Koba il Terribile
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Koba il Terribile

Una risata e venti milioni di morti

  1. 296 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Koba il Terribile

Una risata e venti milioni di morti

Informazioni su questo libro

Stalin, «Koba» per gli amici, fu uno dei dittatori piú sanguinari che la storia dell'umanità abbia mai conosciuto. Ma fu anche un leader estremamente amato. E i suoi crimini, per molto tempo, apparvero quasi «necessari» non soltanto all'interno dell'Urss, ma soprattutto tra gli intellettuali liberal occidentali.
Cosa provocò questa rimozione collettiva? Perché le atrocità compiute da Stalin venivano giudicate in modo piú indulgente rispetto a quelle di Hitler? Perché si poteva scherzare sui gulag, quando nessuno avrebbe riso di Auschwitz?
Per rispondere a queste domande Amis ci conduce nella lunga notte dello stalinismo, senza risparmiarci nessuno degli eventi tragici, grotteschi, ridicoli che hanno annichilito la coscienza di un popolo, e ci offre una guida caustica e brillante di uno dei periodi piú drammatici del Novecento.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
Print ISBN
9788806167011
eBook ISBN
9788858409794

Parte seconda

Iosif il Terribile: breve corso

Censimento.
Nel 1937 si ordinò un censimento nazionale, il primo dal 1926, in cui l’ammontare della popolazione era risultato di 147 milioni di persone. In base a proiezioni calcolate sulla crescita demografica negli anni Venti, Stalin affermò di aspettarsi un totale di 170 milioni. La commissione per il censimento forní un risultato di 163 milioni, cifra che rifletteva le conseguenze della politica di Stalin. Cosí Stalin fece arrestare e fucilare la commissione per il censimento. I risultati vennero tenuti segreti, ma la commissione venne pubblicamente denunciata come un covo di spie e sabotatori, benché avesse fatto rapporto a Stalin e non (ad esempio) al «Times» di Londra.
Nel 1939 seguí un altro censimento. Questa volta la commissione riuscí a produrre un verdetto di 167 milioni, che Stalin corresse personalmente in 170. Forse la commissione per il censimento aggiunse al suo rapporto un poscritto che diceva che, se Stalin avesse trovato il dato troppo basso, l’avrebbe solo abbassato ulteriormente sottraendo i membri della commissione.
La commissione del 1937 venne fucilata per «aver cercato proditoriamente di diminuire la popolazione dell’Urss».
Ecco che cos’è lo stalinismo: perfezione negativa.
Georgia.
Le ricostruzioni dell’infanzia dei grandi mostri storici sono sempre deludenti. Invece di dire qualcosa come «X venne allevato da coccodrilli in una fossa settica a Kuala Lumpur», ci parlano di una madre, un padre, un fratello, una sorella, una patria, una casa. Anche se va detto che l’atmosfera nella famiglia Džugašvili, a Gori, in Georgia, lasciava alquanto a desiderare. La madre e il padre di Iosif si picchiavano a vicenda, ed entrambi picchiavano Iosif. Ma nei primi anni di vita di Stalin nulla prefigura i suoi futuri eccessi. Lo stesso vale per Hitler. Anche lui nacque alla periferia del paese che avrebbe governato (Austria settentrionale) da genitori contadini (anche se la loro situazione sarebbe migliorata al punto che lo status di Hitler può essere paragonato a quello di Lenin: rampollo della burocrazia imperiale); sia Adolf sia Iosif cantarono nel coro; ed entrambi non avrebbero superato il metro e sessanta d’altezza. Il padre di Hitler (e la cosa non stona per nulla) invecchiando divenne sempre piú ossessionato dall’apicultura. Il padre di Stalin era un ciabattino semianalfabeta, e beveva.
Il giovane Iosif Visarionovič era il tipo di ragazzino che si affibbia da sé un soprannome. Il soprannome era «Koba». Koba era l’eroe di un romanzo popolare dal titolo suggestivo: Il parricida; ma Koba non era l’eponimo. Fondamentalmente Koba era una figura alla Robin Hood, che rubava ai ricchi per donare ai poveri. Stalin aveva anche un altro soprannome, «Soso» (il diminutivo georgiano di Iosif), che a quello stadio gli calza meglio. Eccetto che per la memoria (obbligatoriamente definita «fenomenale»), era un ragazzino normale. Anche «Stalin», naturalmente, era un soprannome che si era autoattribuito. Uomo d’acciaio.
Imparò il russo quando aveva già otto o nove anni (i genitori parlavano solo georgiano). Nel 1894, a quindici anni, lasciò la scuola ecclesiastica di Gori e vinse una borsa di studio per il seminario teologico di Tiflis. Ne venne espulso, o lo abbandonò, cinque anni dopo. Da quel momento divenne un rivoluzionario a tempo pieno.
Due dettagli da un’adolescenza. Primo: un compagno di scuola dichiarò di non aver mai visto Iosif piangere. Viene in mente la celebre frase che sarebbe tornata in auge negli anni Trenta: Mosca non crede nelle lacrime. Secondo: Koba era un poeta. Ad esempio questi versi sono attribuiti a lui:
Sappiate che chi cadde come polvere a terra
Chi un tempo fu ridotto in schiavitú
Risorgerà, con ali luminose di speranza
Librandosi al di sopra delle grandi montagne.
Una volta Robert Conquest suggerí che «si potrebbe comporre un curioso volumetto raccogliendo le poesie di Stalin, Castro, Mao e Ho Chi Minh, con illustrazioni di A. Hitler». A vent’anni, con i suoi sogni artistici frustrati, Hitler era una specie di barbone: panchine nei parchi, code per la zuppa. Forse se avesse avuto un po’ piú di talento si sarebbe ucciso, non nel bunker, ma in un confortevole appartamentino a Klagenfurt.
Non sappiamo quali sentimenti provasse Stalin verso la propria infanzia. Ma sappiamo quelli che provava per la Georgia. Perché prendersela con i genitori, quando ci si può sfogare su un’intera regione?
Nel 1921, con il pieno appoggio di Stalin, Lenin invase e riannesse la Georgia (a cui l’anno prima era stata concessa l’indipendenza). Stalin scese a sud per partecipare a un plenum della nuova amministrazione: la prima visita in nove anni. Durante un discorso a un gruppo di operai ferroviari, venne messo a tacere dalle urla di «rinnegato» e «traditore». A un successivo incontro arringò cosí i locali leader bolscevichi:
Donnette! Figli di puttana! Che cosa sta succedendo, qui? Dovete sguainare una spada incandescente su questa terra georgiana! […] Mi sembra che abbiate già dimenticato il principio della dittatura del proletariato. Dovrete spezzare le ali a questa Georgia! Fate scorrere il sangue dei piccolo-borghesi finché non rinunceranno a qualsiasi resistenza! Impalateli! Squartateli!
In quella fase Lenin privilegiava una linea piú morbida sulla questione delle nazionalità, soprattutto in Georgia. Stalin era per il massimo uso della forza.
Nel 1922 la mano eccessivamente pesante di Stalin e il suo sfoggio di «sciovinismo granderusso» (espressione di Lenin) sulla questione della Georgia posero quasi fine alla sua carriera: una sorprendente testimonianza di come la forza dei sentimenti superasse qui i suoi stessi interessi. (Il potere, come vedremo, provocava in Stalin un subitaneo squilibrio mentale; nel corso della guerra civile fu un insubordinato cronico, e sempre con il grilletto facile; gli ci vollero parecchi anni prima di imparare a controllare l’eccitazione ormonale che il potere scatenava in lui). La questione della Georgia avrebbe rovinato Stalin, se la salute di Lenin avesse retto. Nel maggio del 1922, un mese dopo il suo cinquantaduesimo compleanno, Lenin venne colpito dal primo ictus (nel 1918 era anche stato colpito da tre proiettili russi, e uno ce l’aveva ancora conficcato nel collo). Mi sono persuaso circa le intenzioni di Lenin non tanto per i vari riferimenti alla «rudezza» (vobost: rozzezza, grossolanità, volgarità) di Stalin, ma grazie a una conversazione tra Lenin e la sorella, Marija. Stalin aveva chiesto a Marija di intercedere per lui; aveva giocato sui suoi sentimenti, confidandole di non riuscire a dormire perché Lenin lo trattava «come un traditore». Il colloquio di Lenin con la sorella terminò cosí:
[– Stalin dice che ti vuole bene. E ti manda affettuosi saluti. Devo trasmettergli i tuoi?]
– Mandaglieli.
– Ma Volodja, è molto intelligente.
– Non è affatto intelligente.
Parole pronunciate «con decisione» ma «senza alcuna irritazione», suggerendo che Lenin aveva da tempo cessato di considerare Stalin un alleato affidabile. Si concorda sul fatto che un Lenin anche solo parzialmente sano lo avrebbe emarginato, anche se Richard Pipes, in Three «Whys» of the Russian Revolution, suggerisce che «Stalin era di gran lunga in prima posizione nella corsa per il posto di Lenin, forse già nel 1920, e senza dubbio dal 1922».
Nel 1935 Stalin andò a trovare la madre, che aveva installato nel palazzo del viceré dello zar nel Caucaso (dove lei occupava un’unica camera). Si ritiene che questa visita molto pubblicizzata fosse parte di una campagna pro-famiglia per contrastare il calo demografico. Le domandò, fra l’altro, delle botte che gli aveva dato quando era bambino. Lei rispose: «È per questo che sei riuscito cosí bene».
Nel 1936, quando la vecchia Ekaterina morí, Stalin scandalizzò quello che restava dell’opinione pubblica georgiana non partecipando al suo funerale.
Nel 1937 il grande terrore raggiunse la Transcaucasia: «In nessun luogo le vittime vennero sottoposte a trattamenti piú atroci, – scrive Robert C. Tucker, – che in Georgia». Dei 644 delegati al congresso del partito georgiano, a maggio, 425 vennero fucilati oppure mandati nel gulag (nel 1937-38 il gulag era al suo apice). A Mamija Orachelašvili, uno dei fondatori della repubblica, vennero cavati gli occhi e perforati i timpani in presenza della moglie. Il capo del partito Nestor Lakoba era già stato avvelenato e sepolto con tutti gli onori nel 1936; ora venne esumato come nemico del popolo, e la moglie torturata a morte in presenza del figlio quattordicenne (poi spedito al gulag insieme a tre giovani amici. «Quando in seguito scrissero a Berija richiedendo di essere rilasciati per riprendere gli studi, – scrive Tucker, – lui ordinò di riportarli a Tiflis e di fucilarli»). Bubu Mdivani, l’ex primo ministro, venne arrestato, torturato per tre mesi e fucilato. La moglie, i quattro figli e la figlia furono tutti uccisi.
Si racconta che quando i giudici istruttori cominciarono a lavorare su di lui, Mdivani abbia dichiarato: «Voi mi state dicendo che Stalin ha promesso di risparmiare la vita ai “vecchi bolscevichi”! Conosco Stalin da trent’anni. Stalin non avrà requie fino a che non ci avrà massacrati tutti, a cominciare dal piccino non ancora svezzato, fino alla bisnonna cieca!» «Tutti» potrebbe riferirsi ai «vecchi bolscevichi», ma potrebbe anche significare «tutti i georgiani» (o, cosa non inverosimile, tutti i cittadini sovietici). Il carattere estremo dell’avversione di Stalin è in ogni caso evidente. Di solito viene attribuito alla sua grande insicurezza e alla vergogna circa le proprie origini. Forse per lui era anche un modo per recidere i suoi ultimi legami con l’umanità. A partire dagli anni Trenta Stalin fece uccidere chiunque avesse mai conosciuto Trockij. Ma stava anche uccidendo chiunque avesse mai conosciuto o visto Stalin, o anche solo respirato la sua stessa aria.
Dem´jan Bednyj.
Di tutti gli scrittori con cui Stalin fu in relazione nessuno era meno insigne di Dem´jan Bednyj. Scribacchino da strapazzo, Bednyj era, grottescamente, il «poeta laureato» proletario dell’Unione Sovietica. Attivo fin dagli anni della guerra civile, le sue poesie (o canti di battaglia: «Morte ai parassiti! Uccideteli tutti, fino all’ultimo!») erano affisse ai muri e lanciate dagli aeroplani. Trockij lodò la sua passione, «il suo odio ben fondato», e la sua capacità di scrivere «non solo in quelle rare occasioni in cui Apollo chiama», ma «giorno per giorno, come richiedono gli eventi… e il Comitato centrale». Nel 1926 Stalin inneggiò all’«Autore! Autore!» quando Bednyj pubblico una poesia contro Trockij, Tutto ha la sua fine, che includeva i versi:
Il nostro partito non deve piú servire
da bersaglio a questi politicanti!
È una sconcezza
che deve finire!
Quando il processo farsa dei vecchi bolscevichi Zinov´ev e Kamenev si avviava all’epilogo, la «Pravda» era piena di risoluzioni di massa e articoli firmati che chiedevano la pena di morte. La poesia di Bednyj per il 21 agosto 1936 s’intitolava Nessuna pietà1.
Dem´jan Bednyj, che ricevette una pensione e un lussuoso appartamento al Cremlino, ebbe diversi attriti con Stalin. Nadežda Mandel´štam racconta di una precoce freddezza tra i due. A quanto pare a Bednyj dava fastidio prestare libri a Stalin a causa delle macchie che le sue «dita unte» lasciavano sui margini. Fu abbastanza incauto da confidarlo al proprio diario; un segretario del Cremlino lo lesse e lo riferí. È evidente che Stalin non considerò mai il suo poeta laureato altro che un utile idiota. Stalin sapeva benissimo che la poesia era qualcosa di piú della sirena di una fabbrica…
Nel 1930 Bednyj pubblicò Mettete via i fornelli, una poesia che lamentava il calo della produzione di carbone nel Donbas (alcuni dei minatori erano contadini appena assunti), e Pererva, che si riferiva a un incidente ferroviario (causato da un errore dello scambista sulla linea Mosca-Kursk). Qui il tema di Bednyj era il torpore e il fatalismo del temperamento russo, quello che Lenin definiva «oblomovismo». Quando questa critica venne a sua volta criticata dal Comitato centrale, Bednyj scrisse a Stalin, difendendo la sua idea di una satira costruttiva del carattere nazionale, nella tradizione di Gogol´ e Ščedrin. La risposta di Stalin, secondo le parole di Tucker, fu «aspramente negativa». Accusò Bednyj di «denigrare» il proletariato russo.
Bednyj non aveva capito che Stalin stava cambiando atteggiamento nei confronti della vecchia Russia, e aveva deciso di cominciare a esaltare le sue tradizioni folkloriche e i suoi eroi storici (avrebbe riabilitato non solo Pietro il Grande, ma anche Ivan il Terribile, a propria immagine). Secondo la formula di Tucker, Stalin stava diventando un «granderusso di estrema destra». Bednyj fu quindi molto imprudente quando, nel 1936, scrisse un’opera comica chiamata Bogatyr (i grandi eroi), in cui ironizzava pesantemente su un capitolo sacro della storia russa.
Robert Tucker:
Dipinse quei personaggi della leggenda russa come beoni e codardi […] L’adozione del cristianesimo nel decimo secolo da parte del principe Vladimir, che condusse la gente di Kiev nel fiume Dnepr per un battesimo di massa nel cuore dell’inverno, veniva rappresentata come una ridicola gozzoviglia di ubriachi.
Molotov era presente alla prima, e uscí alla fine del primo atto («Un oltraggio!»), e Bednyj venne espulso dall’Unione degli scrittori. E dal suo appartamento al Cremlino.
Il nostro poeta continuò a scrivere e pubblicare, fino al 1938. A questo punto non aveva piú il polso degli eventi, ed essendo evidentemente all’oscuro delle delicate manovre tra Hitler e Stalin (che presto sarebbero divenuti alleati), decise di scrivere un attacco al nazismo. Intitolato Inferno, il dramma di Bednyj dipingeva la Germania nei termini dell’Inferno classico (senza dubbio opponendola al Paradiso dell’Unione Sovietica). Alle due del mattino Bednyj venne convocato negli uffici della «Pravda». Il direttore, Mechlis, gli mostrò il suo manoscritto, su cui era riportato il giudizio di Stalin: «Dite a questo novello Dante che può smettere di scrivere».
«Ho inventato un nuovo genere, – disse Isaac Babel´, il grande scrittore di racconti, nel 1934: – quello del silenzio». Babel´ cessò di essere pubblicato nel 1937; venne arrestato nel 1939, e fucilato nel 1940.
Dem´jan «Bednyj»: Dem´jan il Povero (il suo vero nome era Efim Pridvorov). Fu una disgrazia per la poesia; e il suo aspetto fisico incarnava quella disgrazia. Ma siamo sollevati dal sapere che non gli toccò un destino peggiore della miseria. Del suo, di silenzio, non c’è da dispiacersi.
L’indistinta forma grigia e gli occhi gialli.
Nel novembre del 1915 Lenin scrisse al suo collega Vjačeslav Karpinskij chiedendo
un grande favore: scoprire (da Stepko [N. D. Kiknadze] o Micha [M. G. Chakaja]) il nome di «Koba» (è Iosif Dž…? ce ne siamo dimenticati). È molto importante!!!
Sono parole che appaiono decisamente comiche se pensiamo al revisionismo storico in seguito imposto da Stalin. Film, quadri e libri di testo presentavano continuamente scene in cui Lenin e Stalin pianificavano insieme la Rivoluzione (ben prima del 1915), la «grande gioia» e i «virili abbracci» dei loro incontri, e cosí via. C’è qualcosa di infantile nella trascrizione palesemente falsa del 1929 di una presunta comunicazione telegrafica di Lenin dell’inizio del 1918, quando il ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Koba il Terribile
  3. I. Il crollo del valore della vita umana
  4. II. Iosif il Terribile: breve corso
  5. III. Quando noi morti ci svegliamo
  6. Indice analitico
  7. Nota del traduttore
  8. Il libro
  9. L’autore
  10. Dello stesso autore
  11. Copyright