La casa sembra deserta. Le luci della cucina sono le uniche accese. Nessun rumore.
La porta sul giardino è aperta, la zanzariera col telaio di legno sbatte leggermente al leggero vento serale, periodica, regolare. La piscina è immobile, gli insetti galleggiano sulla superficie. La siepe di pitosforo oltre la collina di prato separa il giardino da quello confinante. Al buio, nel silenzio delle piante, il setter inglese ispeziona le zone umide in cerca di rospi.
Nella casa a fianco le luci sono accese, le grandi vetrate sulla facciata mostrano la vita dentro, senza pudore né decenza. Il ragazzo è nascosto dietro un cespuglio di impatiens, ha un binocolo in mano. Spia.
È in piedi, inespressivo come davanti allo schermo della televisione, ha ventidue anni compiuti oggi. Ogni pochi minuti si scosta dalla fronte un ciuffo di capelli biondi, automatico, compulsivo. Ha i pantaloni neri e una camicia blu. Solo le strisce catarifrangenti delle scarpe da ginnastica brillano nel buio. Sposta con lentezza e precisione il binocolo da una stanza all’altra, guarda.
Al piano terra, in cucina, la padrona di casa e la cameriera si muovono velocemente, coordinate. Il forno, il frigo, i cassetti. Non parlano, non si guardano, nessun legame. Il ragazzo che guarda punta il binocolo sulla scollatura della padrona di casa, una scollatura profonda, luccicante di crema, umida di sudore. Il seno è piccolo e vuoto, il reggiseno lo spinge al centro e in alto creando una piega di carne sullo sterno. La padrona di casa è una donna bruttina, la scollatura serve a confondere le idee.
A fianco alla cucina, nel soggiorno, ci sono il marito e il figlio piú piccolo. Sono seduti sul divano, ognuno di loro ha un joystick in mano, lo sguardo altrove, perso in un’allucinazione condivisa. Il rumore elettronico del videogioco arriva al ragazzo che guarda come un rumore lontano e sottile, come un’invasione aliena in un altro quartiere.
La porta finestra del soggiorno è aperta, fuori c’è la tavola apparecchiata, sei posti, candele al centro.
Al piano di sopra le finestre sono piú piccole. Due sole stanze illuminate.
In una c’è il figlio grande, ventisette anni. Parla al telefono studiandosi allo specchio. In piedi, si aggiusta il colletto della camicia, sorride a se stesso, si impettisce come un uccello nel corteggiamento. Dopo pochi secondi riattacca la cornetta e inizia a spogliarsi, si cambia i vestiti.
Nell’altra stanza c’è la figlia di dodici anni con un’amica. Sono sedute sul letto ricoperto di animali di peluches. Guardano un giornale che tengono appoggiato sulle cosce. Sono eccitate, fameliche.
Il ragazzo che guarda regola lo zoom del binocolo sulle pagine del giornale. Rosa carne, corpi nudi. Pornografia.
Il fratello grande ha finito di vestirsi. Appare in camera della sorella. Apre la porta senza bussare, veloce. Sorride cattivo. Le due ragazzine fanno un salto di paura e buttano il giornale sotto il letto. Si alzano in piedi. Parlano tutti ma le voci non arrivano al cespuglio di impatiens in giardino. Litigano, il fratello grande senza smettere di sorridere. Poi si china a recuperare il giornale sotto il letto e lo agita davanti al muso della sorella. La ragazzina si mette a piangere, un piccolo urlo di animale, acuto e monotono. Cerca di strappare il giornale dalle mani del fratello ma lui lo tiene in alto con il braccio teso, lei non ci arriva.
La madre è fuori, vicino al tavolo, ha la brocca dell’acqua in mano. Urla: – È prontoo!
La cameriera è seduta su una sedia in cucina, ferma, seria, lo sguardo fisso su un punto del pavimento. Si alza in piedi appena la padrona di casa entra a prendere il pane. Si risiede appena la donna esce. È africana, è grassa, ha un camice rosa con un grembiule bianco.
Poi tutti si avvicinano al tavolo in giardino e prendono posto. Al cespuglio di impatiens arrivano voci confuse e un vago odore di melanzane fritte.
Il ragazzo che guarda rimette il binocolo nell’astuccio. Torna alla casa che sembra deserta. Attraversa il giardino buio, la collina di prato, cammina sul bordo della piscina immobile, la zanzariera della porta finestra sbatte.
Sul tavolo di marmo della cucina c’è un costume bagnato, è di nylon blu, olimpionico. Per il resto la stanza è perfettamente pulita e in ordine. C’è una falena che urta contro una lampadina. Ci sono impronte di piedi bagnati su per le scale. C’è silenzio.
Squilla il telefono, un trillo sintetico a basso volume. Il ragazzo non risponde, lascia squillare. Apre il frigo, chiude, apre il forno, chiude. Niente.
Poi urla: – Rispondii!
Dal piano di sopra una voce di ragazza: – Non posso, rispondi tu!
– Pronto.
– Amore? Mi senti?
– Ciao mamma.
– Tesoro, la linea è disturbatissima, mi senti?
Lui è ostile, scandisce le parole, lentamente, con una calma che contiene furia: – Io ti sento perfettamente, non c’è bisogno che urli.
– È che ci sono dei rumori terribili. Siamo per mare, davanti alla Sicilia, stiamo scendendo verso la Tunisia.
– Sí ma non urlare.
– State bene?
– Stiamo da dio.
– Tua sorella sta bene?
– Purtroppo sí.
– State mangiando? Non è che quando torno vi trovo pelle e ossa?
– Ho appena messo in forno un fagiano alla Bismarck.
– Non fare lo spiritoso. Vi saluta papà, è qui a fianco a me, vi manda un bacio.
– Ma dài.
– Amore, lo sai perché ho chiamato?
– Non lo so, mamma, perché hai chiamato?
– Perché oggi è il tuo compleanno. Tanti auguri, cretinetto.
– Evviva.
– Che fate per festeggiare?
Il ragazzo guarda la falena che continua a sbattere contro la lampadina, dice a bassa voce: – Perché non la smetti?
– Avete invitato gli amici?
Il ragazzo simula vivacità: – Mamma, suonano al citofono, devono essere gli invitati, corro ad aprire!
– Ok, tesoro. Tanti auguri anche da papà. Divertitevi.
Riattacca e resta immobile seduto sullo sgabello, al bancone di acciaio della cucina.
La sorella entra silenziosa, a piedi scalzi, fa una figura di danza classica con la gamba alzata a toccare la spalla. Ha diciassette anni, è in mutande e maglietta, ha i capelli bagnati, il corpo magro, gli occhi dilatati: – Chi era?
Lui non la guarda: – Era mamma.
– Hai una sigaretta?
Il ragazzo le lancia un pacchetto di Marlboro.
– Che dice, si divertono in barca?
– Che cazzo ne so. Perché non c’è niente da mangiare?
– Non essere maschilista, non chiederlo a me, potrei farti la stessa domanda, perché non c’è niente da mangiare?
Poi la ragazza sfila dall’elastico delle mutande una bustina di plastica bianca e la posa sul tavolo davanti al fratello.
– Buon compleanno.
Gli dà un bacio sulla guancia. Lui resta indifferente. Prende la bustina e la guarda.
– Che cos’è, svelta o lenta?
– Lenta.
– Potevi prenderne una di svelta e una di lenta.
– Vaffanculo, ingrato.
Lei gli volta le spalle, prende le forbici da un cassetto, forbici lunghe, di acciaio, con i manici di plastica color tartaruga. Con un complesso movimento delle clavicole a vista, si gira e le punta contro il muscolo pettorale del fratello, spinge. Le forbici affondano qualche millimetro nella camicia scura. Lui sospira, le prende e taglia la bustina. Diventa accomodante.
– Non mi uccidere, dài, non ci roviniamo la serata.
Fa due strisce con la carta di credito, arrotola una banconota e la porge alla sorella. Lei con una mano si tiene fermi i capelli lunghi e con l’altra tiene la banconota arrotolata. Si china, aspira rumorosamente. Si siede davanti a lui, sullo sgabello alto, al bancone di acciaio della cucina.
Lui è rapido, si infila il rotolino di carta nel naso e aspira senza far rumore.
Si appoggia allo schienale. La guarda.
Lei sorride: – Com’è?
– E che cazzo ne so, fammela salire, prima.
Stanno un po’ in silenzio. Ingoiano la goccia amara, lei fa una smorfia di disgusto. La pupilla si restringe.
– È buona, ti è salita?
Lui annuisce lentamente.
Lei continua a sorridere, un sorriso rigido come una decisione: – Che fai stasera?
– Niente e tu?
– Viene Viola. Stiamo un po’ qui. Ti dispiace?
– Qual è Viola, quella secca coi capelli lunghi?
– Lei.
– Magari me la scopo.
La sorella si alza nervosa. – Ma perché sei cosí orrendo? Viola è una mia amica e tu non te la scopi.
Apre il frigo e prende una lattina di Coca-Cola, prende due bicchieri grandi, ci fa cadere dentro i cubetti di ghiaccio dal distributore del frigo, versa la Coca-Cola e mette un bicchiere davanti al fratello. Lui non lo tocca. Lei beve. Silenzio. Il ragazzo guarda le bollicine che si arrampicano sui cubetti di ghiaccio.
– È quella che stava con Dario?
– Sí.
– Bel casino che ha combinato Dario. Lo sai che cosa ha fatto?
– Certo che lo so.
– Si è stracciato l’arteria femorale e si è lasciato morire dissanguato.
– Ti ho detto che lo so.
Si somigliano. Hanno tutti e due gli occhi verde chiaro e si masticano tutti e due l’interno della guancia sinistra...