Ero sola a letto quando, dalle persiane, ho intravisto una luce. Non era una luce forte ma penetrava, arrivava dentro e portava un leggero chiarore. Gli oggetti in prossimità della finestra, una bottiglia d’acqua, la lampada da tavolo e un bicchiere, proiettavano sul muro ombre nitide e mi sembrava addirittura che quelle ombre si muovessero debolmente, un tremito leggero.
Da qualche giorno non vedevo piú bene, i contorni delle cose mi risultavano vaghi, sfocati, quasi luminosi. Gi aveva detto che è normale, quando uno sta tanto davanti allo schermo gli occhi gli si stancano, a lui capitava anche di vedere delle macchie che cadono.
– Vedi le macchie?
– No.
– Allora, se ti può consolare, io sono messo peggio di te, – aveva detto per rassicurarmi.
Mi aggrappavo quindi, in piena notte, a quelle spiegazioni razionali, logiche, alle cose di cui si parla di giorno. Non avevo voglia di aver paura.
Che ci sia qualcuno là fuori, forse con una torcia in mano? Ma una torcia non produce ombre cosí nitide, mi dicevo. Forse sono le macchie, come quelle di cui parlava Gi, le macchie che mi si muovono negli occhi.
Lui però aveva parlato di macchie, forme indistinte, queste invece erano proprio le ombre delle cose davanti alla finestra, i negativi fedeli proiettati sul muro di ogni oggetto che poggiava sul tavolo.
Ho richiuso gli occhi cercando di mandare via quelle ombre traballanti, di ricacciarle oltre il pensiero di averle viste. Pochi secondi dopo però non ho resistito, li ho riaperti. Le ombre c’erano e ancora traballavano. Sembrava che facessero una loro danza sulla parete bianca. Per qualche istante è stato addirittura bello.
Forse non sono gli occhi, ho pensato all’improvviso, dev’essere una cosa dentro il cervello.
Edoardo mi ha detto che un amico di un suo amico vedeva dei bagliori e dei lampi e poi gli avevano detto che aveva un cancro. Ci è voluto un po’ a capirlo, perché all’inizio pensavano che fossero allucinazioni, invece poi magari fossero state semplici allucinazioni.
Arrivava l’angoscia a grandi falcate e non c’era neanche Gi da svegliare.
Mi sono alzata, sono andata in bagno a fare pipí, ho aperto l’armadietto, c’era una bottiglina di Lexotan che mi aveva prescritto la sostituta del mio medico di base per la colite l’anno scorso. Non l’avevo mai preso. Ne ho messe venticinque gocce in un bicchiere, ho aggiunto un po’ d’acqua dal rubinetto e l’ho mandata giú. Era una via di mezzo tra una cosa troppo amara e una cosa troppo dolce.
Sono tornata a letto e ho aspettato che le gocce mi facessero effetto. Prima di entrare in camera però ho acceso la luce. Mi sono addormentata con la luce accesa per non vedere altro.
Il giorno prima avevano chiamato sul fisso. Non chiama mai nessuno sul fisso, tranne quelli delle offerte economiche delle compagnie telefoniche. Invece erano quelli del gas, Buongiorno, sono dell’Eni, ha detto una voce. Era una voce maschile, chiara, gentile.
Non bisognerebbe mai essere gentili con quelli che chiamano sul fisso, perché se gli si lascia anche solo uno spiraglio quelli ti devastano, dice sempre Gi, io però ho detto lo stesso Dica, con gentilezza.
La voce dall’altra parte ha detto di seguito Lei ha un contratto con noi a quanto ci risulta, siccome stiamo facendo una promozione, un’offerta un regalo alle famiglie che hanno già stipulato un contratto con noi, se per lei va bene noi potremmo offrirle quest’opportunità questa occasione e un nostro tecnico verrà a farle visita per una consulenza gratuita, senza nessun tipo di proposta commerciale, esclusivamente per darle maggiori informazioni. È sufficiente che lei mostri al nostro esperto una sua bolletta del gas, e lui le saprà dire che tipo di comportamento la porterà a un contenimento dei consumi energetici.
– La ringrazio, – ho detto, – non si offenda, al momento preferisco non occuparmi di questa cosa del gas, non perché non mi sembri utile, è proprio che non mi va di pensarci, ho altri problemi, non so dove siano le mie bollette vecchie, non ho voglia di mettermi a cercarle e non mi ricordo dove le ho messe.
– Ne basta una, una sola bolletta anche non recente e il nostro esperto saprà fornirle dei consigli preziosi per i risparmi futuri.
– Una dovrei averla, ma, come le dico, non so dove e non ho voglia di mettermi a cercarla e non ho voglia di pensare al gas.
– Mi ascolti, signora, – ha detto la voce, – io sono laureato in storia medievale, facevo il ricercatore, neanche a me interessa il gas. È che se lei accetta mi dà una mano, capisce, io sono qui, la chiamo da un call center, devo prendere appuntamenti con le famiglie e le chiederei, se mi capisce, proprio il piacere di accettare l’offerta, di farmi segnare il suo appuntamento.
– Vuole solo che fissi un appuntamento?
– Se non le creasse troppo disturbo, le sarei davvero riconoscente. Domani alle dieci?
– Io non so, domani, – ho detto, – domani non posso. Magari dopodomani.
– C’è suo marito, dopodomani?
– No. Perché?
– Servirebbe qualcuno che attestasse che lí, in quella casa, ci vive una famiglia vera. Perché la cosa non si può fare solo per una persona, ci vuole una famiglia, altrimenti niente offerta e niente appuntamento. Capisce?
– Mio figlio? Le va bene un figlio?
– Suo marito non c’è?
– No.
– Non ci può proprio essere?
– Mio marito non ci può proprio essere.
– Capisco, – ha detto la voce, – andrà bene suo figlio, ma si assicuri che ci sia. È di fondamentale importanza che suo figlio sia in casa al momento della consulenza, ha capito?
– Sí. Non m’interessa la consulenza ma accetto lo stesso.
Mi ha ringraziata.
Alla fine della conversazione ero anche soddisfatta. Un ragazzo giovane, uno storico professionista, pensavo, costretto per campare a fare il procacciatore di appuntamenti per l’Eni, una cosa deprimente e malvagia. Sentivo di aver fatto una buona azione.
Alle dieci hanno suonato. Non mi ricordavo piú dell’appuntamento, ero ancora un po’ stordita dalle gocce. Ho spiato dalla finestra della cucina per vedere chi fosse. Erano due tipi vestiti uguali, maglietta bianca e tuta larga con la pettorina azzurra. Entrambi erano abbastanza grassocci, coi capelli molto corti. Sembrano due playmobil, ho pensato. Uno dei due portava gli occhiali e aveva una ventiquattrore in mano.
Ho detto Sí? al citofono del cancelletto.
– Ci apre signora? Siamo venuti per la consulenza gratuita, Eni.
– Accomodatevi.
Ho aperto il cancelletto e li ho fatti entrare. Tu stavi dormendo.
Hanno subito chiesto se c’eri. Ci risulta che lei abbia un figlio, hanno detto.
Ho trovato strano che quella fosse la loro prima domanda, però ho detto Sí, mio figlio dorme ancora, è in camera sua, ma è in casa. È tornato da poco dall’Inghilterra, ho aggiunto.
Ho socchiuso la porta della tua stanza, perché vedessero che, anche se dormivi, c’eri davvero, che eri lí nel letto.
Hanno guardato a turno infilando la testa, prima quello con gli occhiali, che sembrava piú intraprendente, poi l’altro, come se stesse rispettando un ordine gerarchico. Stavano appollaiati con le teste tra la porta, una sopra e una sotto, e sembravano molto interessati.
Li ho fatti arretrare richiudendo, ho detto Scusate, adesso l’avete visto.
Li ho fatti accomodare in cucina, quello con gli occhiali ha posato la valigetta sulla sedia e mi ha chiesto di vedere la bolletta del gas.
– Una l’ho trovata, – ho detto, – però è di un periodo estivo, non ci si legge il consumo legato al riscaldamento, che in effetti è quello piú gravoso per noi.
L’hanno guardata distrattamente, non sembravano per niente interessati ad analizzare davvero i dati sulla bolletta.
Quello senza occhiali ha detto meccanicamente: – Cara signora, siamo qui per proporle un sistema di risparmio molto significativo.
– Allora mi spieghi, – ho detto.
Quello con gli occhiali ha estratto dalla valigetta un dépliant con foto di pannelli solari di vario tipo. – Lei conosce le enormi potenzialità del fotovoltaico?
– Guardi, – ho detto, – io qui sono in affitto, non posso mettere un bel niente sul tetto. Se è per questo che siete venuti perdete tempo.
I due si sono guardati, hanno guardato l’ora. – A che ora si sveglia suo figlio? – ha chiesto sempre quello con gli occhiali, che doveva essere il capo.
– Non capisco cosa c’entri mio figlio coi pannelli fotovoltaici.
– Vorremmo parlare anche con lui.
– Non capisco di cosa dobbiate parlare. Siamo in affitto. Il tetto non ci appartiene e basta.
– Signora, non si alteri, è che siamo venuti fin qua, lei ha fissato un appuntamento a suo nome, il suo nome è nella lista di chi ha richiesto la consulenza, capisce, come mai non ha detto subito che lei non era proprietaria?
– Perché nessuno me l’ha chiesto, – ho detto. – Se lo vuole proprio sapere, il vostro collega al telefono ha detto che studiava storia medievale e che se accettavo di fissare questo appuntamento gli avrebbero dato dei soldi. Perciò ho accettato. Per aiutarlo e basta.
Si sono guardati tra loro come se quanto dicevo fosse la conferma di qualcosa.
Quello senza occhiali ha detto: – Voi siete una famiglia, comunque. A parte quello che dorme di là ci sono altri figli?
Ero infastidita, allarmata. Non si può dare retta a tutti, ti faranno impazzire, mandali via, mi sono detta.
– Ascoltate, – ho detto, ero tesa, non piú disposta ad ascoltare. – Come vedete la cosa non si può fare, mi sono fatta intenerire dalla storia medievale, ecco perché siete qui, è stato bello ma, come avrete certo inteso, noi non siamo padroni del tetto di questa casa, siamo inquilini e quindi i pannelli fotovoltaici non possiamo prenderli in considerazione in alcun modo, non è un problema di volontà. Adesso, se non vi dispiace, avrei da fare.
– Vorrei parlare con suo figlio, – ha detto secco quello con gli occhiali, che a guardarlo bene sembrava avere qualche anno in piú del collega.
– Mio figlio è un ragazzo, non è lui che decide, non ne sa nulla di queste cose.
– Ugualmente noi dobbiamo chiedere una firma sua e una a suo figlio. Non possiamo andarcene senza che suo figlio abbia firmato, capisce, è la prassi.
Mi tornavano in mente lo sfarfallio, le ombre danzanti della notte precedente. Era come se la realtà non stesse seguendo le solite regole.
– Scusate un attimo, – ho detto. Ho preso il telefono, ho chiamato Gi. Ma il cellulare di Gi dava non reperibile.
L’ansia cresceva.
Non volevo che ti svegliassi, che quei due ti parlassero. Mi sembrava che ci fosse qualcosa di strano e di minaccioso nella loro presenza. È un bene che Mino dorma, ho pensato, devo lasciarlo dormire, non devono piú vederlo.
– Signora, non ce ne andiamo se non ci fa parlare con suo figlio, – ha detto quello con gli occhiali che doveva essere il capo o comunque di una qualche categoria superiore, o solo, tra i due, il piú risoluto.
– Perché? – ho chiesto.
– Lei ha sottoscritto una richiesta di consulenza familiare, non importa che le circostanze non siano poi state favorevoli, il fatto che manchino i requisiti è una cosa del tutto ininfluente, lei ha richiesto la nostra consulenza e adesso deve sottostare alla clausola vincolante.
Parlava in modo forbito, requisiti, ininfluente, clausola. Sembrava scegliesse le parole con una insolita attenzione.
– Ha studiato anche lei? – ho chiesto.
– Ho studiato, – ha detto sfiorandosi la pettorina con la mano, un gesto leggero quasi sfuggito al controllo volontario, – cose.
– Cosa ha studiato?
Vediamo se sono tutti ricercatori di storia medievale, mi sono detta.
– Sono un medico, un dottore, ma in questo momento mi occupo di energia solare.
– Lo fa per passione? – gli ho chiesto ironica, cercando una connivenza, come dire Lo so, che se potesse farebbe il medico, che sono le circostanze a costringerla qui, coi suoi dépliant di pannelli solari e la sua salopette azzurra.
Non ha per niente sorriso. Sembrava non aver capito il tono, o forse ero io a non avere capito lui.
– Per molta passione, signora.
Continuava a sfuggirmi, il suo linguaggio a tratti sembrava incoerente e a tratti invece mostrava eccessi di ricercatezza.
– E lei, – ho ch...