
- 224 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Gioco suicida
Informazioni su questo libro
Max Klein, uno scalcagnato investigatore privato, onesto e ostinato, indaga sulla misteriosa morte di un ex campione di baseball. Scritto da Auster mentre faceva mille lavori per «sbarcare il lunario» e si ritagliava qualche spazio prezioso da dedicare alla scrittura, Gioco suicida è il perfetto romanzo poliziesco alla Chandler.
Domande frequenti
Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
- Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
- Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Gioco suicida di Paul Auster, Massimo Bocchiola in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Letteratura generale. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.
Informazioni
1.
Era il secondo martedí di maggio quando George Chapman mi telefonò. Aveva avuto il mio nome dal suo avvocato, Brian Contini, e voleva sapere se ero disponibile a occuparmi di un caso. Se fosse stato per chiunque altro, probabilmente avrei risposto di no. Avevo appena passato tre settimane noiosissime alla ricerca della figlia diciannovenne di una ricca famiglia dei quartieri residenziali, e ora l’ultima cosa che desideravo era un nuovo cliente. Dopo essermi ficcato in una dozzina di vicoli ciechi, avevo finalmente trovato la ragazza a Boston: faceva la battona nella Combat Zone. Le sole parole che mi disse furono: – Fanculo, sbirro. Io mami e papi non ce li ho, capito? Sono nata la settimana scorsa, quando l’hai messo in culo a un cane.
Ero stanco, e mi serviva qualche giorno per tirare il fiato. Quando avevano saputo che la loro discendenza era ancora fra i vivi, i genitori mi avevano pagato un premio, e pensavo di sperperarlo in un viaggetto a Parigi. Ma quando chiamò Chapman, decisi che Parigi poteva aspettare. Sentii che qualunque cosa avesse intenzione di dirmi, era piú importante che buttar l’occhio sui quadri del Louvre. Nella sua voce c’era una nota disperata, e la sua riluttanza a sbottonarsi per telefono mi incuriosí. Chapman era nei guai, e io volevo scoprire di che guai si trattava. Gli dissi di venire nel mio ufficio l’indomani mattina alle nove.
Cinque anni prima, George Chapman aveva fatto tutto quello che un giocatore di baseball può umanamente fare in un campionato. Tenne 348 di media alla battuta, realizzò 44 fuoricampo, totalizzò 137 punti e gli fu conferito il Guanto d’Oro dei terza base. Quell’anno i New York Americans vinsero tutto quello che c’era da vincere. Il titolo di divisione, il pennant, le World Series. E alla fine, Chapman fu nominato Most Valuable Player, il miglior giocatore di tutta la lega.
Era incredibile. Sembrava bastasse aprire a caso un giornale per trovare dei titoloni su Chapman che aveva battuto uno homerun al nono inning, o aveva effettuato una difesa superlativa. In un anno di scioperi della nettezza urbana, scandali politici e tempo da schifo, Chapman diventò la vera leggenda metropolitana. Era talmente fotografato che iniziavamo tutti a sognarcelo di notte. Persino i tossici del Lower East Side conoscevano il suo nome, e da un sondaggio di una radio locale risultò che la sua faccia era nota a piú persone di quella del Segretario di Stato.
Per giunta, Chapman personificava l’eroe in maniera fin troppo perfetta. Era bello e aitante, parlava schietto con i giornalisti e non negava mai l’autografo a un ragazzino. Meglio ancora: si era specializzato in Storia a Dartmouth, aveva una moglie bella e raffinata e la vita per lui non finiva con il baseball. Non era il tipo che viene scelto per reclamizzare un deodorante. Quando Chapman appariva alla televisione, era per far pubblicità al Metropolitan Museum of Art o caldeggiare la solidarietà per i piccoli profughi. In quell’inverno successivo alla sua stagione d’oro, Chapman e la moglie finirono in copertina su tutte le riviste, e gli americani seppero che libri leggevano i Chapman, quali opere liriche ascoltavano, e come faceva la signora Chapman per cucinare il poulet chasseur e quando prevedevano di fare dei bambini. Ai tempi lui aveva ventotto anni e lei venticinque. Erano diventati la coppia prediletta da tutti.
Mi ricordavo la grande stagione di Chapman anche troppo bene. Per me era stata un’annata no. Il mio matrimonio stava andando a rotoli, il lavoro all’ufficio del Procuratore distrettuale non mi garbava piú, ed ero indebitato fino al collo. Dovunque mi girassi, c’era una valanga pronta a travolgermi. All’arrivo della primavera non trovai di meglio che rintanarmi nell’infanzia, e tentare di mettere un po’ d’ordine nel mio mondo immergendomi in un tempo in cui la vita sembrava piena di promesse. E una delle cose di cui ricominciai a interessarmi fu il baseball. La sua assoluta irrealtà funzionava da placebo. Non importa se lo usavo come diversivo per non prendere di petto i miei guai. Mi ero stufato di perseguire adolescenti neri per rapine da due soldi, di bazzicare i tribunali insieme a sbirri grassi e sudaticci, di occuparmi di delitti dove anche i colpevoli finivano per diventare vittime. Ed ero stufo dei battibecchi con mia moglie, stufo di fingere che potessimo ancora salvare capra e cavoli. Stavo coperto, pronto ad abbandonare la nave.
Col procedere del campionato, mi imbozzolai sempre piú nel cammino degli Americans, studiando ogni mattina i tabellini delle partite e seguendole per radio o per televisione ogni volta che potevo. Chapman mi interessava piú di tutti gli altri giocatori perché al college eravamo stati avversari. Quando Chapman faceva il diavolo a quattro come terza base a Dartmouth, io mi sudavo la pagnotta in terza per la Columbia. Non sono mai stato una grande promessa. Nella mia carriera al college battei intorno ai 245, e capeggiai la classifica degli errori ruolo per ruolo per tre anni consecutivi. Mentre Chapman metteva a ferro e fuoco le pedane di lancio del campionato universitario preparandosi a firmare per la lega pro, io vivacchiavo giocando per divertirmi e preparandomi a entrare alla facoltà di Legge. Seguendo Chapman nella sua stagione d’oro, mi sembrò di avere in lui una specie di alter ego, un’immaginaria parte di me vaccinata contro il fallimento. Eravamo della stessa età, della stessa stazza, e avevamo frequentato tutti e due le migliori scuole, venivamo dalla Ivy League. L’unica differenza era anatomica; lui aveva il mondo ai piedi, mentre io al mondo stavo sulle palle. Quando saliva sul piatto allo Stadium, a volte mi accorgevo di fare un tifo cosí sfegatato per lui da sentirmi in imbarazzo. Era come se il suo successo potesse salvarmi, e l’idea di trasferire tante mie speranze su un’altra persona mi faceva paura. Naturalmente, quell’anno avevo perso un po’ la testa. E Chapman continuò a giocare talmente bene, giornata dopo giornata, che immagino, in un certo senso, che sia stato lui a salvarmi dal precipizio. Credo anche di averlo odiato a morte.
Tuttavia, quella doveva essere anche l’ultima stagione di Chapman nella massima serie. Qualunque segreta gelosia potessi aver nutrito nei suoi confronti, essa svaní una notte di febbraio, poco prima dell’inizio degli allenamenti primaverili. Tornando in città sulla sua Porsche dopo una cena dedicata al baseball nell’interno dello Stato, Chapman si scontrò frontalmente con un autotreno. Sulle prime sembrava spacciato; poi sopravvisse, ma perse la gamba sinistra.
In seguito, per un paio d’anni non si seppe piú molto di George Chapman. Qualche articoletto qua e là – «Chapman, arto artificiale», oppure «Chapman in visita ai disabili» – e nient’altro. Ma poi, proprio quando sembrava che si fosse eclissato per sempre, pubblicò un libro sulla sua esperienza, In piedi con le mie forze, che fece furore riportandolo sulle prime pagine. Se c’è una cosa che l’America adora piú di una celebrità, è la riscossa di una celebrità. Certo, chi ha bellezza e talento è ammirato; ma resta un po’ distante da noi, esiste in una sfera che non viene mai a contatto con il mondo reale. La tragedia umanizza l’idolo, lo mostra vulnerabile come tutti noi, e quando l’idolo riesce a risalire in sella e tornare al proscenio, gli riserviamo un posto speciale nei nostri cuori. Sicuramente, Chapman aveva i numeri, questo non glielo si poteva negare. Non ci sono molte persone capaci di trasformare l’amputazione di una gamba in una nuova carriera. E dopo il suo ritorno, si mantenne sempre sulla cresta dell’onda. Era diventato uno dei piú autorevoli fautori della causa degli handicappati, finanziando i Giochi Olimpici di quella categoria, intervenendo alle udienze del Congresso e realizzando speciali programmi televisivi. Ora che un posto nel Senato degli Stati Uniti era rimasto vacante, alcuni notabili democratici si erano attivati per una possibile candidatura di Chapman. Si diceva che avrebbe dato l’annuncio prima della fine del mese.
Arrivò con qualche minuto di anticipo, camminando a passo rigido con il bastone dal pomolo d’argento, e stringendomi la mano con un aplomb da vero diplomatico. Gli indicai una sedia e lui si accomodò senza un sorriso, perfettamente ritto, tenendo il bastone fra le gambe. Il viso di Chapman era largo e forte, aveva gli occhi obliqui quasi come un apache, e l’impeccabile pettinatura dei suoi capelli bruno-rossicci mi disse che l’uomo non trascurava la propria immagine. Sembrava ancora in perfetta forma. A parte una spruzzatina di grigio sulle tempie non aveva perso nulla della sua giovinezza, nulla della prestanza fisica dell’atleta. Eppure, a conti fatti, qualcosa nel suo volto mi insospettiva. Gli occhi castani sembravano indifferenti a tutto. Sentii che erano troppo determinati, tropo fissi, come se in qualche modo avesse loro imposto di non tradire mai la minima spontaneità. Chapman sembrava un uomo che avesse deciso di non cedere mai di un passo, e se a te non andava di giocare secondo questa regola, non giocavi per niente. Non era l’atteggiamento che ci si attenderebbe da un aspirante uomo politico. Piú che altro, mi ricordava un soldatino di piombo.
Mostrò subito di non gradire molto il fatto di trovarsi nel mio ufficio, e mentre lí, seduto, girava lo sguardo per la stanza, aveva l’aria di chi si è trovato all’improvviso solo, di notte, nel quartiere sbagliato. Non me ne preoccupai piú di tanto. Quasi tutti quelli che entrano nel mio ufficio si trovano abbastanza a disagio, e probabilmente Chapman ne aveva piú motivo di tanti altri. Non perse tempo a dirmi perché era venuto. Sembrava che qualcuno progettasse di ucciderlo.
– Brian Contini mi ha detto che lei è intelligente e lavora alla svelta, – incominciò.
– Chip Contini ha sempre sopravvalutato la mia intelligenza, – replicai. – Dipende dal fatto che a scuola prendevamo gli stessi voti, ma io studiavo la metà di lui –. Chapman non era dell’umore giusto per le reminiscenze ridanciane. Mi rivolse uno sguardo impaziente, giocherellando con il pomolo del bastone. – Sono lusingato che abbia scelto me, – proseguii, – ma perché non è andato alla polizia? Sono piú attrezzati per questi casi, e farebbero qualsiasi cosa per lei. Lei è un uomo importante, Mr Chapman, e sono sicuro che avrebbe un trattamento speciale.
– Non voglio che questa storia diventi di dominio pubblico. Mi procurerebbe un sacco di pubblicità idiota, distogliendo l’attenzione da cose piú importanti.
– Ma qui si parla della sua vita, – dissi. – Non c’è niente di piú importante.
– Esistono un metodo corretto e uno scorretto di affrontare questa situazione, Mr Klein, e io ho scelto il metodo corretto. So quello che faccio.
Mi appoggiai alla sedia e aspettai che il silenzio si ispessisse rendendo l’atmosfera vagamente sgradevole. Il modo di fare di Chapman mi metteva di malumore, e volevo che sapesse esattamente che cosa lo aspettava. – Quando dice che qualcuno sta tentando di ucciderla, intende che qualcuno ha tentato di spingerla giú dalla finestra? Che le hanno sparato? Che ha visto qualcuno metterle dell’arsenico nel martini?
– Intendo questa lettera, – rispose impassibile Chapman. – È arrivata l’altro ieri, lunedí.
Infilò una mano nella tasca interna della giacca di cashmere beige. Il suo abbigliamento era sportivo ed elegante. La maggior parte dei giocatori di baseball si vestono come se fossero appena saltati fuori da un bar per single delle Hawaii, ma Chapman era pura Madison Avenue, giú giú fino ai pantaloni antracite e alle scarpe da cento dollari. Pensai che in capo a un anno probabilmente spendeva piú lui in biancheria e calzini di me per tutto il guardaroba.
Chapman tirò fuori una normale busta bianca formato lettera commerciale e me la passò sopra la scrivania. Era indirizzata al suo appartamento nell’East Side, ed era stata spedita dall’ufficio postale centrale della città. L’indirizzo era stato scritto con una macchina elettrica, forse una Ibm Selectric. Aprii la busta e lessi la lettera che conteneva. L’avevano scritta con la stessa macchina, ed era lunga una pagina.
Caro Georgete lo ricordi il 22 febraio di cincue anni fà?A guardare da come ti comporti ultimamente sembrerebbe di no. Ai avuto una bella fortuna cuella sera la, che eri vivo quando ti anno salvato dell’incidente. Magari la prossima volta non cela avrai.George tu sei un ragazzo intelligente perciò non tiriamola lunga. Avevamo un accordo e tu dovevi rispettarlo. Vuol dire che altrimenti.Dicono che sarai un canditato. Qua sembra che l’unica cosa che sarai candidato è lo bitorio.Un amico
Alzai gli occhi su Chapman che, mentre leggevo la lettera, mi aveva tenuto addosso uno sguardo metallico.
– Non occorre un genio per spiegarle che sembrerebbe un ricatto, – osservai. – Be’, allora mi dica, Chapman… Qualcuno le spillava del denaro?
– È proprio qui il problema, – mi rispose. – Non so nemmeno di che cosa parla, questa lettera… Sembra presupporre che non avrei rispettato un accordo. Ma prima di tutto, io non ho mai stretto accordi con nessuno.
– Sembra presupporre anche che l’incidente non fosse stato un vero incidente.
Chapman scosse la testa avanti e indietro, come per liberare la mente e ricacciare nell’ombra il pensiero di quella notte di cinque anni prima. Per un istante apparve invecchiato, quasi esausto. Lo sforzo di ricordare il passato gli pesava, e per la prima volta gli vidi sulla faccia quel dolore che fin qui era riuscito a dissimulare.
– Mi creda, – disse piano, – è stato un incidente. Sono slittato su una placca di ghiaccio per evitare un ramo caduto e sono finito contro il camion sulla corsia opposta. È troppo improbabile per essere stato pianificato. E poi, che vantaggio potevo averne?
– E l’autista del camion? – domandai, seguendo una linea di pensiero. – Ricorda come si chiamava?
– Papano… Prozello… – Si interruppe. – No, non me lo ricordo esattamente. Un nome italiano che comincia per P. Ma sarebbe fantasioso pensare a un suo coinvolgimento. L’uomo restò sinceramente scosso quando scoprí che alla guida dell’auto c’ero io. Venne a trovarmi all’ospedale e mi implorò di perdonarlo anche se in realtà non era colpa sua.
– Dove si è verificato l’incidente?
– Nella Contea di Duchess, sulla 44, vicino a Millbrook.
– Ma la festa non era ad Albany? Perché non ha preso la Thruway, o almeno la Taconic?
All’improvviso Chapman sembrò annaspare. – Perché me lo domanda?
– È lunga in macchina, da Albany a New York… Sono curioso di sapere come è andato a finire su una stradetta di campagna.
– Be’, a dire il vero, – spiegò, ricomponendosi a fatica, – ero piuttosto stanco, e ho pensato che guidare sarebbe stato meno impegnativo fuori dall’autostrada –. Fece una pausa a effetto. – Ovviamente, mi sono sbagliato.
Non volendo divagare quando la discussione era ancora all’inizio, archiviai questo piccolo dettaglio per rifletterci piú avanti. – In questa lettera qualcosa suona falso. Il tono sarebbe durissimo, ma poi l’effetto generale risulta, come dire… troppo vago. Se, come dice, lei non sa niente del patto a cui allude, allora la lettera non ha nessun senso. Voglio dire… non ha pensato a una panzana, magari scritta da un mattocchio, oppure che un suo amico le abbia fatto uno scherzo di cattivo gusto?
– Se pensassi che la lettera è uno scherzo, – rispose Chapman, – ieri non le avrei telefonato, e sicuramente non sarei venuto a parlarle in questo ufficio alle nove del mattino. Naturalmente, ho valutato tutte le possibilità… ma alla fine, non cambia nulla. La lettera è un dato di fatto, e il solo modo di cautelarsi è presumere che sia vera. Non voglio andarmene a spasso convinto che sia una presa in giro per finire assassinato in qualche vicolo perché non avevo visto giusto.
– Allora mettiamola in un altro modo. A quanto ne so lei è sempre stato un uomo di successo, e molto amato dalla gente. C’è per caso qualcuno che la odia, qualcuno che l’odia tanto da pensare che il mondo sarebbe migliore senza di lei?
– Sono due giorni che mi sforzo di rispondere a questa domanda… ma sinceramente, non mi viene in mente nessuno.
– Allora mettiamola in un altro modo ancora. Come va il suo matrimonio? E la vita sessuale? Com’è la sua situazione finanziaria? E il lavoro che fa adesso?
Chapman mi interruppe seccamente. – Non sia morboso, – disse. – Non sono venuto per raccontarle la storia della mia vita. Voglio assumerla per trovare la persona che ha minacciato di uccidermi.
– Stia a sentire, Chapman, – ringhiai di rimando. – Per il momento non ho ancora deciso di lavorare per lei… ma se le dico di sí, mi occorrerà la sua piena collaborazione su tutta la linea. Vede, la gente non si sveglia la mattina con la voglia di spedire una bella lettera minatoria. Ci sono dei motivi, delle ragioni fredde, dure, e generalmente hanno a che fare con il sesso, i quattrini, o un’altra delle cose di cui si preferisce non parlare. Se vuole che le trovi il respon...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Gioco suicida
- 1
- 2
- 3
- 4
- 5
- 6
- 7
- 8
- 9
- 10
- 11
- 12
- 13
- 14
- 15
- 16
- 17
- 18
- 19
- 20
- 21
- Il libro
- L’autore
- Dello stesso autore
- Copyright