ve lo presento, sapete, ché pure lui a minchiazza sta messo da Champions… Questione di famiglia… fratelli Malgradi, la classe non è acqua… Oh, Sabri’, tu e quell’altra, la slava, come si chiama… ma volete venire, troie?
Niente. Silenzio. Ma vaffanculo! Ora Sabrina aveva rotto. E che, la teneva solo lei, a Roma? A Roma, dove si nuota nel pelo! La prossima volta, due negre. No, meglio: due negre e un trans. Cosí, per stare un po’ insieme in allegria. Il minimo sindacale, dopo tutta una vita spesa al servizio della comunità. Col trans, però, patti chiari: prendere sí, buana, dare mai. Non era mica ricchione, lui!
L’onorevole ripose nel tascone l’orologio, estrasse uno schizzo di coca avvolto nella carta stagnola, ci sbriciolò dentro le pilloline, dispose il tutto sul davanzale e si fece una solenne pippata.
– Sabrina! Slava! Guardate che ce ne sta pure per voi.
Ancora silenzio. E basta! Un capogiro violento lo fece barcollare. Si appoggiò alla balaustra. La roba stava salendo al cervello. E da lí, prestissimo, sarebbe ridiscesa all’arnese. Mentre il cocktail erettile cominciava a fare il suo effetto, un gaio senso di invincibilità lo pervadeva. Tutti dicevano di andare piano, tutti dicevano che stavano ballando sull’orlo di un vulcano, tutti temevano che le cose cambiassero da un momento all’altro. Tutti blateravano di spread, spending review, moralità… e che cazzo! L’Italia non cambierà mai. Noi staremo sempre sopra, e i miserabili sotto.
– Aiuto!
Oh, finalmente, un po’ di vita.
– Rimettetevi il brillantino, ché arriva zietto.
Ah, il brillantino. Quella era stata la trovata che l’aveva convinto della superiorità di Sabrina sul resto del puttanume romano. Un piccolo gioiello conficcato nel buchino, quello di dietro. Che cosí restava sempre largo e, non so se mi spiego, pronto all’uso. A Malgradi piaceva sfilarglielo con la lingua. Preliminare da sultano! Con un solo inconveniente: c’era il rischio di ingoiarlo, quell’affarino. Ma figurati se a Pericle Malgradi, the Number One, gli andava a capitare una simile sfiga.
Malgradi si voltò.
Sabrina lo fissava, pallida e tesa.
– Che cazzo c’è?
– Vicky sta male.
Malgradi cominciò a realizzare che forse c’era un problema.
– E ora cchi vòli chista?
– Sta morendo, deficiente.
Ma che gli era preso a Sabrina? E perché strillava tanto?
– Muta, sangu ’i cristu, staju pinsannu.
Sabrina sbuffò di rabbia. Malgradi inquadrò la situazione. Madonna santa! Verde era diventata la slava, verde come una cima di cacioffula a fine stagione. Boccheggiava riversa sulle lenzuola di raso nero, e un rumore di fondo malsano risaliva dai polmoni ogni volta che il petto si alzava e abbassava nello sforzo del risucchio.
– Madonna mia! Me more! Me more! ’Sta stronza me more!
Incapace di muoversi. Incapace di prendere una decisione. Incapace di parlare. Sabrina frugò nella borsetta e afferrò il cellulare.
– Bisogna chiamare un’ambulanza! – disse Sabrina.
L’onorevole fu finalmente folgorato da un barlume di consapevolezza: sono fottuto! Crollò sul letto accanto alla straniera, che si faceva sempre piú scolorita e ansimante. Mentre il torpore della coca svaniva e la lucidità isterica delle amfetamine montava, in rapida sequenza gli passarono davanti agli occhi le conseguenze.
Donna Fabiana, moglie e madre, devota alle Oblate Figlie della Vergine. Finis.
Il segretario nazionale del partito, impegnato allo spasimo nella difesa della famiglia dagli sposalizi dei ricchioni e dalla piaga dell’aborto. Finis.
I suoi elettori del collegio della Calabria jonica delusi e irritati.
Finis. Lo scandalo. La miseria. La galera.
La lituana ansimava, la bocca si andava riempiendo di schiuma giallastra, le mani si aprivano e chiudevano nello sforzo di succhiare l’ultimo disperato soffio d’aria.
Malgradi strappò il cellulare dalle mani di Sabrina.
– Tu non chiami un cazzo, hai capito? Via! Jativínni! Vui cca nun siti mai vinuti! Io non vi conosco!
– Sta morendo, Cristo santo! Dobbiamo chiamare aiuto!
– E peggio per lei! Io me ne vado, cazzo! – urlò Malgradi, e cominciò a raspare in cerca dei vestiti.
E Sabrina, di colpo fredda, una iena: – E certo, perché nessuno t’ha visto salire qua co’ noi.
Albergo La Chiocciola, hôtel de charme. L’avessero bruciato, i megli morti loro! E a te, minchiazza, ti dovevo legare a catena, il triplo nodo t’avía ’a fari! E maledetta questa Vickieccazza, e tutta la razza sua, siamo stati troppo teneri con questi stranieri, troppo, gli abbiamo dato il dito e quelli si sono presi il braccio e tutto il resto, e sono fregato, fregato…
E infine, con un rantolo, la poverella vomitò un grumo di poltiglia, poi fu il silenzio.
– È morta! – sussurrò piano Sabrina.
Chiuse gli occhi all’amica e piantò addosso a Malgradi uno sguardo acceso di disprezzo, nausea, schifo.
Ma l’onorevole stava da un’altra parte. Dal fondo del cuore gli era germinato un ricordo della remota infanzia calabra, com’è che diceva nonno Alcide, quando andavano a pescare fuori dalla costa a Le Castella, prega, prega, c’arriva ’u pisci, picchí è proprio quando non sai che pesci pigliare che devi pregare, e allora Malgradi cadde in ginocchio, giunse le mani e prese a invocare l’Altissimo, che la sua mano benedetta calasse sul suo umile servo, in convento mi ritiro, o Signore, in convento, ma salvami da questo scandalo, tu che tutto puoi, ti prego, io…
– Sí, prega, prega. Mo’ arriva l’angelo custode cor tappeto volante.
Ah, parlava pure la zoccola. E si permetteva di insultare. Ma come? Ti porti dietro questa encefalitica che magari ci ha pure qualche malattia e ancora parli?
Una furia incontenibile si impadroní dell’onorevole Malgradi. Si alzò, si avventò su Sabrina e la atterrò con un ceffone incattivito.
– Sí, sí, bravo, – fece quella senza scomporsi, passandosi una mano sulla guancia. – Che fai? M’ammazzi pure a me? Cosí poi de cadaveri sul groppone ce n’hai due?
– Ma che cazzo vuoi, oh? Che ci hai qualche idea, troia?
Sabrina si riprese il cellulare e fece una chiamata.
– Spadino? Me serve ’na mano.
Mezz’ora dopo bussò alla porta della suite un giovane sui ventidue in T-shirt nera e jeans scoloriti. Era piccolo, butterato, brutto come il debito.
Sabrina lo fece entrare e indicò il letto.
Al ragazzo bastò un’occhiata per capire che aveva fatto bingo. Il cadavere, Sabrina un po’ triste e molto schifata, il tipo sudato che si torceva le mani… Sí, era la sua grande occasione. Meglio di quanto aveva osato sperare quando aveva risposto a Sabrina.
– Se lei potesse aiutarci a venire a capo di questa situazione… cosí imbarazzante…
Il pezzo grosso si avvicinava, sorriso da palcoscenico elettorale e tremolio da imminente attacco di panico. Purché non si mettesse a frignare come un pupo.
– Be’?
– Io… ecco… Sabrina, qui, mi ha parlato bene di lei…
– Anche a me de te, se è per questo, – sghignazzò Spadino.
L’onorevole si cacciò una mano in tasca e ne estrasse un voluminoso portafogli.
– Se lei potesse aiutarmi a…
A quel punto non sapeva proprio che dire. Soprattutto, come dirlo. Il giovane si divertí a tenerlo sulle spine per un po’, poi annuí e si accese una sigarett...