I Bastardi di Pizzofalcone
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I Bastardi di Pizzofalcone

Maurizio de Giovanni

  1. 328 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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I Bastardi di Pizzofalcone

Maurizio de Giovanni

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Non hanno neanche il tempo di fare conoscenza, i nuovi investigatori del commissariato di Pizzofalcone. Mandati a sostituire altri poliziotti colpevoli di un grave reato, devono subito affrontare un delicato caso di omicidio nell'alta società. Le indagini vengono affidate all'uomo di punta della squadra, l'ispettore Giuseppe Lojacono, siciliano con un passato chiacchierato ma reduce dal successo nella caccia a un misterioso assassino, il Coccodrillo, che per giorni ha precipitato Napoli nel terrore. E mentre Lojacono, assistito dal bizzarro agente scelto Aragona, si sposta tra gli appartamenti sul lungomare e i circoli nautici della città, squassata da una burrasca fuori stagione, i suoi colleghi Romano e Di Nardo cercano di scoprire come mai una giovane, bellissima ragazza non esca mai di casa, e il vecchio Pisanelli insegue la propria ossessione per una serie di suicidi sospetti. *** I BASTARDI DI PIZZOFALCONE Luigi Palma, detto Gigi: commissario.
Che vorrebbe crederci, e ci crede Giorgio Pisanelli, detto il Presidente: sostituto commissario.
Che non crede a chi se ne vuole andare Giuseppe Lojacono, detto il Cinese: ispettore.
Che cerca sé stesso in un altro posto Francesco Romano, detto Hulk: assistente capo.
Che ha un altro sé stesso nella testa Ottavia Calabrese, detta Mammina: vicesovrintendente.
Che sembra una, e invece no Alessandra Di Nardo, detta Alex: agente assistente.
Che cammina su due strade Marco Aragona, vorrebbe essere detto Serpico: agente scelto.
Che sembra uno, e invece sí Ognuno di loro ha qualcosa da nascondere.
O da farsi perdonare.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
ISBN
9788858409862
Copertina. «Buio» di Maurizio de Giovanni
Maurizio de Giovanni

Buio

per i Bastardi di Pizzofalcone
Einaudi

Buio

Paola.
Tutta la luce che ho

I.

Batman.
Baaatmaaan.
Il sussurro nel buio, nell’odore di umido, in mezzo alla polvere.
Batman.
Un fruscio del mantello, che fende l’aria davanti al viso di Dodo.
Batman.
Non lo vede, Dodo, perché è buio. Buio piú della notte, piú del ripostiglio che ha nella sua stanzetta, quello la cui porta non si chiude bene e spesso si apre da sola, cigolando.
La stanzetta, calda. La stanzetta, col poster dei Vendicatori, con la raccolta degli album e quella dei pupazzi sulla mensola. Sistemati in ordine di grandezza e di storia, che quando la cameriera pulisce poi lui li deve rimettere a posto tutti. Al pensiero della stanzetta, dei Vendicatori e dei pupazzi spuntano le lacrime e Dodo le ingoia.
Buio, qui dentro. Il buio è sempre pieno di rumori. Il buio non sta mai zitto.
Nella sua stanzetta lontana, Dodo aspetta ogni sera che la porta di mamma si chiuda e tira fuori la piccola luce di quando aveva tre anni. Non lo sa nessuno della piccola luce, di quelle che si infilano direttamente nella presa di corrente, che lasciano appena un chiarore, che nemmeno si può chiamarla luce.
Come vorrei stare nella mia stanzetta, adesso. Anche se la porta del ripostiglio si apre da sola.
Dodo ricaccia indietro le lacrime, e sussulta a un fruscio nell’angolo in fondo. Non saprebbe nemmeno dire quant’è grande, quel posto. Di certo non si mette a esplorarlo.
Batman, invoca stringendo la manina sudata attorno al pupazzo. Fortuna che ti ho portato con me, stamattina, a scuola. Pure se mi rimproverano, pure se dicono che i giocattoli a scuola non si portano, che ormai sono grande, ho quasi dieci anni. Tu e io lo sappiamo, però, che tu non sei un giocattolo. Tu sei un eroe.
Con papà lo diciamo sempre, no? Che tu sei il piú grande di tutti i supereroi. Che sei il migliore di tutti, il piú forte. Papà me l’ha spiegato, quand’ero piccino e stavamo ancora insieme, quando mi prendeva a cavalluccio sulle spalle e mi diceva: tu sei il mio piccolo re, vedi, e io sono il tuo gigante, ti porto dove vuoi.
Papà me l’ha spiegato perché sei il migliore tra gli eroi: è perché non hai superpoteri.
Sono bravi tutti a vincere coi cattivi, se sanno volare, o hanno l’ultraforza, o gli occhi coi raggi verdi. È facile, cosí.
Invece tu, Batman, sei un uomo normale. Però sei coraggioso e intelligente. Gli altri volano? E tu inventi i razzi nella Batcintura, o lanci le corde sui tetti dei palazzi e ti arrampichi fino in cima. Gli altri corrono velocissimo? E tu hai la Batmobile, che corre ancora piú veloce. Tu sei un eroe tra gli eroi, Batman. Perché hai il superpotere piú superpotere che c’è: il coraggio. Tu sei come il mio papà.
Non l’ho detto a papà che di notte piglio la lucina dal cassetto. Non voglio che pensi che io non ho il coraggio. Il problema è che sono ancora un poco piccolino, ma tutti dicono che assomiglio al mio papà, e lui è forte.
Sai, Batman, anche se sei un eroe e sembra che tu non abbia paura di niente, io lo so che un poco di paura in questo stanzone buio, dove ci hanno gettato dopo averci presi, ce l’hai perfino tu. Io pure, un poco, poco però. Ma non ci dobbiamo preoccupare, perché il mio papà verrà a tirarci fuori.
Vola, vola, Batman. Tu sei il cavaliere oscuro, il padrone della notte. Tu non hai paura del buio, e io volo aggrappato a te. Vola.
Un pugno sulla lamiera, un terribile rimbombo che assorda, acceca, ferma il sangue. Il pupazzo cade, la plastica resa scivolosa dalla mano sudata che non fa piú presa.
Dodo strilla di terrore, sobbalza e si ritrae; poi, disperato, tasta con i palmi il terreno, polvere, pietre aguzze, ghiaia, cartacce. Trova il pupazzo, lo raccoglie e lo accosta al viso, sulla guancia rigata dalle lacrime improvvise. Fuori risuona un ruggito, un comando in una lingua che non conosce.
Si rannicchia in un angolo, la schiena sotto la camicia graffiata dalla parete, il cuore che batte nelle orecchie come se volesse scappare via.
Batman, Batman, non ti preoccupare. Il mio papà verrà a prenderci.
Perché lui è il mio gigante, e io sono il suo piccolo re.

II.

Appena affacciatosi alla porta della sala, l’espressione dell’agente scelto Marco Aragona cambiò.
– Ecco, lo sapevo. Sono le otto e ventinove e già state qua. Ma una vita non ce l’avete? Eppure tenete una casa, una famiglia, almeno alcuni di voi: è mai possibile che a qualsiasi ora uno entra la mattina, qua vi trova?
Stava diventando una gag pressoché quotidiana, quella di Aragona che anticipava l’arrivo in ufficio di non piú di un paio di minuti rispetto all’orario previsto e rilevava sconsolato la presenza di tutti gli altri componenti della squadra investigativa del commissariato di Pizzofalcone.
Il vicecommissario Giorgio Pisanelli interruppe la lettura di un verbale e gli lanciò un’occhiata divertita al disopra delle lenti bifocali.
– Un altro minuto ed eri tu in ritardo, Arago’. E magari eravamo costretti anche a farti rapporto.
L’agente sedette alla scrivania e si tolse le lenti azzurrate con un gesto studiato:
– Preside’, io se non parlavo non te ne accorgevi nemmeno che ero arrivato. L’età è una brutta bestia –. Il piú anziano e il piú giovane si punzecchiavano spesso, uno col tono del professore che parla a un allievo deficiente, l’altro battendo sul tasto del rimbambimento senile. – Che poi che sfizio ci trovate a stare qui dentro mentre fuori il tempo è tanto bello? Prima o poi me lo dovete spiegare.
Facendo capolino da dietro lo schermo del computer, Ottavia Calabrese replicò:
– Ma se alle otto di mattina non c’è ancora il morto ammazzato non vuol dire che possiamo andarcene a spasso, che dici, Aragona? E smettila di tormentare Pisanelli con ’sto fatto di chiamarlo Presidente… Già non aspetta altro.
– Senti a me, Ottavia: la tua è invidia pura. Ti piacerebbe essere chiamata tu, Presidente. E invece no: tu sei e sarai per sempre la nostra Mammina. Ma l’hai guardato bene, Pisanelli? Non hai visto la somiglianza? E poi si chiama pure Giorgio e hanno piú o meno la stessa età –. Con un cenno del capo, Aragona indicò il ritratto incorniciato sulla parete della sala agenti, unico elemento decorativo nel pallido verde di quell’ambiente approssimativo e desolato che conteneva quasi tutta la loro vita. Poi, grattandosi il torace rasato e lampadato messo in mostra dai tre bottoni slacciati della camicia a fiori, si rivolse teatralmente a Pisanelli. – E tu confessa, Preside’, che per meglio servire il paese ti sei infiltrato fra i Bastardi di Pizzofalcone.
Ottavia rinunciò a ogni diritto di replica e si eclissò dietro il computer. Nominando i Bastardi, Aragona aveva evocato l’origine dello sgradevole impiccio che aveva portato quel nucleo di difensori della legge a essere ciò che erano oggi. Soprannomi compresi. Se l’intera polizia della città si riferiva a loro con un insulto, una ragione c’era. Quattro colleghi di quel commissariato si erano fatti pescare a commerciare cocaina, e Ottavia, con Pisanelli, era stata testimone del fattaccio. Loro due erano rimasti, la commissione di sorveglianza interna li aveva rivoltati come calzini, e per convincere quelle belve inferocite che non c’entravano niente con i poliziotti infedeli, c’era voluta la mano di Dio. Avevano addirittura minacciato di chiudere il commissariato. I quattro dementi, che tutti ormai chiamavano i Bastardi di Pizzofalcone, erano stati sostituiti. Il marchio però era rimasto. E una volta chiusa l’inchiesta, avevano continuato a chiamare in quel modo pure il nuovo commissariato e i suoi rimpiazzi, e Ottavia ancora non se ne capacitava.
Però la nuova squadra, mista di scarti di ogni pezzatura provenienti dai quattro angoli della città, di fronte al dilemma se sorbirsi l’insulto o reagire, aveva scelto di farne motivo di fierezza. Al soprannome collettivo avevano addirittura cominciato ad aggiungere i soprannomi individuali. Perché «quelli notevoli, che vengono in evidenza per qualsiasi motivo, sono sempre soprannominati», aveva sparato un giorno Aragona. A Ottavia era scappato da ridere. Sí, questo le piaceva. E nemmeno le dispiaceva quel Mammina fresco di conio, per quanto un po’ sfottente. Aveva pensato di protestare, poi si era detta che lo era, in effetti, la loro Mammina. Non le sfuggiva nulla, pur nascosta dietro il suo amato computer, e ogni volta che ne avevano bisogno, tutti ricorrevano a lei. Come a una Mammina. E Mammina lo era poi davvero, per via del suo bambino. Era l’unica nella squadra ad averne uno.
– E il Cinese dov’è? Almeno lui non è ancora arrivato, stamattina.
Stavolta Marco Aragona aveva preso di mira l’ispettore Giuseppe Lojacono, lo scopritore del Coccodrillo, ribattezzato il Cinese per via dei lineamenti da orientale.
Ottavia lo informò, pignola:
– Non solo è arrivato, ma sta già lavorando. Hanno telefonato per un furto in appartamento, verso le sette e dieci, ed è uscito.
Aragona trasecolò:
– Alle sette e dieci? Ma che fa, dorme in ufficio?
– Non dorme, semmai dormono. C’era anche Alex, sono andati insieme.
Alex Di Nardo, l’altra donna della squadra, sembrava una ragazzina sottile e aggraziata, ma aveva una mira che coglieva una mosca da trenta metri. Andava a sparare al poligono due volte alla settimana: come avrebbero dovuto chiamarla se non Calamity? «Cosí lo sanno tutti che si devono mettere paura di lei», se ne era uscito una mattina Aragona, il quale ora aveva cominciato a pettinarsi con ostentazione, rimirandosi in uno specchietto. Aveva un ciuffo alla Elvis buono per alzare di un paio di centimetri una statura non certo da corazziere, e anche per nascondere una piazzola che si stava pericolosamente allargando sulla sommità del cranio.
– E il Capo, Otta’? Manco a dirlo, ci sta già pure lui, no?
Aragona aveva indicato con lo sguardo la porta socchiusa che dava nell’ufficio di fianco: la stanza del commissario Gigi Palma. Poi si rivolse con aria di sfottò a Francesco Romano, l’ultimo occupante della sala agenti, che per tutto il tempo era stato anche lui barricato dietro il computer, in silenzio. Era un uomo massiccio, dalle spalle larghe e dal collo taurino, l’espressione torva che sconsigliava dall’intraprendere discussioni pericolose. Sconsigliava a chiunque, ma non a Marco Aragona, che quella mattina era incontenibile:
– Ué, Hulk! A te invece il soprannome te l’hanno già dato al commissariato di provenienza, è vero? Mo’ si incazza, diventa verde bandiera e gli si strappa la camicia…
Romano brontolò cupo:
– E se strappassi la tua, di camicia, che tra parentesi è orribile?
– Guarda che questa camicia costa quanto tutti i vostri stracci messi insieme. Sei tu che sei antiquato e tamarro, e non capisci la vera moda. E io, proprio perché vesto casual, non sembro un poliziotto, come voi che puzzate di sbirro a un chilometro. A proposito di soprannomi, se me ne dovessero dare uno dovrebbero per forza chiamarmi Serpico, perché sono uguale, dico uguale, ad Al Pacino.
Romano sbuffò:
– Al Cretino, ti dovrebbero chiamare. Fossi in te, applicherei la regola che meno parli, meno cazzate metti fuori. È vero, non sembri un poliziotto: sembri un cabarettista, di quelli scadenti.
Aragona lo fissò offeso:
– Non c’è niente da fare, sei antiquato. Non capisci che questo mestiere sta evolvendo, e quelli come te saranno come i dinosauri: fossili estinti. Ma lo sai che…
Squillò il telefono.

III.

Il commissario Luigi Palma sollevò lo sguardo dall’incartamento che aveva davanti e cercò di cogliere le voci che arrivavano dallo spiraglio della porta.
La sua regola era di non chiudersi mai nell’ufficio, voleva che i collaboratori pensassero di poter andare da lui in ogni momento; però là, a Pizzofalcone, una delle due porte dava sull’ampia sala che aveva voluto trasformare da mensa a spazio comune, e temeva che qualcuno dei suoi credesse che voleva tenerli d’occhio. Avrebbe ottenuto l’effetto opposto: invece di un primus inter pares, una specie di fratello maggiore con il compito di coordinare l’attività e non certo di comandare, sarebbe diventato un aguzzino malfidente che voleva spiare i loro dialoghi.
Qualsiasi atteggiamento poteva essere letto in modo sbagliato. Era cosciente che non sarebbe stato facile; lo stesso questore, nell’ultimo colloquio al termine del quale gli aveva assegnato l’incarico, aveva cerc...

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Giovanni, M. (2013). I Bastardi di Pizzofalcone ([edition unavailable]). EINAUDI. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3426288/i-bastardi-di-pizzofalcone-pdf (Original work published 2013)

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Giovanni, Maurizio. (2013) 2013. I Bastardi Di Pizzofalcone. [Edition unavailable]. EINAUDI. https://www.perlego.com/book/3426288/i-bastardi-di-pizzofalcone-pdf.

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Giovanni, M. (2013) I Bastardi di Pizzofalcone. [edition unavailable]. EINAUDI. Available at: https://www.perlego.com/book/3426288/i-bastardi-di-pizzofalcone-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Giovanni, Maurizio. I Bastardi Di Pizzofalcone. [edition unavailable]. EINAUDI, 2013. Web. 15 Oct. 2022.