Da quando era diventata socia della profumeria Vanità, Ksenia Semënova amava aprire il negozio e aspirare profondamente quella particolare miscela di essenze e fragranze, quella magica concentrazione di molecole che si formava nel corso della notte e che durava giusto un attimo, prima che gli odori della strada prendessero il sopravvento. Era un piccolo segreto che le era stato rivelato da Eva, ben piú esperta di lei nell’arte dei profumi.
Quel giorno era in anticipo e fece le cose con calma, consapevole che di lí a poco sarebbe iniziato l’assalto delle clienti attirate dai saldi di gennaio e non ci sarebbe stato un istante di respiro.
Un’altra abitudine che aveva adottato da quando la sua vita aveva finalmente cominciato a scivolare su binari sicuri era quella di leggere il giornale ogni mattina, per migliorare la padronanza della lingua. Ksenia era siberiana ma parlava un italiano privo di inflessioni. Se lo era imposto con la stessa ferrea disciplina che aveva appreso nelle palestre di Novosibirsk, quando sognava di divenire una ginnasta olimpionica. Il destino aveva poi deciso differentemente ma l’intransigenza con cui era stata plasmata era diventata il suo modo di affrontare la vita. E le aveva permesso di sopravvivere. Le piaceva soprattutto tenersi informata sulla cronaca di Roma, mantenendo cosí uno sguardo vigile sulla città che in un recente passato le aveva mostrato il suo lato oscuro.
La metro B era di nuovo andata in tilt seminando il panico tra i passeggeri. Lo storico ippodromo di Tor di Valle avrebbe lasciato il posto al nuovo stadio di calcio. Sui sei ettari dell’ex Fiera di Roma lungo la Cristoforo Colombo sarebbero state costruite case di lusso e appartamenti ad affitti agevolati. Inutili per il momento le proteste dei residenti contro l’ampliamento del poligono di tiro della Cecchignola, sette milioni di euro investiti per sparare cannonate dentro la città. In via del Corso i passanti seguitavano a rompersi le caviglie dopo il restyling dei marciapiedi. Molti quartieri erano afflitti da misteriosi black-out. Il cosiddetto «mago delle truffe» dei Parioli aveva raggirato duecento commercianti. Millequattrocento pullman turistici in visita ai Musei Vaticani continuavano a invadere il centro storico inquinando l’aria, ingolfando il traffico e distruggendo il già precario manto stradale ridotto ormai a un colabrodo. Un’inchiesta denunciava che il quindici per cento dei ristoranti della capitale era in mano alla criminalità organizzata. All’Eur gli addobbi natalizi erano stati usati come segnaletica dello spaccio. A San Basilio si poteva noleggiare ogni tipo di arma destinata a rapine e intimidazioni. Un tizio adescava ragazze su Facebook promettendo assunzioni in Vaticano al prezzo di ventimila euro. A Tor Bella Monaca due clan nigeriani si facevano la guerra a colpi di machete per il controllo della droga. Un noto costruttore era stato narcotizzato e derubato nella sua villa.
Ksenia scorse i titoli voltando rumorosamente le pagine. Non aveva voglia di farsi rovinare il buonumore. Andò direttamente alla rubrica dell’oroscopo e nel riquadro dedicato al suo segno, il Leone, ebbe la conferma di ciò che sapeva già: l’amore era in congiunzione favorevole. Si soffermò sui segni di tutte le persone a lei care e sorrise alla notizia che per quello di Eva, i Pesci, era previsto un risveglio dei sensi. Chissà, finalmente la sua amica avrebbe trovato un uomo degno di lei.
Consultò l’orologio: mancavano cinque minuti all’apertura. Strano che Eva non fosse ancora arrivata. Forse era il caso di chiamarla. Non fece in tempo a mettere in atto il suo proposito che il telefono del negozio squillò.
– Pronto, Vanità, – rispose in tono professionale.
– Con chi parlo? – domandò una voce sconosciuta.
– Sono Ksenia Semënova. In cosa posso esserle utile?
– Sono un’infermiera del policlinico Gemelli. La signora Eva D’Angelo mi ha dato questo numero.
– È successo qualcosa?
– La signora ha avuto un incidente. È ricoverata al pronto soccorso.
Ksenia la tempestò di domande, ma l’infermiera non aggiunse particolari e la invitò a recarsi in ospedale. La siberiana guardò la strada attraverso la vetrina e vide Luz Hurtado che si avvicinava a passo spedito, nonostante i tacchi.
La colombiana aveva appena accompagnato a scuola la figlia Lourdes. Come al solito si erano fermate al bar a fare colazione. Lourdes adorava inzuppare il maritozzo in un bicchiere di latte freddo, e immancabilmente sul labbro superiore le rimaneva una macchia bianca che Luz cancellava con un gesto del pollice delicato e premuroso.
Luz era in leggero ritardo e arrivò alla porta insieme alle prime clienti. Ksenia uscí subito.
– Scusate, – disse fissando la colombiana. – L’apertura è rimandata di qualche ora. Abbiamo un problema con la corrente elettrica.
Le signore si dispersero mormorando commenti rassegnati sull’Italia, paese in cui ormai non funzionava piú nulla.
– È successo qualcosa a Eva, vero? – chiese Luz preoccupata. – La storia dell’elettricità era una balla.
– Vai a prendere la macchina, – tagliò corto la siberiana, abbassando la saracinesca.
La ragazza del rasoio si era spostata dall’altra parte della città con la metropolitana. Aveva sciacquato la lama sotto il getto di una fontanella. Tornata a casa ne avrebbe ravvivato il filo passandolo sulla coramella. Aveva estrema cura della sua arma. Ne conosceva ogni segreto, e nella sua mano appariva e scompariva con la disinvoltura di un gioco di prestigio.
Avrebbe potuto essere molto piú spietata con Eva D’Angelo, ma il suo obiettivo era mettere le cose in chiaro, e un taglio netto e pulito poteva bastare.
Venne affiancata da un ragazzino a bordo di uno scooter. Rallentò per consegnarle il suo accordéon e poi ripartire senza un saluto.
La ragazza si caricò lo strumento in spalla e camminò per qualche minuto. Si fermò di fronte a un grande negozio di tessuti e iniziò a suonare La valse come l’aveva imparata dai cugini manouches di sua madre, che le avevano fatto conoscere la musica dei Négresses Vertes.
Una melodia struggente che in quel momento aveva ben altro significato. Il padrone uscí di corsa e ascoltò per qualche istante, pallido in viso. Poi sparí all’interno ma continuò a seguire l’esibizione attraverso la vetrina, lo sguardo fisso sulla musicista, che ripeté il brano tre volte come le era stato ordinato di fare. Era il loro modo per annunciare l’arrivo del fuoco che tutto bruciava e riduceva in cenere.
Nel linguaggio del clan, una «sonatina» era il primo avvertimento. Due, il secondo. La terza segnalava che non c’era piú nulla da fare.
La ragazza pensò che avrebbe voluto suonare per il suo uomo. Ma Renzo l’aveva abbandonata per un’altra e, da allora in poi, ogni volta che avesse baciato quella donna sulla guancia, non avrebbe potuto fare a meno di ricordare il suo rasoio.
Se fosse tornato lo avrebbe perdonato. Ma doveva sbrigarsi. Prima che la delusione, la rabbia e l’amarezza si trasformassero in odio. Lei conosceva bene quel sentimento: le era stato insegnato fin da bambina.
Eva era adagiata sul letto con il viso bendato.
– Cos’è successo? – domandò Luz stringendole affettuosamente una mano.
– Mi hanno tagliato la faccia, – rispose Eva con un singulto.
– Chi è stato? – chiese Ksenia, facendo la conta dei fantasmi del passato che le affollavano la mente.
Eva capí cosa stava pensando e scosse la testa. – Una ragazza, – rispose a voce bassa. – Ha detto che Renzo è suo.
– Renzo? E tu cosa c’entri? Non lo hai piú visto né sentito.
Eva abbassò lo sguardo, le amiche capirono ed esplosero in un coro di rabbiosa incredulità.
– L’hai rivisto?
– E quando?
– Perché non ce l’hai detto?
– Quello stronzo ti ha rovinato la vita!
– Ti ha svaligiato casa!
– Ci ha quasi fatte ammazzare!
– E con quale faccia si è ripresentato?
– Cos’è, ha bisogno di quattrini?
– E tu glieli hai dati?
– Non dovevi vederlo mai piú!
– Chi è questa donna?
Avevano ragione. Renzo, suo marito, l’aveva abbandonata nelle mani del peggiore strozzino di Roma, innescando una serie drammatica di eventi che aveva messo a repentaglio le loro vite e incrociato i loro destini in una tragica lotta per la sopravvivenza, al termine della quale Ksenia e Luz si erano innamorate e lei era rimasta sola.
Eva temeva la reazione delle amiche ma era stanca di mentire, lo aveva fatto per troppo tempo. Alzò la mano in un gesto di resa. – Per favore, cosí non ce la faccio.
Luz le rivolse un sorriso triste. – Ci andiamo a bere un caffè e ti lasciamo riposare un po’. Ma poi dobbiamo parlare, Eva.
– Certo, avevo deciso di farlo proprio stamattina.
Le amiche uscirono e lei comprese che il discorso che si era preparata con tanta cura per spiegare a Ksenia e a Luz il ritorno di Renzo non aveva piú senso. Doveva pensare ad altre parole per giustificare la propria ingenuità, che ora le provocava un dolore sordo, destinato forse ad attenuarsi, non certo a sparire.
Poco dopo, quando Ksenia e Luz si sedettero sul letto e lei sentí il calore della loro amicizia, Eva capí di averle ancora dalla sua parte e iniziò a confidarsi.
Come ben sapevano, da quando Renzo l’aveva abbandonata non aveva accolto nessun altro uomo nella sua vita.
«Non sono pronta», rispondeva alle amiche quando insistevano a indicarle qualche tipo interessante che si faceva vedere in profumeria con sospetta assiduità. Guardandosi per l’ennesima volta allo specchio, vedeva una donna di quarant’anni dal viso intelligente. Tre chili di troppo la costringevano a indossare una taglia 44, ma rinunciando alla pasta e al pane che le piacevano tanto ci avrebbe messo poco a tornare alla 42. Era solo questione di volontà. Ma era proprio quella che le mancava. Non aveva voglia di farsi bella per nessuno. Dopo ciò che aveva subito dal marito, gli uomini preferiva tenerli alla larga. Da loro non c’era da aspettarsi nulla. Era refrattaria a nuove, avventurose incognite. Il tradimento di Renzo l’aveva fatta soffrire già a sufficienza.
Renzo. L’uomo che aveva sposato per amore subito dopo le prime esperienze giovanili. Il compagno con cui avrebbe voluto invecchiare dopo aver condiviso gli inevitabili alti e bassi. Il marito che, nelle sue aspettative, le avrebbe strappato un sorriso anche quando avessero perso tutti i denti.
Renzo. Che invece era impazzito e aveva distrutto tutto per il vizio del gioco, e lei aveva finito per passare le serate in casa, guardando la televisione o ascoltando canzoni che la facevano piangere.
Col trascorrere del tempo, però, la solitudine era diventata insopportabile, e d’altro canto Eva non aveva intenzione di stare sempre a rimorchio di Ksenia e Luz, che avevano la loro vita di coppia e una bambina da crescere. Cosí aveva preso l’abitudine di andare al cinema da sola, cosa che prima le sarebbe sembrata inconcepibile.
Con Renzo invece facevano tutto insieme. E questo «tutto» le mancava da morire. Sentiva la mancanza dell’uomo che aveva conosciuto a ventitre anni, la persona con cui aveva trascorso buona parte della sua vita. Il compagno elegante, bello, gentile, profumato, spiritoso. Non l’uomo gretto e meschino a cui aveva detto addio.
Una sera aveva deciso di andare a vedere un film in un cinema vicino a casa. S’intitolava Un sapore di ruggine e ossa, ed era la storia di due vite spezzate che trovavano la salvezza scoprendo l’amore. La sala buia, costellata dalle luci degli iPhone che in tanti non riuscivano a spegnere nemmeno per godersi lo spettacolo, la fece sentire ancora piú triste, attorniata da altre solitudini. Si era alzata e aveva lasciato il film...