I demoni
  1. 736 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

«Tradurre è un'arte: il passaggio di un testo letterario, qualsiasi sia il suo valore, in un'altra lingua richiede ogni volta un qualche tipo di miracolo».
Italo Calvino

«I demòni è una delle quattro o cinque opere che considero una spanna sopra le altre. È un romanzo profetico non solo perché annuncia il nostro nichilismo, ma anche perché mette in scena anime dilaniate e morenti, incapaci d'amare e sofferenti di non poterlo fare, che vogliono e non possono credere».
Albert Camus

«Dopo Dostoevskij tutto sembra insipido. Come se fossimo stati in un altro mondo dove altre sono le dimensioni, e ritornassimo nel nostro mondo misurato e limitato, nel nostro spazio a tre dimensioni. Una lettura profonda di Dostoevskij è sempre un avvenimento nella vita, e l'anima riceve un nuovo battesimo di fuoco. L'uomo che ha avuto contatto col mondo di Dostoevskij diventa un uomo nuovo, e a lui si aprono nuove dimensioni dell'essere».
Nikolaj Berdjaev

Uscito a puntate sulla rivista «Russkij Vestnik» («Il messaggero russo») tra il gennaio 1871 e il dicembre 1872, I demòni nasce come immediata reazione a un fatto di cronaca, il cosiddetto «caso Necaev». Il 21 novembre 1869, a Mosca, i membri di una cellula terroristica della Narodnaja Rasprava (Giustizia sommaria del popolo), guidati da Sergej Necaev, avevano assassinato il loro compagno Ivan Ivanov, colpevole di insubordinazione e sospettato (a torto) di tradimento. Fëdor Dostoevskij, in esilio volontario a Dresda, apprende la notizia dai giornali russi e subito decide di accantonare i progetti letterari piú o meno grandiosi che gli affollano la mente, per scrivere un romanzo-pamphlet ispirato proprio a quella vicenda sanguinosa. Intende mettervi in caricatura la nuova generazione dei nichilisti, fanatici e brutali, ma anche denunciare il loro legame con gli irresponsabili «padri», i «liberali idealisti», gli occidentalisti e i socialisti degli anni Quaranta per cui lui stesso aveva simpatizzato, prima dell'arresto e dei lavori forzati. «Sto scrivendo una cosa tendenziosa», scrive all'amico A. Majkov il 25 marzo 1870, «ho voglia di essere sferzante. I nichilisti e gli occidentalisti strilleranno che sono un retrogrado! E vadano al diavolo, dirò la mia, fino all'ultima parola». Ma la composizione dell'opera è tormentosa e procede tra difficoltà con l'editore e ripensamenti. Dostoevskij inventa un narratore (il «cronista») che partecipa marginalmente all'azione, la trasporta in una sonnolenta città di provincia, inserisce un complesso intrigo amoroso e una folla di nuovi personaggi, alcuni buffoneschi, altri luminosi, per ciascuno dei quali elabora un linguaggio, uno stile particolare. Cosí col tempo il libello satirico diventa potente, profetico romanzo di idee, nera tragedia. E soprattutto grandiosa riflessione sul problema che sempre tormenta l'autore, quello della ricerca di Dio e del Male. Nei demòni-nichilisti che seminano caos e violenza, il Male assume tante forme ma resta uno scandaloso mistero, poco scalfito dalle spiegazioni che Dostoevskij esplicita o suggerisce: la malattia, le ferite dell'infanzia, vizi come la superbia, la lussuria, l'accidia e la viltà, lo sradicamento dalla terra e dalla fede del popolo, «l'idea» che «divora» e toglie umanità e compassione, fino a imporre «il dovere di uccidere». È questo stesso mistero del Male che rende indimenticabili e inquietanti la figura e la sorte del demonio-principe Stavrogin, il personaggio attorno a cui tutto ruota, il piú ambiguo e fascinoso, il piú tragico e forse il piú amato dal suo autore.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a I demoni di Fëdor Dostoevskij, Alfredo Polledro, Emanuela Guercetti,Alfredo Polledro in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Letteratura generale. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
Print ISBN
9788806181550

Parte seconda

CAPITOLO PRIMO

La notte

I.
Trascorsero otto giorni. Ora che tutto è passato e io scrivo questa cronaca, sappiamo già di che si trattava; ma allora non sapevamo ancora nulla ed era naturale che varie cose ci apparissero strane. Per lo meno, io e Stepàn Trofímovič in un primo tempo ci chiudemmo in casa e osservammo sbigottiti da lontano. Io però andavo ancora qua e là e, come prima, gli portavo svariate notizie, senza le quali non avrebbe potuto restare.
Non è neppure il caso di dire che in città corsero le piú disparate voci, cioè a proposito dello schiaffo, dello svenimento di Lizaveta Nikolàevna e degli altri fatti di quella domenica. Ma una cosa ci meravigliava: grazie a chi tutto ciò aveva potuto con tanta rapidità e precisione venire a galla? Neppur una delle persone allora presenti avrebbe avuto, a quanto pare, né bisogno né interesse di venir meno al segreto su quanto era successo. Servi allora non ce n’erano; il solo Lebjadkin avrebbe potuto chiacchierare, non tanto per animosità, perché allora era uscito in preda a sommo spavento (e la paura del nemico annulla anche l’animosità che si ha contro di lui), quanto, e unicamente, per incapacità di frenarsi. Ma Lebjadkin, insieme con la sorella, era scomparso fin dal giorno dopo senza lasciar traccia; nella casa di Filippov non c’era piú, si era trasferito chi sa dove e pareva che si fosse perduto. Šatov, dal quale avrei voluto informarmi di Mar′ja Timoféevna, si era chiuso in casa e c’era rimasto, pare, per tutti quegli otto giorni, interrompendo perfino le sue occupazioni in città. Egli non mi ricevette. Feci una scappata da lui il martedí e bussai alla porta. Non ottenni risposta, ma sicuro, per non dubbi indizi, che era in casa, picchiai un’altra volta. Allora lui, saltato, evidentemente, giú dal letto, si avvicinò a grandi passi alla porta e mi gridò con quanta voce aveva: «Šatov non è in casa». Dopo di che me ne andai.
Io e Stepàn Trofímovič, non senza spavento per l’arditezza della nostra congettura, ma incoraggiandoci l’un l’altro, finimmo col fermarci su un’idea: fummo d’avviso che autore delle voci messe in giro non poteva essere altri che Pëtr Stepànovič, sebbene qualche tempo dopo, discorrendo col padre, egli stesso assicurasse di avere già trovato quella storia sulle labbra di tutti, specialmente al circolo, e a conoscenza, in ogni suo piú minimo particolare, della governatoressa e di suo marito. Ecco un’altra cosa degna di nota: fin dal giorno dopo, il lunedí sera, incontrai Liputin, che già sapeva tutto dalla prima all’ultima parola e quindi era stato senza dubbio dei primi ad apprendere la cosa.
Molte dame (e delle piú mondane) erano incuriosite anche dall’«enigmatica zoppa»: cosí chiamavano Mar′ja Timoféevna. Ce ne furono perfino di quelle che vollero a ogni costo vederla personalmente e farne la conoscenza, motivo per cui le persone che si affrettarono a nascondere i Lebjadkin evidentemente agirono a proposito. In primo piano tuttavia rimaneva lo svenimento di Lizaveta Nikolàevna e di questo s’interessava «tutta la società», non foss’altro perché la cosa toccava direttamente Júlija Michàjlovna come parente e protettrice di Lizaveta Nikolàevna. E che cosa non si disse! Le ciarle erano favorite anche dalla misteriosità delle circostanze: le due case erano chiuse ermeticamente; Lizaveta Nikolàevna, a quel che si raccontava, era a letto col delirio; lo stesso si affermava anche di Nikolàj Vsévolodovič, con ripugnanti particolari intorno a un dente che si pretendeva schizzato via e a una guancia enfiata per la flussione. Negli angoli si diceva perfino che da noi forse ci sarebbe stato un omicidio, che Stavrogin non era tale da sopportare una simile offesa e avrebbe ucciso Šatov, ma in segreto, come in una vendetta còrsa. Questa idea andava a genio; ma la maggioranza della nostra gioventú mondana ascoltava tutto ciò con disprezzo e con l’aria della piú sdegnosa indifferenza, affettata, s’intende. In generale l’antica ostilità della nostra società per Nikolàj Vsévolodovič si era manifestata con grande vivezza. Anche delle persone posate cercavano di accusarlo, pur non sapendo neppur loro di che. Raccontavano sottovoce che egli aveva disonorato Lizaveta Nikolàevna e che avevano avuto in Svizzera un’avventura insieme. Certo, le persone prudenti si mantenevano riservate, ma tutti nondimeno ascoltavano con gusto. Si facevano anche altri discorsi, non in pubblico, ma in privato, di rado e quasi di nascosto, discorsi oltremodo strani e a cui non accenno che per avvertirne i lettori, unicamente in vista dei fatti ulteriori della mia narrazione. E precisamente: taluni dicevano, aggrottando le sopracciglia, e Dio sa con qual fondamento, che Nikolàj Vsévolodovič aveva qualche affare speciale nella nostra provincia, che per mezzo del conte K. si era fatte a Pietroburgo certe altissime relazioni, anzi che forse era al servizio dello Stato e magari aveva perfino ricevuto da qualcuno certi incarichi. Quando poi le persone molto gravi e riservate sorridevano di questa voce, osservando giudiziosamente che un uomo che viveva di scandali ed esordiva da noi con una flussione aveva poco di comune con un funzionario, si faceva notar loro sottovoce che il suo era un servizio non già ufficiale, ma, per cosí dire, confidenziale, e che in simili casi l’impiego stesso esige che l’impiegato abbia il meno possibile l’aria di un funzionario. Tale osservazione faceva effetto; da noi si sapeva che l’amministrazione della nostra provincia era seguita nella capitale con una certa particolare attenzione. Ripeto, queste voci non fecero che spuntare e dileguare senza lasciar traccia, per il momento, alla prima comparsa di Nikolàj Vsévolodovič; ma noterò che molte voci ebbero origine, in parte, da poche ma astiose parole dette al circolo, vagamente e a scatti, dal capitano della guardia a riposo Artemij Pàvlovič Gaganov, tornato di recente da Pietroburgo, proprietario assai considerevole della nostra provincia e del nostro circondario, uomo di mondo della capitale e figlio del defunto Pavel Pàvlovič Gaganov, quello stesso onorevole decano con cui Nikolàj Vsévolodovič, piú di quattro anni addietro, aveva avuto l’alterco insolitamente brutale e improvviso cui già ho accennato prima, all’inizio del mio racconto.
Tutti seppero subito che Júlija Michàjlovna era andata per fare una visita straordinaria a Varvara Petrovna e sulla soglia della casa di lei le avevano detto che «la signora, per indisposizione, non poteva riceverla». E cosí pure che un paio di giorni dopo la sua visita Júlija Michàjlovna aveva mandato espressamente a chieder notizie della salute di Varvara Petrovna. Infine ella si mise a «difendere» dappertutto Varvara Petrovna, naturalmente solo nel senso piú elevato, cioè nel modo piú generico possibile. In quanto alle frettolose allusioni del primo momento alla storia della domenica, le ascoltò con severità e freddezza, tanto che nei giorni successivi in sua presenza non si rinnovarono piú. In tal modo si radicò in tutti l’opinione che Júlija Michàjlovna conoscesse non soltanto tutta quella misteriosa storia, ma anche tutto il suo misterioso significato fin nei piú minuti particolari, e non come una estranea, ma come una partecipe. A questo proposito debbo notare che ella aveva già incominciato ad acquistare tra noi, a poco a poco, quell’alta autorità di cui senza dubbio era cosí assetata, e già cominciava a vedersi «circondata». Una parte della società le riconobbe intelligenza pratica e tatto... ma di questo piú innanzi. Con la sua protezione poi si spiegavano in parte anche i rapidissimi successi di Pëtr Stepànovič nella nostra società, successi che allora meravigliarono particolarmente Stepàn Trofímovič.
Io e lui fors’anche esageravamo. In primo luogo, Pëtr Stepànovič quasi in un attimo, nei primi quattro giorni dalla sua comparsa, aveva fatto conoscenza con tutta la città. Era comparso domenica, e il martedí lo incontrai già in carrozza con Artemij Pàvlovič Gaganov, uomo, nonostante tutta la sua mondanità, altero, irascibile e tracotante, e col quale, per il suo carattere, era abbastanza difficile andar d’accordo. Anche in casa del governatore Pëtr Stepànovič fu accolto benissimo, al punto che si trovò subito nella condizione di intimo o, per dir cosí, di giovanotto benvoluto; da Júlija Michàjlovna era a pranzo quasi ogni giorno. Egli l’aveva già conosciuta in Svizzera, ma nel suo rapido successo in casa di Sua Eccellenza c’era senza dubbio qualcosa di curioso. Egli aveva pur sempre avuto la fama, un tempo, di aver fatto il rivoluzionario all’estero e di aver preso parte, fosse vero o no, a certe pubblicazioni e a certi congressi, «cosa che si poteva provare perfino coi giornali», come mi disse malignamente, incontrandomi, Alëša Teljàtnikov, adesso, ahimè!, impiegatuccio a riposo, ma una volta anch’egli giovanotto benvoluto nella casa del vecchio governatore. Ma c’era tuttavia un fatto: l’antico rivoluzionario era comparso nella cara patria non soltanto senza aver noie di sorta, ma quasi quasi ricevendo degli incoraggiamenti; di conseguenza forse non c’era stato nulla. Liputin mi sussurrò una volta che, secondo certe voci, Pëtr Stepànovič aveva non so dove fatto ammenda e ricevuto l’assoluzione, avendo rivelato i nomi di alcune altre persone, e in tal modo era forse già riuscito a riscattare la sua colpa, promettendo di essere utile alla patria anche in avvenire. Io riferii questa frase velenosa a Stepàn Trofímovič, e questi, nonostante che quasi non fosse in grado di riflettere, divenne profondamente pensieroso. In seguito si scoprí che Pëtr Stepànovič era arrivato da noi munito di commendatizie oltremodo autorevoli e, per lo meno, ne aveva recata una alla governatoressa da parte di una vecchia molto influente di Pietroburgo, il cui marito era uno dei vecchi piú eminenti di quella città. Questa vecchia, madrina di Júlija Michàjlovna, accennava nella sua lettera che anche il conte K. conosceva bene Pëtr Stepànovič per mezzo di Nikolàj Vsévolodovič, lo trattava con benevolenza e lo riteneva «un giovane dabbene, nonostante i passati errori». Júlija Michàjlovna apprezzava sommamente le sue scarse relazioni col «gran mondo», da lei mantenute con tanta fatica, e, ben s’intende, fu lieta di questa lettera dell’autorevole vecchia; ma la faccenda aveva pur sempre qualcosa di singolare. Ella aveva messo anche suo marito su un piede quasi di familiarità con Pëtr Stepànovič, tanto che il signor Lembke se ne lagnava... ma anche di questo piú innanzi. Noterò pure per memoria che anche il grande scrittore trattò Pëtr Stepànovič con somma benevolenza e lo invitò subito. Tanta premura da parte di un uomo cosí gonfio di sé ferí Stepàn Trofímovič piú dolorosamente di tutto il resto; ma io mi spiegai la cosa altrimenti: chiamando in casa propria un nichilista, il signor Karmazinov pensava certamente alle sue relazioni coi giovani progressisti delle due capitali. Il grande scrittore aveva una paura morbosa della novissima gioventú rivoluzionaria e, immaginandosi, nella propria incompetenza, che nelle mani di essa stessero le chiavi dell’avvenire russo, l’adulava bassamente, soprattutto perché quella non gli rivolgeva alcuna attenzione.
II.
Pëtr Stepànovič fece due scappate anche dal genitore e, disgraziatamente per me, entrambe le volte in mia assenza. La prima volta gli fece visita il mercoledí, e cioè appena quattro giorni dopo quel primo incontro, e sempre per affari. A proposito, i loro conti relativi alla proprietà furono definiti senza che nessuno sapesse o vedesse nulla. Varvara Petrovna s’incaricò di tutto e pagò ogni cosa, naturalmente acquistando la piccola tenuta, limitandosi a informare Stepàn Trofímovič che tutto era finito, e l’uomo di fiducia di Varvara Petrovna, il suo cameriere Alekséj Egòrovič, gli portò qualche cosa da firmare, il che egli fece in silenzio e con una straordinaria dignità. Osserverò, a proposito di dignità, che in quei giorni non riconoscevo quasi piú il nostro vecchio di un tempo. Si comportava come non mai per l’addietro, si era fatto singolarmente taciturno, anzi non aveva scritto a Varvara Petrovna nemmeno una lettera fin dalla domenica, cosa che prima avrei giudicata un miracolo, e soprattutto si era calmato. Si era fissato su qualche idea definitiva e straordinaria che gli dava la calma, lo si vedeva. Aveva trovato questa idea, si teneva fermo e attendeva qualcosa. Sul principio, del resto, era stato male, specialmente il lunedí: aveva la colerina. Cosí pure non avrebbe potuto stare per tutto quel tempo senza notizie; ma, appena io, lasciando i fatti, venivo alla sostanza della cosa ed enunciavo qualche supposizione, subito cominciava a farmi segno con le mani perché smettessi. Ma i due incontri col figliolo gli fecero tuttavia un’impressione dolorosa, sebbene non lo scotessero. Quei due giorni, dopo l’incontro, restò coricato sul divano, col capo avvolto in un fazzoletto inzuppato d’aceto; ma continuò a rimaner calmo nel senso piú alto della parola.
A volte, del resto, non mi faceva neppur segno con le mani. A volte mi pareva anche che la misteriosa decisione presa volesse abbandonarlo e che egli incominciasse a lottare con qualche nuovo e allettante afflusso d’idee. Non erano che attimi, ma li segnalo. Sospettavo che avesse una gran voglia di mettersi nuovamente in mostra, di uscire dall’isolamento, di gettare la sfida, di dar l’ultima battaglia.
Cher, li fulminerei! – gli sfuggí detto il giovedí sera, dopo il secondo colloquio con Pëtr Stepànovič, mentre giaceva disteso sul canapè, col capo avviluppato in un asciugamano.
Fino a quel momento non mi aveva ancora detto una parola in tutta la giornata.
– «Fils, fils chéri» e cosí via, ne convengo che tutte queste espressioni sono insulsaggini, vocabolario da cuoche, sia pure, ora lo vedo anch’io. Io non gli ho dato da mangiare né da bere, e l’ho spedito in carrozza di posta da Berlino nella provincia di ...sk ch’era ancora un lattante, e cosí via, ne convengo... «Tu, – dice, – non mi hai dato da mangiare e mi hai spedito via in carrozza di posta, e qui per giunta mi hai derubato». Ma, disgraziato, gli grido, il mio cuore ha pur sofferto per te durante tutta la mia vita, anche se fu in carrozza di posta! Il rit. Ma io ne convengo, ne convengo... magari in carrozza di posta! – egli concluse, come in delirio.
Passons, – cominciò di nuovo dopo cinque minuti. – Io non comprendo Turgenev. Il suo Bazarov1 è un personaggio fittizio, che non esiste assolutamente; furono loro i primi a ripudiarlo allora, come qualcosa di assurdo. Questo Bazarov è un confuso miscuglio di Nozdrëv2 e di Byron, c’est le mot. Guardateli attentamente: fanno le capriole e garriscono di gioia, come cuccioli al sole, sono felici, sono i vincitori! Altro che Byron!... E poi che roba trita! C...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. I demoni
  3. Nota introduttiva
  4. Bibliografia essenziale
  5. I demonî
  6. Parte prima
  7. Parte seconda
  8. Parte terza
  9. Il male in Dostoevskij di Luigi Pareyson
  10. Il libro
  11. L’autore
  12. Dello stesso autore
  13. Copyright