
- 2,549 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Le mille e una notte
Informazioni su questo libro
«Le mille e una notte appartengono oggi al patrimonio universale dell'umanità. Ci raccontano l'Oriente mitico e fantastico. Un Oriente che non esiste piú. Una leggenda, un'immagine evanescente che non corrisponde a nulla di reale. Tuttavia la nostaglia di esso sopravvive nell'immaginario degli scrittori e dei pittori. Considerato una favola, una parabola sulla condizione della donna ovunque e in ogni tempo, questo testo rimane di grande modernità. Shehrazade è una ragazza dei nostri giorni che potrebbe aver scelto di lottare in modo intelligente avvalendosi di un espediente: non attacca direttamente; dà prova di intelligenza, di astuzia, e di capacità di invenzione...
Shehrazade è un simbolo, una bella metafora di tutte le letterature del mondo. È normale che ritorni oggi per parlare, raccontare, far sognare uomini e donne non intorno all'Oriente, ma sulla condizione umana qui e ora».
Tahar Ben Jelloun
Shehrazade è un simbolo, una bella metafora di tutte le letterature del mondo. È normale che ritorni oggi per parlare, raccontare, far sognare uomini e donne non intorno all'Oriente, ma sulla condizione umana qui e ora».
Tahar Ben Jelloun
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Informazioni
Print ISBN
9788806235505eBook ISBN
9788858409961Volume secondo
Traduzione di Virginia Vacca.
STORIA DI QAMAR AZ-ZAMÀN FIGLIO
DEL RE SHAHRIMÀN
(170) Disse Shahrazàd: – Ho udito narrare, o re felice, che c’era in epoca antica un re chiamato Shahrimàn, che aveva truppe, servitorame e cortigiani; ma era invecchiato e infiacchito senza avere un figlio, onde riflettendo su questo divenne triste e agitato e si confidò con uno dei suoi ministri dicendogli: – Ho paura che alla mia morte il regno vada in rovina, perché non ho un figlio che ne assuma la cura dopo di me –. Il visir gli rispose: – Allàh potrebbe da questo momento cambiare le cose; affidati a Lui, o re, fa’ l’abluzione e una preghiera di due prosternazioni, indi congiungiti con tua moglie, ché forse conseguirai cosí il tuo intento –. Il re si congiunse con la moglie e questa rimase subito incinta, poi, compiuti i mesi di gravidanza, diede alla luce un figlio maschio bello come la luna che percorre il firmamento nella notte profonda. Il re lo chiamò Qamar az-Zamàn1 e gioí immensamente di quel figliuolo; la città fu parata a festa per sette giorni e rullarono i tamburi, fu diffusa la lieta notizia e il bimbo fu dato a nutrici e balie ed allevato nel piú completo benessere, fino a che raggiunse l’età di quindici anni; egli era di rara beltà e leggiadría, perfetto di lineamenti e di forme. Il padre lo amava tanto da non potersi separare da lui né notte né giorno, e una volta mise a parte uno dei suoi ministri di questo suo grande amore per il figlio, dicendogli: – O visir, io temo per mio figlio Qamar az-Zamàn le avversità e vicissitudini della sorte, e vorrei farlo sposare mentre sono ancora in vita –. Il visir approvò dicendo: – Sappi, o re, che il matrimonio è fonte di virtú morali, e quindi non è male che tu faccia sposare tuo figlio mentre sei in vita –. Allora il re Shahrimàn mandò a chiamare il figliuolo Qamar az-Zamàn, il quale si presentò ed abbassò la testa al suolo per soggezione del genitore, e questi gli disse: – O Qamar az-Zamàn, sappi che io intendo farti sposare e festeggiare le tue nozze mentre sono in vita –. Quello rispose: – Padre mio, io non ho intenzione di sposarmi e l’animo mio non è ben disposto verso le donne, perché ho trovato dei libri di racconti che parlano della loro perfidia; questa è stata descritta anche in versi, e il poeta dice:
Se mi domandate delle donne, io son molto esperto delle loro cose, e buon medico:Allorché la testa dell’uomo incanutisce o scema la sua ricchezza, egli perde tutto il loro affetto.Ribéllati alle donne, ché questa è la migliore obbedienza; non avrà mai successo un uomo che dia alle donne le redini di sé.
Un altro poeta cosí canta:
Esse gli impediscono di raggiungere la perfezione nelle sue doti, anche se ei dovesse sforzarsi a studiare mill’anni.
Quando ebbe finita la sua poesia, aggiunse: – Padre mio, il matrimonio è un atto che non compirò mai, anche se dovessi perdermi per questo –. Il sultano Shahrimàn, udendo tale risposta, si oscurò in volto e fu preso da grande afflizione per la disubbidienza del figlio Qamar az-Zamàn nei suoi riguardi; (171) ma dato il grande amore che gli portava, non osò insistere sull’argomento e non volle farlo irritare, anzi si avvicinò a lui colmandolo di tutte le tenerezze e affettuosità che valgano a destar amore nel cuore. Frattanto Qamar az-Zamàn cresceva ogni giorno in bellezza e leggiadría, in grazia ed amabilità, ed il re Shahrimàn attese un anno intero, fino a che il figliuolo divenne perfetto di facondia e bellezza, tanto da far perder la testa agli uomini con la sua leggiadría, e da impregnare con la sua grazia ogni aura notturna; era egli seduzione di amanti e mèta di desideri, dalla parola dolce, il volto cosí bello da offuscare la bellezza del plenilunio, perfetto di statura e di forme, pieno di grazia e di eleganza, sottile e diritto come un ramo di salice d’Egitto o una canna d’India; le guance simili ad anemoni e il corpo simile a ramo di salice; amabile di carattere e adorno di doti morali, proprio come quello del detto:
Apparve e la gente disse: – Sia benedetto Iddio, sia glorificato Colui che lo ha formato e plasmato.Sovrano di tutti gli esseri dotati di bellezza, che son divenuti suoi sudditi.Nella sua saliva c’è miele liquefatto, nei suoi denti incisivi sono perle allineate.Perfetto e unico in beltà, tutte le creature si sono smarrite nella sua bellezza.La grazia ha scritto sulla sua fronte: «Attesto che non c’è altra creatura bella all’infuori di lui».
Quando, dunque, fu trascorso ancora un anno per Qamar az-Zamàn figlio del re Shahrimàn, il genitore lo chiamò a sé e gli disse: – Figliuol mio, perché non vuoi ascoltarmi? – Qamar az-Zamàn cadde a terra davanti a suo padre per rispetto e soggezione di lui, e rispose: – Padre mio, come potrei non ascoltarti se Allàh mi comanda di esserti ubbidiente e non contrariarti? – Sappi, figlio mio, – disse allora il re Shahrimàn, – che io voglio farti sposare e festeggiare le tue nozze mentre sono in vita e farti signore del mio regno prima di morire –. Nell’udire da suo padre tali parole, Qamar az-Zamàn abbassò la testa al suolo per qualche istante, indi la sollevò e rispose: – Padre mio, questa è una cosa che non farò mai, anche se ciò dovesse costarmi la vita; so bene che Allàh mi comanda di ubbidirti; ma tu, per amore di Dio, non devi impormi il matrimonio, né credere che io abbia mai a sposarmi, per tutta la vita, perché ho letto libri di uomini antichi e moderni ed ho appreso tutte le disgrazie e sventure loro, a causa della malvagità delle donne e della loro infinita perfidia, e le molte sciagure che da loro traggono origine; ben disse il poeta:
Quegli a cui le male femmine tendono insidia non riesce in nessun caso a salvarsi.Anche se costruisce mille fortezze rafforzate col piombo.A nulla gli gioverà di averle costruite, ché in questi casi le fortezze non servono a nullaLe donne tradiscono chiunque, sia vicino o lontano;Tingono le dita, intrecciano i capelli, dipingono le ciglia con il kohl e fanno inghiottire bocconi amari.
Bello anche è il detto dell’altro poeta:
Certo le donne, anche se invitate a esser virtuose, sono marce carogne che gli avvoltoi roteanti rivoltolano.Nella notte hai da loro confidenze e conversazione, e all’indomani un altro ne possiede il corpo.Esse sono come un caravanserraglio in cui prendi alloggio, e il mattino dopo riparti, e il tuo posto viene occupato da uno sconosciuto.
Quando il re Shahrimàn udí dal figlio Qamar az-Zamàn tali parole e arrivò a capire il senso delle poesie, non rispose nulla, poiché nutriva per lui grande affetto, e si mostrò verso di lui ancor piú largo, generoso e pieno di premure; si separarono quasi subito e quando il loro colloquio ebbe termine, il re Shahrimàn chiamò il suo visir e gli disse: – O visir, (172) dimmi cosa devo fare nella faccenda di mio figlio Qamar az-Zamàn; ti avevo chiesto consiglio se era il caso di farlo sposare prima di cedergli il potere di sultano, e tu approvasti l’idea e mi consigliasti anche di parlare a lui circa l’affare del matrimonio; io gliene ho parlato ed egli si è opposto, dimmi perciò cosa ritieni sia meglio fare –. Il visir rispose: – Quel che ti consiglio di fare adesso è di attendere ancora un altr’anno; quando poi, trascorso tale periodo, vorrai parlargli di matrimonio, non farlo privatamente, ma parlagliene in un giorno di udienza reale, alla presenza di tutti i principi e visir e delle truppe schierate. Allorché tutta questa gente si sarà riunita, manda a chiamare subito tuo figlio Qamar az-Zamàn ed appena egli si sarà presentato parlagli della faccenda del matrimonio, in presenza di tutti i principi, ministri, ciambellani, dignitari e funzionari, soldati e guardie armate; egli avrà soggezione di costoro e non oserà contrariarti in loro presenza –. Quando il re Shahrimàn udí queste parole del suo visir, ne fu assai soddisfatto, trovò giusto il suo consiglio sull’argomento e gli fece dono di un ricchissimo abito di gala; indi attese che passasse un altr’anno per il figlio Qamar az-Zamàn. Costui si faceva ogni giorno piú bello e leggiadro, amabile e perfetto, fino a che si avvicinò ai vent’anni di età; era stato da Dio ornato di grazia e coronato di perfezione, il suo sguardo si era fatto piú incantatore di Harút e Marút2 la malizia delle sue occhiate aveva acquistato piú fascino di at-Taghút3, le guance si erano colorite di rosso vivace, le sue ciglia eran sottili come filo di tagliente spada, la bianchezza dei denti gareggiava con quella del plenilunio, mentre il nero dei suoi capelli era quello di una notte tenebrosa; avea la vita piú sottile di una stringa di borsa, i glutei piú pesanti di un monticello di sabbia, le sue anche destavano un’agitazione profonda e il suo fianco si doleva del peso dei suoi lombi; insomma le sue bellezze fisiche erano tali da sconvolgere le menti, come disse di lui un poeta:
Giuro per la sua guancia e la sua bocca sorridente, e le frecce che egli ha impiumate con la sua seduzione,Per la mollezza dei suoi fianchi e l’acuminatezza del suo sguardo, la bianchezza della sua fronte e il nero dei suoi capelli,Per un ciglio che preclude il sonno a chi ne è invaghito, e su di esso si slancia con comandi e divieti,E ricci attorti come scorpioni scendenti dalla sua tempia, che tentano di uccidere gli amanti col suo distacco,E per le rose delle sue guance e il mirto del suo primo pelo, e la corniola delle sue labbra e le perle dei suoi denti,Per il profumo del suo alito e il dolce liquido che scorre nella sua bocca, superando in soavità il vino generoso spremuto,Per i suoi glutei tremolanti nel moto e nel riposo, e per l’esilità della sua vita,Per la generosità della sua mano e la sincerità del suo linguaggio, la bontà della sua tempra e l’elevatezza del suo valore.Altro non è il muschio che umore del suo neo, e il profumo narra col suo olezzo dell’odor di lui.Cosí pure, il sole fulgente è a lui inferiore, e la luna nuova mi pare un semplice ritaglio delle sue unghie.
Il re Shahrimàn, dunque, ascoltò il consiglio del visir ed attese che passasse ancora un anno, finché capitò un giorno di solennità (173) nel quale l’udienza reale fu tenuta al completo, con intervento dei principi, visir, ciambellani, dignitari dello Stato, truppe e forze armate. Allora egli mandò a chiamare suo figlio Qamar az-Zamàn, questi si presentò, baciò tre volte la terra dinanzi al genitore e rimase fermo in piedi tenendo le braccia rispettosamente incrociate dietro la schiena. Il padre gli disse: – Figlio mio, non per altro ti ho chiamato questa volta, dinanzi a questo consesso e in presenza di tutti i soldati, che per comandarti di fare una cosa nella quale non dovrai contraddirmi, e cioè sposarti; io desidero darti per moglie una figlia di re e festeggiare le tue nozze prima di morire –. Quando Qamar az-Zamàn udí suo padre pronunziare queste parole, stette per qualche tempo con la testa abbassata al suolo, poi la sollevò verso il genitore e preso subitamente da follía giovanile, frutto della inesperienza della sua verde età, rispose: – Io non mi sposerò mai, anche se ciò dovesse condurmi alla perdizione; quanto a te, sei un uomo grande di età ma piccolo di cervello; non mi avevi già interrogato per ben due volte prima di questa, circa la faccenda del matrimonio, ottenendo sempre da me risposta negativa? – Ciò detto, Qamar az-Zamàn scioglieva il vincolo delle mani che aveva incrociate, e si rimboccava e scopriva le braccia davanti a suo padre, nell’eccesso d’ira da cui era invaso. Il padre si vergognò che tutto questo avesse luogo davanti agli occhi dei dignitari del regno e delle truppe presenti alla riunione solenne, poi, preso dall’amor proprio per la sua dignità di sovrano, gridò contro suo figlio senza peraltro spaventarlo, e poi gridò agli schiavi che si impadronissero di lui, ciò che quelli fecero subito, indi ordinò loro di ammanettarlo. Il giovinetto fu ammanettato e condotto cosí davanti al re, bassa la testa per la paura, madidi di sudore il viso e la fronte, in preda all’onta e alla vergogna. Allora il padre lo apostrofò con insulti ed ingiurie, dicendogli: – Guai a te, figlio adulterino e bastardo! Come osi rispondermi in siffatta maniera, in mezzo ai miei armati e alle mie truppe! Nessuno finora ti ha mai insegnato l’educazione! (174) Non sai che a comportarsi come tu hai fatto, qualunque suddito si sarebbe macchiato di colpa infamante? – Poi il re ordinò agli schiavi di slegargli le mani e imprigionarlo in una delle torri della cittadella. Allora i valletti entrarono nella stanza di quella torre, la scoparono, ripulirono il pavimento, vi posero un letto per Qamar az-Zamàn distendendo su di esso un materasso e un tappeto e mettendovi un cuscino, poi portarono una grossa lanterna e una candela, perché il locale era completamente buio anche di giorno, indi gli schiavi condussero Qamar az-Zamàn nella torre e misero un servo sulla porta della sua stanza. Allora Qamar az-Zamàn si gettò sul letto, addolorato e triste, rimproverandosi e pentendosi di quel che aveva fatto nei riguardi di suo padre, ora che il pentimento a nulla potea giovargli, e maledicendo in cuor suo il matrimonio, le fanciulle e le donne traditrici. «Se avessi ascoltato le parole di mio padre ed accettato di sposarmi – si disse – sarebbe stato meglio per me che questa prigionia».
Frattanto il padre, dopo essere rimasto assiso sul trono per tutto il resto di quel giorno fino al tramonto, rimasto solo col visir gli disse: – Sappi, o visir, che sei stato tu la causa di tutto quello che è accaduto tra me e mio figlio, perché tu mi avevi consigliato di fare cosí; che cosa mi suggerisci ora? – Il visir gli rispose: – O re, lascia tuo figlio in prigione per quindici giorni, poi fallo condurre alla tua presenza e ordinagli nuovamente di sposarsi, vedrai che non ti contraddirà piú –. (175) Il re accettò anche questa volta il consiglio del visir, ma trascorse la notte in grande preoccupazione per il figlio, che egli amava moltissimo, in quanto non aveva altri figliuoli che quello; il re Shahrimàn era abituato a non addormentarsi alla sera che ponendo il suo braccio sotto il collo del figlio Qamar az-Zamàn, e cosí dormiva; perciò quella notte la trascorse con l’animo agitato a cagione di lui, rivoltandosi dall’uno all’altro fianco, come se riposasse sulla b...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Le mille e una notte (edizione integrale)
- Raccontami una storia, o ti ammazzo! di Tahar Ben Jelloun
- Introduzione di Francesco Gabrieli
- Francesco Gabrieli, orientalista di Ida Zilio-Grandi
- Le mille e una notte Volume primo
- Volume secondo
- Volume terzo
- Volume quarto
- Epilogo
- Appendice Storia di Aladino e della lampada incantata
- AVVERTENZA
- Il libro
- Copyright