Altra gente
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Altra gente

Un racconto del mistero

  1. 264 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Altra gente

Un racconto del mistero

Informazioni su questo libro

Mary non ricorda piú nulla. Non ricorda nemmeno il proprio nome, che quasi certamente non è Mary. Ma non ricorda cose piú banali, cose come le nuvole, e pensa che siano creature grasse dall'aria assonnata, in perpetua adorazione del sole. "Quando dimentichi il passato, il presente diventa indimenticabile", e in effetti per Mary tutto è enigma e scoperta. Oltre agli oggetti e alle persone, deve imparare da capo le emozioni e i sentimenti, soprattutto quelli che gli altri provano verso di lei per ragioni che le sfuggono. E scopre di poter far male alla gente, e di attirare la malvagità, come se nella vita precedente lei stessa fosse stata perversa e malvagia. La memoria di un'inquietante Amy Ride, e del suo ancor piú inquietante amico, Mr Wrong, perseguitano Mary. In mezzo a tanti delinquenti, alcolizzati e falliti capitati sulla sua strada, c'è anche qualcuno che la vorrebbe aiutare, ma perché ciò sia possibile occorre che passi del tempo, il passato deve tornare attraversando il presente, ed è per questo che Mary corre da sola verso il futuro: la sua vita non può ricominciare se prima non finisce quella di un'altra donna, la donna che lei è stata un tempo. L'amnesia di Mary trasforma Londra in un incubo, un paesaggio del dopo bomba, ovvero una delle piu riuscite metafore di una civiltà che vive nel presente assoluto, dimenticando la Storia.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
Print ISBN
9788806145088
eBook ISBN
9788858411834

Parte seconda

Capitolo quinto

Guadagnare terreno

– Un altro po’ di tè, cara?
– Sí, grazie, – disse Mary.
– Allora, come andiamo?
– Bene, bene. Mi sento sempre meglio.
– Recuperi, vero tesoro?
– Be’, qualcosa, – mentí Mary.
– È solo questione di tempo, – disse la signora Botham pensosa. – Solo questione di tempo.
Sotto lo sguardo sorridente di Mary, la signora Botham tornò zoppicando al suo posto – la sua poltrona inviolabile, sistemata nell’angolo accanto a quel fuoco con le fiamme giocattolo. Zoppicare non era il termine adatto (rifletteva scrupolosamente Mary) per definire lo spettacolare ondeggiamento nell’andatura della signora Botham: camminava come un corridore a ostacoli caricato a molla. Mary attribuí il fenomeno al fatto che una delle gambe della signora Botham era lunga piú o meno il doppio dell’altra. La gamba normale sfoggiava un prolungamento speciale, una specie di mattone nero, che non bastava affatto a rimettere in pari la differenza; la gamba piú lunga invece pareva imbarazzata della propria sproporzione, e si curvava all’infuori in un benevolo arco. Il signor Botham – e anche Gavin, s’intende, – raccontavano di qualcosa che era successo alla gamba della signora tanto tempo prima. Qualcosa dal nome oscuro era venuto a tirarle quella gamba. Nessuno diceva come né perché.
– Ho conosciuto una signora in clinica, – disse la signora Botham, tenendo il capo premurosamente chino, – aveva battuto la testa una notte, diceva che non ricordava niente, cioè, quasi niente.
– Probabilmente era fradicia, – disse Gavin, il quale sedeva accanto su un divano contemplando, com’era sua abitudine una rivista piena di lucidi maschi seminudi. Si erano tutti scolpiti il corpo a forza, e ne avevano fatto uno scempio atroce.
Il capo della signora Botham ruotò verso suo figlio. – Non era affatto fradicia, Gavin! Nel senso di sbronza, – aggiunse, tornando a Mary col sorriso sulle labbra. – Soffriva di amnesia. La sua mente era come un foglio bianco! La mattina non riconosceva anima viva, nemmeno suo marito che la cullava fra le braccia, o le sue piccoline, Melanie e Sue.
– Quella non è amnesia, Ma’, – disse Gavin.
I lineamenti della signora Botham, che fino a quel momento erano sembrati composti e pronti a un riposo nostalgico e rassegnato, si fecero tesi e severi. – ... Perché tu come la chiami? – chiese.
– Si chiamano postumi da sbornia, – disse Gavin, senza alzare lo sguardo.
– Perché ti comporti cosí con tua madre, Gavin? Perché? Ti prego, dimmelo, Gavin.
Gavin voltò un’altra pagina della rivista e un’altra piccola testa emerse radiosa dalla sua fortificata armatura. – Perché sei un’alcolizzata, Ma’, – fece lui.
– Niente affatto, – disse il signor Botham, il quale come al solito sedeva nel suo gioioso mutismo al fondo del tavolo. – Tua madre è un’ex-alcolizzata.
– Eh no, caro mio, – disse la signora Botham, col viso di nuovo tutto congestionato, – è proprio qui che ti sbagli. Gli ex-alcolizzati non sono mai esistiti...
– Ci sono solo gli alcolizzati.
– Solo gli alcolizzati.
– Solo gli alcolizzati, – dissero tutti insieme.
– E lei per l’appunto soffriva di amnesia! – disse la signora a suo figlio. – ... E tu comunque sei solo una checca.
– Questo è vero, Ma’, – disse Gavin, e voltò pagina.
– Vedi, Mary, – riprese la signora Botham, – gli alcolizzati, lo sono una volta per tutte. Oh, se solo fossi riuscita a far venire Sharon agli Alcolisti Anonimi! Ma lei non ha voluto saperne. Era troppo sbronza dal mattino alla sera. Tu lo sai, Mary, che il vero alcolizzato, – e a questo punto chiuse gli occhi, – non ha paura di niente. Niente. Oh, io lo ammetto, ho toccato il fondo, Mary. Mi sono bevuta il metanolo. L’acquaragia. Il dopobarba. Ogni cosa. Argentil. Diserbante. Acetone. Detersivo. Tutto. Disinfettante. Profumo. Sciroppo per la tosse. Decongestionante nasale. Glassex. Optrex. Le ho provate tutte. Vedi, Mary, tutto questo è accaduto prima che arrivassi a mettere la mia sobrietà al di sopra del resto. Adesso me la tengo ben cara. Ti è mai capitato di cercare la parola sobrietà sul dizionario, Mary? Mai? Sai, non significa solo non essere sbronzi. Significa anche onestà, pacatezza, moderazione, serenità, sanità, dignità, temperanza, parsimonia, onestà...
Mary si mise comoda. La signora Botham le aveva già spiegato il senso della parola sobrietà una mezz’oretta prima, ma ormai era sbronza al punto che o non ricordava o forse non le importava comunque. A Mary non importava comunque. Puntò gli occhi sul viso stordito della signora Botham, che le ricordava quello di Sharon in tutto e per tutto, e mise a frutto un’abilità che aveva perfezionato nel corso degli ultimi giorni. Quando la signora Botham parlava, bastava guardarla senza ascoltare davvero. A lei non importava comunque. Dal suo punto di vista, la sola cosa importante era parlare. L’altro c’entrava ben poco; era una faccenda tutta sua. E la signora Botham aveva non di rado riconosciuto a Mary quel merito. Ripeteva sempre che era un conforto parlare con lei. Diceva che a lei proprio questo piaceva: avere qualcuno con cui parlare.
Mary si dava persino un’occhiata intorno di tanto in tanto, oppure spediva i suoi sensi irrequieti in ricognizione. Lí sopra il tavolo c’era il piatto azzurro vuoto, e la teiera con la sua famigliola di tazze. Alle nove di ogni sera la signora Botham arrivava in cucina zoppicante e si chiudeva la porta alle spalle. Diceva di odiare il Notiziario delle nove. Mary la capiva. A lei faceva paura anche la televisione. Era un finestra in cui tutto succedeva dall’altra parte: era proprio troppo, e Mary cercava di starne alla larga. Alle nove e trenta la signora Botham emergeva con il suo carico trionfante: un vassoio affollato come una metropoli in miniatura: una doppia colonna di pane tostato grondante burro fuso, il tè rosa bollente talmente forte che faceva lacrimare la bocca, i biscotti a forma di ventaglio dello stesso marrone dei cani addormentati sulla scatola di metallo che li conteneva. A sentire Gavin, la signora Botham si sbronzava regolarmente mentre stava in cucina da sola. Mary gli credeva. La signora era sempre molto ansiosa di parlare di sobrietà, quando tornava. Ma a Mary non importava. Era molto grata alla signora Botham per tutto quello che aveva fatto per accoglierla in quella casa.
– Non ti preoccupare, – le disse Gavin la prima sera. – Io sono diverso.
Dovevano dividere la stanza e il letto. Mary era ancora terrorizzata: non vedeva perché non l’avrebbero piú dovuta scopare.
– Che cosa significa esattamente? – chiese.
– Significa che mi piacciono gli uomini. E non le donne.
– Mi dispiace, – disse Mary.
– Non preoccuparti, – disse di nuovo, guardandola con quei suoi occhi sapienti. – Tu mi piaci. Solo che non ho voglia di scoparti o cose del genere.
– Meno male, – pensò Mary.
– In effetti è una palla, – disse Gavin, mentre si toglieva la camicia. Anche lui aveva scolpito il suo corpo, ma non cosí male come gli uomini che si vedevano sulla sua rivista. – Non ci dovrebbe essere niente di male, se ti piacciono gli uomini. Ma a me non piace. Non mi va che mi piacciano gli uomini.
– Perché non smetti?
– Bella pensata, Mary. Chiudo bottega domani, allora –. Sospirò e disse: – Conosco un tale che è messo peggio di me. Gli piacciono solo i camerieri spagnoli. Solo quelli. Voglio dire, neanche italiani gli stanno bene. E io dico «Questa è bella. A me piacciono tutti». E lui: «Allora sei proprio fortunato». Ma non è vero. Semplicemente non sono proprio sfigato come lui. E tu, riesci a ricordarti chi ti piaceva?
– No, – disse Mary.
– Sarebbe interessante, giusto?
– Forse piaceranno gli uomini pure a me.
– Il che non farà di te una diversa.
– Ah, no?
– Vedremo. Buonanotte, Mary.
– Speriamo, – disse lei.
Ai diversi piacciono gli uomini piú delle donne perché da piccoli gli piaceva la mamma piú del papà. Questa è una teoria. Eccone un’altra: ai diversi piacciono gli uomini piú delle donne perché gli uomini sono meno esigenti, piú socievoli e soprattutto meno costosi delle donne. I diversi cercano solo riparo dalle tempeste lunari. Ma poi, lo sai anche tu come sono i diversi.
E, presto, lo saprà anche Mary. Sono sicuro che farà in fretta a imparare, da queste parti. I Botham sono giusto quel che faceva al caso suo. Non la mettono in allarme e, cosa ancor piú importante, lei non mette in allarme loro.
A dire la verità, la signora Botham è l’unica convinta che Mary soffra di amnesia – ecco perché non fa che ribadire questa sua impopolare opinione. Gavin, il quale trascorre con lei piú tempo degli altri, si è a poco a poco persuaso che Mary sia in qualche modo una ritardata: secondo lui Mary ha la testa di una ragazzina di dodici anni, intelligentissima, curiosa e diligente. (Si scopre spesso a pensare che da grande sarà molto in gamba). Il signor Botham infine, e per varie ragioni sue, nutre in segreto il fierissimo sospetto che Mary possa essere normale sotto tutti gli aspetti. Certo, il signor Botham è un enigma a sua volta. Un mucchio di gente – vicini di casa eccetera, Mary, magari persino voi, – ritiene che debba essere un uomo di intelligenza straordinariamente scarsa. Altrimenti, come avrebbe potuto vivere per trent’anni con un’alcolizzata? La risposta è che ventinove, di quei trent’anni, anche il signor Botham li ha passati ubriaco. Ecco perché è rimasto accanto alla signora Botham per tanto tempo: perché era sempre sbronzo pure lui.
Ma Mary ormai guadagnerà in fretta terreno. Se mai decidessi di fare un film sul suo fosco mistero, ti occorreranno un mucchio di crescendo musicali per sottolineare il suo rinnovamento nelle mani della famiglia Botham... Paradossalmente, Mary gode di certi vantaggi rispetto agli altri. Non ancora contaminate dal tempo, le sue percezioni non conoscono ripetizione: esse si manifestano come multiformi, istantanee e casuali, come il presente stesso. Mary è in grado di fare alcune cose che tu non sapresti fare. Getta un’occhiata lungo una strada sconosciuta, che cosa vedi? Un conglomerato di forme, sagome e luci, e la presenza o l’assenza di movimento, giusto? Ebbene, Mary vede una finestra che incornicia una faccia, vede la grata sul marciapiede e l’inclinazione delle grondaie, vede il modo in cui la distribuzione delle ombre risponde al paesaggio del cielo. Se uno di voi si guarda il palmo della mano, vede cinque o sei solchi primari e i loro maggiori affluenti, Mary invece distingue gli innumerevoli graffi sulla pelle e li conosce uno per uno come voi conoscete le dentellature sui vostri incisivi. Lei sa quante volte si è guardata le mani: centotredici volte la mano sinistra, novantasette la destra. Lei è in grado di paragonare un velo di fumo sfuggito a una porta aperta con una piega speciale della coperta, mentre disfa il letto. E tutto questo le dice qualcosa. Quando dimentichi il passato, il presente diventa indimenticabile.
Mary sa sempre che ore sono senza guardare. Anche se, del tempo e degli altri, sa pochissimo.
Ma ormai guadagnava terreno in fretta.
Imparò a conoscere il proprio corpo e la sua topografia collinare: i sette fiumi, le quattro foreste, la musica atonale che le veniva da dentro. Osservando il signor Botham, che lo faceva spesso e con convinzione, imparò a soffiarsi il naso. Il suo corpo cessò di sorprenderla. Persino il primo accenno di sangue lunare la lasciò impassibile. La signora Botham parlava sempre di queste cose e Mary era praticamente pronta a ogni disastro. (La signora Botham era ossessionata dai tormenti orribili che si verificavano nel corso di quello che a lei piaceva chiamare il Passaggio. A Mary non pareva che questo Passaggio valesse la pena di sperimentarlo, e si augurava che non le toccasse ancora per molto). Disse alla signora Botham del sangue e lei, disinvolta come sempre, le spiegò che cosa doveva fare. Le parve una soluzione ingegnosa. Ma sí, tutto sommato, Mary era soddisfatta del proprio corpo. Lo stesso Gavin, che era un cultore del corpo, le confermò che il suo non era male, bicipiti a parte. Viceversa Mary non pensava che il corpo di Gavin corrispondesse alla fatica fatta per costruirlo: povero Gavin con tutti i suoi manubri, le sue molle metalliche e le sue magliette olezzanti. Ma era sicura che Gavin sapesse il fatto suo in proposito. In giro si vedevano dei corpi veramente mal messi, di quelli a cui mancava qualcosa, di quelli che avevano roba di troppo, di quelli storti o tutti tirati. Perciò Mary era soddisfatta del suo; era sicuramente una cosa interessantissima.
Incominciò a leggere con entusiasmo.
Da principio la intimidiva il fatto di non sapere quanto privata fosse la pratica della lettura. Teneva d’occhio tutto quello che leggevano gli altri e, segretamente, cercava di leggere le stesse cose anche lei.
Il signor Botham leggeva un involucro sporco di lurida carta grigia che andava e veniva tutti i giorni. Non aveva mai lo stesso titolo. Dentro c’erano foto di donne nude; e nell’ultima pagina si potevano comprare e vendere uomini, ma non donne: costavano carissimi. Nelle pagine di mezzo un certo Stan parlava della battaglia tra sua moglie Mildred e il cancro. Alla fine aveva vinto il cancro, ma un coraggio come quello di Stan e di Mildred non conosce sconfitta. Era tutto su altri posti, alcuni dei quali, forse, non troppo lontani. Parlava di atroci disparità di fortuna, e parlava di morti, di cataclismi, di lotterie. Ed era anche molto difficile da leggere, perché le parole non riuscivano mai a mettersi d’accordo sulla misura da assumere una volta per tutte. La signora Botham leggeva opuscoli che riceveva dalla Alcolisti Anonimi, associazione della quale parlava con il massimo affetto. Gli opuscoli raccontavano solo di alcolizzati e assomigliavano ai discorsi della signora Botham. Erano pieni di tabelle e di grafici su come finivano gli alcolizzati: bevevano da soli, mentivano e rubavano le cose degli altri, tremavano e vedevano topi e molluschi. Poi dimenticavano tutto. Poi ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Altra gente
  3. Prologo
  4. Parte prima
  5. Parte seconda
  6. Parte terza
  7. Epilogo
  8. Il libro
  9. L’autore
  10. Dello stesso autore
  11. Copyright